“Io vedo me stesso”, benvenuti nel mondo perturbante di David Lynch
«C'è bontà nei cieli blu e nei fiori, ma ci sono anche altre forze – il male selvaggio, la decadenza – che accompagnano ogni cosa.»
Gli estimatori italiani del genio David Lynch ne saranno ben contenti:Io vedo me stesso (titolo originale Lynch on Lynch) esce finalmente nel nostro Paese, edito da Il Saggiatore, con traduzione di Marco Borroni. Non si tratta di un classico volume biografico o autobiografico, ma di una raccolta decennale di interviste realizzate da Chris Rodley (autore e regista anch'egli) fino al 2005, più un capitolo aggiuntivo a cura di Andrea Morstabilini, la filmografia aggiornata del regista di Missoula (Montana) e tutte le altre attività artistiche che lo riguardano. Perché David Lynch non è solo una presenza dietro la macchina da presa, ma è artista totale, impegnato su più fronti: pittore, fotografo, autore televisivo, musicista e compositore. Insomma, il libro si presenta come uno scrigno prezioso all'interno del quale sono racchiusi tutti i tesori che Lynch ci ha regalato negli ultimi quarant'anni.
Dopo le iniziali sperimentazioni con alcuni cortometraggi (tra cui The Alphabet e The Grandmother, già contenitori, seppur in embrione, del suo tocco visionario), risale infatti al 1977 l'esordio sul grande schermo con l'indefinibile meraviglia di Eraserhead. Poi la chiamata da parte degli studios hollywoodiani e il successo ottenuto con The Elephant man (film prodotto da Mel Brooks) e le numerose nomination agli Oscar. In seguito alterne fortune: il flop commerciale dell'ambizioso Dune, ma anche la successiva consacrazione con Velluto blu, dove comincia la collaborazione con Angelo Badalamenti, compositore americano con cui stringerà un sodalizio durato fino a Mulholland drive (ma chi non ricorda una delle sue più eccellenti creazioni, il motivo principale di Twin Peaks?).
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Velluto blu segna una svolta personale, con un nuovo approccio alla musica nella sua relazione con le immagini e il ritorno all'angoscia sessuale già abbozzata nel lungometraggio di debutto. Twin Peaks, sorta di soap opera postmoderna, gli fa vivere una stagione di gloria, la cui scia prosegue con spot pubblicitari di marchi prestigiosi (Calvin Klein, Giorgio Armani, Yves Saint Laurent) e videoclip musicali (tra cui Wicked game di Chris Isaak, brano contenuto nella colonna sonora di Cuore selvaggio, e un video promozionale per il tour Dangerous di Michael Jackson), rappresentazioni teatrali e l'incisione di alcuni album. Con Una storia vera stupisce tutti e gira un film semplice e lineare, ma soprattutto autentico, certo non meno degli altri ma senz'altro più trasparente. Infine il riconoscimento a Cannes con la Palma d'oro per Mulholland drive, visione dai contorni incerti, in una splendida altalena tra sogno e realtà. Il suo ultimo film a oggi (non considerando il documentario dedicato ai Duran Duran del 2014) è Inland empire, uscito nel 2006.
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Io vedo me stesso racconta Lynch pure nella sfera privata, a partire dall'infanzia: nato nel 1946, suo padre era un ricercatore per il Ministero dell'agricoltura e portò la famiglia a spostarsi varie volte in giro per gli Stati Uniti. Ma questa giovinezza da nomade contribuì in maniera notevole a far sviluppare nel figlio una spiccata sensibilità per i luoghi. Poi c'è il rapporto privato con l'arte, qualcosa che assomiglia a un sogno a occhi aperti. Oltre alle interviste, nel volume dunque dipinti e fotografie.
Ciò che ne risulta maggiormente è il punto che accomuna tutta la sua produzione artistica: la difficoltà di definire, il disorientamento, eppure la facilità con cui ci fa avvertire l'inquietudine, ci fa entrare in contatto con una presenza estranea spaventosa, in sostanza ci fa entrare nel perturbante. Tema che si ripete nei suoi film è anche quello dell'alterità, del doppio. Nel suo costante mescolamento di generi, ecco una continua assenza di regole. Eppure nelle immagini prodotte da Lynch non ci sono teorie generatrici, sottotesti, significati psicanalitici; o, almeno, questo è ciò che sostiene il regista se gli viene chiesto di fornire spiegazioni più chiare. Tuttavia, come dice lo stesso Rodley, Lynch «preferisce mostrare che spiegare», e forse è questo il motivo per cui i suoi film danno adito a molteplici interpretazioni.
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Lynch racconta di come abbiano influito sulla sua arte pittori come Bacon e Hopper, di come sia passato dal dipingere allo sperimentare con una vecchia 16 millimetri e a creare dei “quadri in movimento”. Ma nel libro c'è spazio altresì per aneddoti e avvenimenti curiosi: per esempio, quando uno dei suoi registi preferiti, Federico Fellini (i due sono nati entrambi il 20 gennaio), venne fischiato a Cannes, episodio che Lynch giudica vergognoso; oppure di quella volta in cui, durante una proiezione di prova di Cuore selvaggio, 300 spettatori su 350 lasciarono la sala per via di una scena troppo violenta; o ancora di quando la puntata pilota di Mulholland drive (inizialmente doveva essere una serie televisiva) venne rifiutata dalla Abc e in seguito ne nacque uno dei suoi film più riusciti e affascinanti (tra l'altro recentemente giudicato come miglior film degli ultimi 15 anni).
Non vi resta che aprire lo scrigno di Io vedo me stesso, o se preferite la scatola blu, e farne uscire i misteri di David Lynch.
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