Italiano per tutti i migranti nella scuola “Penny Wirton” di Eraldo Affinati
Si chiama “Penny Wirton” la scuola di italiano per migranti aperta dallo scrittore Eraldo Affinati.
Affinati si confronta con i diritti dei più deboli, con storie di dolore e di speranza come avviene nel suo ultimo libro Vita di Vita (Mondadori) che racconta la storia di un viaggio africano insieme a Khaliq con cui aveva stretto un patto: se il figlio avesse riabbracciato la madre perduta, il professore sarebbe andato a conoscerla. Cresciuto alla Città dei Ragazzi, storica comunità educativa dove insegna Affinati, Khaliq oggi lavora in un bar.
Eraldo Affinati, accompagnato da un amico avvocato, arriva a domandarsi: «Che cosa vuol dire essere un insegnante? Mettere in grado chi hai di fronte di ascoltare la voce del suo maestro interiore». Forte della sua esperienza di insegnante alla Città dei Ragazzi, Affinati ha messo su, insieme alla moglie Anna Luce Lenzi, questo esperimento didattico innovativo che sta dando ottimi frutti. Sparse un po’ in tutta Italia, da Nord a Sud (con le due nuove aperture in Toscana, a Poggibonsi, in provincia di Siena e a Lucca), la Penny Wirton è gratuita e aperta a tutti, ma proprio a tutti: dai bambini agli adulti, dagli studenti ai lavoratori, offre lezioni di italiano in qualsiasi periodo dell’anno, con una modalità frontale di uno a uno. Uno studente per un insegnante (sono tutti volontari) è un modulo didattico che non solo permette di calibrare le lezioni sulle singole necessità ed esigenze, ma anche di instaurare un rapporto di amicizia che aiuta la crescita di entrambi, di chi da e di chi riceve. C’è chi parte da zero e chi ha un minimo di scolarizzazione. Ci sono lavoratori stagionali e badanti con la laurea in ingegneria. Ci sono musulmani e induisti. Ci sono uomini soli e madri con prole al seguito. Ecco chi sono i protagonisti della scuola di italiano per migranti Penny Wirton fondata dallo scrittore Eraldo Affinati.
Lei, insieme a sua moglie, ha dato vita alla scuola Penny Wirton. A quale bisogno risponde questa scuola?
La scuola Penny Wirton, fondata da me e da mia moglie Anna Luce Lenzi, prende il suo nome dall’omonimo romanzo per ragazzi di Silvio D’Arzo, il cui protagonista è un orfano che non ha mai conosciuto suo padre. Si tratta di una scuola gratuita in cui si insegna la lingua italiana ai giovani immigrati. I Penny di oggi si chiamano Omar, Khaliq, Irina. Siamo presenti a Roma, in Campania, Calabria, Toscana, Veneto, Emilia Romagna e Lombardia. Piccole postazioni. Nuclei di resistenza etica in un Paese che, per nostra fortuna, è migliore di quello che si vede in televisione.
C’è stato un episodio, un evento o un incontro che le ha dato l’ispirazione per la Penny Wirton?
La Penny Wirton nasce dalla mia esperienza di docente alla Città dei Ragazzi di Roma. È stato in quella comunità educativa che ho sentito l’urgenza di creare una scuola di lingua italiana per ragazzi immigrati. I minorenni non accompagnati che arrivano da noi vengono spesso inseriti nella scuola statale senza adeguati supporti didattici. È un problema che si sta cercando di risolvere a livello pubblico. Ma il tempo stringe. I ragazzi continuano ad arrivare e noi dobbiamo intervenire.
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Quali sono i problemi dell’insegnamento dell’italiano agli stranieri e le lacune del nostro sistema scolastico riguardo agli studenti stranieri?
C’è tutto un sistema burocratico che talvolta impedisce una vera integrazione. Alla Penny Wirton non facciamo classi. Puntiamo sul rapporto uno a uno. Siamo centinaia di insegnanti per altrettanti studenti. Conta molto la fiducia che si crea fra docente e allievo. Io e mia moglie abbiamo scritto due manuali di apprendimento della lingua: Italiani anche noi, entrambi pubblicati dal Margine. Questi testi sono il nostro punto di riferimento didattico. Non diamo valutazioni, ma ogni studente viene registrato e c’è un diario di bordo, per ciascuno, nel quale si annota il programma svolto, in modo che se la volta successiva dovesse cambiare il docente, saprebbe da dove ripartire. Inoltre, al termine della lezione, un coordinatore riporta al computer le presenze e la sera stessa le invia a tutti i docenti e ai centri di accoglienza.
Migliorare la comunicazione migliora anche le relazioni: ci descrive gli inizi e i primi incontri tra docenti e allievi?
All’inizio eravamo veramente in pochi, animati da buona volontà. Sembrava un semplice doposcuola. Col tempo siamo cresciuti e ora le nostre lezioni assomigliano a un grande happening, dove tuttavia nulla è lasciato al caso. Non vogliamo fare bricolage. Crediamo nel rigore didattico e nel valore applicativo. Si impara più in due ore di lezione faccia a faccia che in un’intera mattinata trascorsa a sbadigliare in aula.
Di che cosa hanno bisogno gli stranieri in Italia quando imparano la nostra lingua?
Ogni scolaro parte da una posizione diversa: c’è chi risulta analfabeta nella lingua madre e quindi deve cominciare da zero, diciamo dalla sillabazione, e chi invece, essendo già scolarizzato, compie un percorso assai più rapido. La Penny Wirton accoglie tutti, in qualsiasi momento dell’anno, non mandiamo via nessuno. Abbiamo molti minorenni non accompagnati che provengono dai centri di prima accoglienza. Ma vengono da noi anche adulti. E madri coi bambini. Siamo un pronto soccorso linguistico, quindi interveniamo subito, nel momento in cui c’è la necessità. Dobbiamo essere flessibili, sapendo che la programmazione non sempre è possibile, visto che i ragazzi cambiano perché quando vengono trasferiti da un centro all’altro spesso devono andare in una città diversa e non possono più frequentare i nostri corsi.
Lei scrive sul suo sito che parole come “Accoglienza” e “Integrazione” sono a rischio di svuotamento: può spiegarci perché?
Mohamed ha negli occhi le tragedie che ha attraversato e tu devi aiutarlo a ritrovare se stesso in una lingua che non è la sua, ma la tua. Si tratta di una lingua ortopedica, capace di saldare le fratture interiori. Noi entriamo in azione appena vediamo la sua ferita, ma è chiaro che poi dobbiamo favorire l’inserimento del giovane immigrato nel percorso dell’istruzione pubblica. A tale scopo stiamo approntando protocolli di collaborazione con scuole statali. Abbiamo stipulato anche convenzioni con università italiane (Venezia, Roma) per il rilascio di attestati di tirocinio per insegnanti di italiano L2.
Infine, ci racconta la sua soddisfazione più grande, il risultato più significativo dopo l’apertura della Penny Wirton?
Una nostra caratteristica è quella di coinvolgere studenti italiani nell’insegnamento della lingua ai loro coetanei immigrati. Questo è uno degli aspetti più importanti. A me piace molto quando vedo ragazze e ragazzi italiani, che magari vanno male a scuola, che si trasformano in volontari. Sta accadendo sempre più spesso. Quella è la mia soddisfazione maggiore.
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