Istanbul, città memoria
«Di quest'onda che rifluisce dai ricordi la città s'imbeve come una spugna e si dilata. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d'una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole».
Italo Calvino, “Zaira”, da Le città inivisibili
La memoria e la città è il sottotitolo di Istanbul (trad. di S. Gezgin, Einaudi, 2006), il denso “romanzo” di Orhan Pamuk dedicato alla sua città. Non che sia il primo in assoluto, se si considera Il libro nero (trad. di S. Gezgin, Einaudi, 2007) come nient'altro che una lunga dedicazione alla metropoli del Bosforo. Se quest'ultimo, però, era un romanzo in piena regola, Istanbul non lo è, almeno nel senso più proprio del termine.
Subito, Istanbul si annuncia come un percorso nella memoria di Pamuk a partire dall'infanzia, dal territorio incerto e “romanzesco” dei ricordi più lontani, quando l'autore era convinto che in città vivesse un altro Orhan, del tutto simile a lui, in una casa simile alla sua. Una memoria che si dipana e rafforza nel seguire il flusso degli anni, delle vicende personali e collettive: dalla scoperta del Bosforo agli studi dei pittori che hanno ritratto la città, dai traslochi di famiglia all'eredità di quattro scrittori “tristi e solitari”, dalla collezione di fatti e curiosità alla passione per il disegno, dalle navi sullo stretto alla passeggiata di Theophile Gautier nei sobborghi.
Tutto converge e si addensa attraverso la memoria e la rammemorazione, e niente è più adatto della memoria e dei ricordi a tracciare il volto di una città: «è la stessa memoria che oggi è scomparsa sotto la forma nazionale, diventando un fenomeno puramente privato», scriveva Pierre Nora*.
Scrivere un libro come Istanbul equivale a ri-costruire una città e, nello stesso tempo, ri-costruire un'identità personale grazie all'espressione letteraria. È un doppio-lavoro che agisce sul livello “collettivo”, quello della città e del suo contenuto, e su quello personale. Così, in Pamuk, persona e città coincidono, rimandano l'uno all'altra, non tanto in un continuo riflesso di specchi borgesiani, ma in un più “materiale” percorso di individuazione.
Tutto nella città è segno, tutto la città contiene in sé, stratificato, sovrapposto, dipinto, inciso, non solo nelle facciate dei palazzi, nei monumenti che ne raccontano la storia, ma anche nella memoria, nel contenitore panoptico di chi ricorda. Come l'Enciclopedia di Istanbul, una panoptica collezione di fatti e curiosità dello storico Reşat Ekrem Koçu, una delle letture fondanti del Pamuk che si avvicinava – ancora piccolo – alla scoperta del mondo scritto, esplorando la libreria della nonna. L'enciclopedia, pubblicata a partire dal 1944, fu la prima enciclopedia al mondo scritta su una città.
Così il libro, come la memoria di Pamuk, è un panoptico, una smisurata tavola illustrata (non a caso il volume è corredato di foto in bianco e nero della città che scandiscono ogni capitolo come pietre miliari della visione), un disegno della città che è sforzo di recuperarla, di afferrarne le parti “volatili”. A questo si aggiunge un altro contributo, quello della visione che viene dall'estraneo, dal viaggiatore, dal poeta che l'hanno visitata, percorsa, amata o criticata. L'estetica di una città, la distillazione di tutte le sue caratteristiche – dette o ricordate, pensate o costruite con solidi mattoni – è fatta di un numero infinito di elementi il cui fascino estremo è proprio quello di essere infinito e, quindi, mai esauribile.
* Pierre Nora, “Entre mémoire et historie. La problématique de lieux”, in Les lieux de mémoire, La République, Paris, Gallimard, 1984.
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