“Io e Proust” di Michaël Uras
Ho provato sentimenti contrastanti ultimando la lettura di Io e Proust, romanzo d’esordio di Michaël Uras, giovane insegnante di lettere, francese, edito in Italia da Voland per la traduzione di Giacomo Melloni e a cura di Giuseppe Girimonti Greco. L’autore ha classificato il suo libro come autofiction, con i dovuti distinguo rispetto a un’etichetta che negli ultimi tempi sembra andare per la maggiore: «Sono ovunque in questo libro… e da nessuna parte!», dice. Del resto, si schermisce, è una caratteristica di ogni romanzo quella di costruire una menzogna a partire dalla verità e nel suo caso ha sottolineato di aver premuto a fondo il pedale dell’ironia. In effetti sono molte le pagine di questo romanzo che mi hanno strappato una sana risata. Alcuni passaggi li ho condivisi con mia moglie, leggendoli ad alta voce, ed entrambi ci siamo molto divertiti.
Jacques Bartel, il protagonista di Io e Proust, è perciò un alter ego di Uras (appassionato di Proust, ma non in maniera così ossessiva e preponderante come il suo personaggio!); in apertura del romanzo vediamo Jacques adolescente e disperato, per via di una malattia che lo costringe a letto da qualche settimana. Quasi miracolosamente, dopo aver preso a morsi un volume della Recherche, il dolore svanisce e Jacques appare in parte risanato e radicalmente cambiato nell’animo: d’ora in poi Marcel Proust diverrà presenza costante nella sua vita.
«I miei genitori si accorsero molto presto dell’ascendente che Proust aveva su di me e cominciarono a preoccuparsi seriamente». La «madre ebrea» di origine italiana è preoccupata per le possibili tendenze omosessuali del figlio, specie dopo aver adocchiato in biblioteca un volume proustiano col titolo “Sodoma” sul dorso. Jacques cerca di tranquillizzarla, portandole a casa fidanzatine occasionali che puntualmente ammorba e respinge cercando di conversare con loro, pure nell’intimità, del suo scrittore preferito. «Quanto a mio padre, detestava la letteratura. Per lui gli scrittori erano dei falliti, degli artigiani del nulla». Il padre vorrebbe essere un modello per Jacques e il figlio, che gli vuole bene, cerca di non correggere i suoi strafalcioni e ingenuità; cerca anzi di mitigare il sentimento di frustrazione del genitore nei confronti di Proust, sottolineando come anche il suo autore prediletto commetteva dei grossolani errori (peccato per il padre, però, quando si scopre che la lettera “sgrammaticata” Marcel l’aveva scritta all’età di otto anni!).
Tra alterne vicende Jacques cresce nell’alveo delle patrie Lettere, in un universo parallelo di “presenze proustiane”. Riesce a entrare nella prestigiosa Accademia proustiana, ma deve sottostare al capriccio e al poderoso “appetito” della sua direttrice ninfomane.Jacques è un irresoluto; poco determinato e poco arrivista per natura, viene rapidamente fagocitato dai rapaci colleghi, che detesta per la loro sicumera, la loro supponenza e inutile erudizione. Così, intorno a lui, si crea rapidamente un vuoto pneumatico di consensi. L’occasione di una vita si presenta a Jacques nel momento in cui riesce, per un fortuito incrocio di elementi e circostanze, a rintracciare un signore, sconosciuto agli studiosi, che posa accanto a Proust in diverse fotografie. Si tratta di Maurice Nôdier, un centenario ospite di una casa di riposo. Per Jacques c’è la concreta possibilità di uno scoop che dia un impulso alla sua traballante carriera di studioso, ma la sua inettitudine e le circostanze non gli permetteranno di metterla a frutto. Piegato da una terribile crisi esistenziale, Jacques si aggrappa all’amico Marc, uno smaliziato musicista che ha una segreta liaison con la “fidanzata ufficiale” del nostro eroe: Mathilde. Autoritaria, volubile e lunatica, la ragazza era già in crisi da tempo con Jacques (lo aveva sganciato per un istruttore di nuoto).
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In un momento di dolorosa consapevolezza Jacques decide per un Auto da fé purificatore (ma Elias Canetti è lontano anni luce), risolvendo di distruggere col fuoco tutto quanto della sua vita ha dedicato a Marcel Proust. Ci riuscirà solo in parte, ma nuovi propositi si affacciano alla sua mente. Primo tra tutti, l’impulso di scrivere del suo rapporto con Marcel Proust, e divenire il goffo narratore di un romanzo dal titolo Io e Proust, probabilmente lo stesso che abbiamo avuto tra le mani come lettori.
In apertura parlavo di sentimenti contrastanti; se da una parte, infatti, il romanzo di Michaël Uras mi è sembrato spiritoso e godibile, a fine lettura mi è sorta spontanea la domanda: «Tutto qui?». Ci sono, in questo libro, degli espedienti tecnici “freschi” e di sicuro appeal: la scrittura scorre fluida e disincantata; le battute sono argute e rivelano squarci di realtà. Buona la trovata di somministrare il celebre “questionario proustiano” a vari personaggi: tra gli altri un libraio, un poliziotto, l’infermiera della casa di riposo. Azzeccati i flussi di coscienza del protagonista e la variazione del punto di vista, in terza persona, nel capitolo 9. Ficcante è pure la critica a un certo mondo accademico, paludato e ammuffito quanto autoreferenziale: «[…] i critici non si comportano in modo molto diverso: si immaginano che il tale autore abbia voluto dire la tale o la talaltra cosa, e alla fine se ne persuadono. Insomma, sono dei bambinoni che giocano con i libri e che possono dire un po’ quello che vogliono, tanto gli autori di cui si occupano sono morti, quindi nessuno andrà da loro a lamentarsi».
Purtroppo quel che manca in questo romanzo (o forse quel che cercavo come lettore) è un personaggio in grado di bucare la pagina. Non dico che non ci si possa identificare con le idiosincrasie di Jacques, che per certi versi sono le nostre, ma un personaggio portante deve avere delle motivazioni profonde che lo spingono ad agire. Jacques sceglie Marcel Proust perché trionfa sul soccombente Cruijff, calciatore caduto (entrambi gli idoli in forma di poster) dalla parete della camera da letto del giovane Jacques; anche la reazione ai genitori “distratti” e “non competenti” appare piuttosto goffa e non regge neanche quella “società di lupi” che stritola il gracile e stralunato nerd, un giovane precario e per certi versi disadattato che cerca un appiglio per traghettarsi attraverso l’esistenza. Tutto origina e trova il suo perché in una fascinazione “patologica” per Marcel Proust. E per Michaël Uras si risolve in un piacevole e divertente esercizio di stile, condensato nell’incipit sul quale Jacques si arrovella: «Ho sempre avuto un problema con Proust», direttamente collegato all’ultima frase che chiude il romanzo (di Uras): «Ascolta un po’ la mia storia, si intitola Io e Proust».
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