Intrappolati nella propria memoria. “Blu Stanzessere” di Roberta Zanzonico
Blu stanzessere è il titolo del romanzo di esordio di Roberta Zanzonico edito da Ensemble. Il volume di appena cento pagine rientra in quelli che possono essere definiti romanzi brevi: immerso in un’atmosfera quasi solenne e onirica, questo testo è un romanzo sulla memoria, una memoria scandita, ripetuta, rivissuta in diversi Stanzessere, posti in cui dei momenti passati prendono forma e si ripetono all’infinito.
La narrazione si apre quasi in modo tumultuoso e confusionario: appare un protagonista maschile sin da subito, di cui non si accenna né al nome né a eventuali descrizioni fisiche, durante il corso del libro. L’uomo in questione si ritrova, senza sapere come ci sia arrivato e perché, in una stanza scura e piccola che capisce essere di una barca, quando, in dormiveglia, percepisce il cullare delle onde.
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Accanto a lui, il Guardiano, il secondo protagonista maschile che fa capolino fra le pagine del testo: un uomo risoluto, burbero, taciturno e scostante. Questa figura lo guiderà fra corridoi labirintici come un rinnovato Virgilio, facendogli scoprire diverse porte e stanze poste fra numerosi corridoi fatti da pareti tutte uguali che lo portano a vagare, sospirare e soffrire in una dimensione fumosa, onirica, ma solida e reale al contempo. Il Guardiano profetizza a tratti e a parole dosate, pian piano, la missione a cui il protagonista deve assurgere e il perché della sua presenza lì. Lo conduce davanti ad alcuni Stanzessere, stanze vive che racchiudono pezzi di vita, di emozioni e di sensazioni. In queste stanze si trova una donna intrappolata in un momento della sua esistenza che continua a vivere e ripetere cercando di dargli una forma e di comprenderlo.
Ogni stanza racchiude in sé ora una forma, ora una percezione, un colore, un’immagine felice, un dolore dischiuso, un abbaglio di felicità… Ma tutte pulsano di vita, in ognuna c’è la vita di qualcuno che tenta di comprendere. Ogni sensazione dipende dalla stanza e dal pezzo di vita che lì è rimasto intrappolato.
Durante il corso della narrazione si nota l’evolversi della figura del Guardiano: all’inizio burbero e scostante, poi guida sicura attraverso gli ingranaggi della memoria; afflitto da se stesso, predice al protagonista il pericolo degli Stanzessere se ci si fosse calati troppo in essi. Lo mette in guardia dai sospiri, dal dolore che essi possono provocare se percepiti di colpo e non si è pronti o abituati a subirli. Gli parla del potere del blu, quel pianoforte blu, all’interno della piccola stanza oscura dal tavolo quadrato. Quello strumento, unico simbolo di ricongiungimento tramite la musica che evoca il ricordo. Tutto questo sforzarsi di spiegare ha un motivo: il Guardiano aveva costruito quel luogo intricato di stanze e corridoi per uno scopo preciso. Come era chiaro e limpido lo scopo per cui conduceva in un vagare incostante il protagonista: l’uomo burbero custode di quel labirinto sul mare voleva solo che lui si prendesse cura della donna intrappolata negli Stanzessere, aveva bisogno che lui si prendesse cura di lei, perché lui non era riuscito a farlo. Lei che aveva ricordato ogni dettaglio per tutta la vita, adesso la memoria l’aveva spezzata e intrappolata in quei momenti che era costretta a rivivere perpetuamente per cercare di dar loro un senso. Nelle ultime pagine lo sfaldarsi della sua maschera che lo fa apparire per quello che è, al protagonista: un uomo che ha amato, un uomo intrappolato nel non “vissuto” che alla fine trova redenzione, paradossalmente, proprio grazie a quella donna amata, trovando il suo posto nel mondo.
«Immagino che tu non abbia capito nulla. Va bene così, non è che devi capire, mi serviva dirti queste cose per arrivare a questo posto. Quindi. Io e Lei. Questa vita insieme non l’abbiamo mai avuta. Era una vita insieme diversa. Lei viaggiava, se ne andava, fuggiva. E poi, ogni volta che la volevo, in qualche modo tornava. Comunque, questa era la nostra vita, era così da sempre e sarebbe stata così per sempre. Ogni volta era un addio. E un addio, se ripetuto per sempre, ha un sapore diverso. Ma era per sempre. Poi un giorno scomparve. Non tornava. Dopo qualche anno, non solo non tornava, non la sentivo più.»
Il testo, lineare e scorrevole, è un susseguirsi di immagini e sensazioni, un’esperienza sensoriale e onirica allo stesso tempo che impregna il lettore in un’atmosfera sognante, vagheggiante, costringendolo all’introspezione. Il tempo e lo spazio sembrano perdere di significato, non esiste un contesto storico, né la trama è incastonata fra dati numerici e staticità: tutto è astratto, tutto è esperienza sensoriale, e l’impatto è dato dalle immagini che la prosa pulita e senza eccessivi fronzoli pone al lettore. Non si sa dove e quando sia ambientato ma l’abilità narrativa fa in modo che chi legge percepisca il moto oscillatorio che le onde regalano alla barca, la pioggia intensa sulla pelle, il freddo della donna chiusa negli Stanzessere quando, nel dispiegarsi della trama finale, lei volge la parola al protagonista, ritrovandosi in un’immagine quasi poetica ma non melensa.
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Blu Stanzessere è un romanzo sulla memoria e sull’amore, sull’oblio e i ritorni, che conduce il lettore, posto in quest’esperienza immersiva, in un mondo vago fatto da tante storie insieme ma che ha come fine ultimo la ricerca di sé.
Per la prima foto, copyright: Hans Eiskonen su Unsplash.
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