Intervista ad Anna Notaro, docente presso l’Università di Dundee
I Media Studies rappresentano il suo ambito di ricerca accademico e da più di vent’anni vive all’estero, come vede il mondo della comunicazione giornalistica italiana dal suo punto di vista specialistico?
Devo cominciare col dire che la mia formazione iniziale, da studentessa dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, non è stata nell’ambito dei Media Studies, la mia laurea è in Lingua e letteratura inglese, a cui hanno fatto seguito un master in teoria della critica e un dottorato di ricerca (in Letteratura Inglese) presso l’Universita di Sheffield, quindi la traiettoria intellettuale verso il mio attuale ambito di ricerca è stata progressiva e facilitata da due fattori: una buona dose personale di curiosità intellettuale e l’approccio decisamente interdisciplinare degli studi di letteratura intrapresi all’Orientale.
Difficile esprimere un giudizio complessivo sulla comunicazione giornalistica italiana che non rifletta quello che è lo stato generale del Paese con le sue luci e, ahimè, le molte ombre. La mia giornata comincia spesso con la lettura online de La Repubblica, Il Corriere della Sera e La Stampa. Gli articoli di Eugenio Scalfari, Barbara Spinelli, Gianni Riotta, Vittorio Zucconi, Beppe Severgnini, Massimo Gramellini, nella loro eterogeneità ideologica e di stile, offrono un eccellente esempio di analisi puntuale, e di qualità intellettuale, alcuni di loro usano Twitter con humor, altri come un utile complemento alla pratica giornalistica. Devo confessare che guardo molto poco giornalismo televisivo, con l’eccezione di quello di pregio e d’inchiesta (Report). Ballarò è un programma intelligente, però, nonostante le buone intenzioni del suo conduttore, degenera, come è tipico di molti talk show di informazione, in una gara al decibel più alto o alla sovrapposizione di voci, così accade che il cambio di canale dopo l’intervento di satira (Crozza) sia una scelta obbligata. Sono anche convinta che dal punto di vista mediatico (anche per l’impatto sulla cultura giornalistica italiana) il ventennio berlusconiano vissuto dall’Italia diventerà oggetto cult di studio più di quanto non sia già in Italia e all’estero.
Quando decise di cercare un’opportunità formativa fuori dalle Alpi, perché prese la decisione di non tornare in Italia? Quelle medesime ragioni non le ha mai messe in discussione con il trascorrere degli anni?
Le ragioni per cui decisi di partire non sono certo originali (mancanza di sbocchi occupazionali in ambito accademico, una chiusura baronale e di sistema alle nuove generazioni) e purtroppo ancora molto simili a quelle che una giovane ricercatrice deve affrontare oggi. Così, come nel caso del giornalismo di cui sopra ci sono degli splendidi esempi di pratica accademica in Italia, i nostri studenti Erasmus non parlano inglese tanto bene quanto i loro colleghi del nord Europa, eppure la loro formazione spesso non presenta le stesse lacune, in ogni caso però si ha l’impressione che quanto di positivo esiste sia dovuto più alla buona volontà dei singoli che a una programmatica efficienza di sistema, e questa è anche la ragione per cui non ho potuto mettere in discussione nel corso degli anni le ragioni per cui decisi di partire.
Lei vive a Dundee, nella bellissima Scozia, ci dica tre pro e tre contro di questa città.
Dundee è la quarta città della Scozia per grandezza e ha spesso sofferto di una certa sudditanza rispetto alle più famose Glasgow o Edimburgo, o alla ricca Aberdeen (per via del petrolio del mare del Nord), spesso considerata in decadenza dai tempi della rivoluzione industriale quando la fortuna di Dundee fu costruita intorno alle tre J: jute, jam, journalism (la iuta, la marmellata e il giornalismo), ancora oggi ci sono sacche della popolazione che vivono in standard di povertà e la percentuale di gravidanze giovanili è tra le più alte del Paese, tuttavia soprattutto negli ultimi cinque anni Dundee ha cominciato a risalire la china puntando soprattutto sulla cultura, la qualità delle sue due università e delle altre istituzioni culturali, una qualità riconosciuta nella recente competizione per diventare UK City of Culture 2017 (Dundee è arrivata tra le quattro finaliste) e la prossima apertura (nel 2015) di una succursale del Victoria & Albert Museum di Londra a Dundee in un bellissimo nuovo edificio sul fiume Tay (per saperne di più http://vandaatdundee.com/your-future/ mentre per la storia di Dundee http://www.visitscotland.com/about/history/dundee-angus/), il tutto corredato da un make over urbanistico del centro cittadino.
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Noi l’abbiamo conosciuta attraverso il suo profilo Twitter molto dinamico, per noi risulta almeno curioso che una docente universitaria voglia confrontarsi pubblicamente con un social network, evento abbastanza raro in Italia, perché ha scelto di farsi coinvolgere da Twitter e in che cosa lo ritiene utile?
Per la verità gli accademici che usano social media non sono tanto numerosi neanche qui e il mondo universitario in generale è ancora molto lontano dal capire e utilizzare al meglio il potenziale di questi nuovi media. Per me si è trattato di una scelta quasi obbligata, nel senso di un ovvio interesse pratico per qualcosa di cui mi occupavo dal punto di vista teorico e di ricerca. In ogni caso i vantaggi sono molteplici, dall’integrazione dei social media nell’insegnamento, come fonte inesauribile di interessanti spunti di ricerca, dalla creazione di contatti in ambito professionale alla diffusione dei propri contenuti di ricerca ad un pubblico molto più vasto di quello ristretto degli addetti ai lavori, al rompere quella barriera comunicativa che spesso separa il circuito rarefatto dell’accademia da quello del mondo reale.
Qual è lo stato dell’arte nei Media Studies? Quali sono le università all’avanguardia su questo campo del sapere?
La risposta in questo caso sarebbe lunga, ma per non tediare i lettori dirò solo che occuparsi di arte per una studiosa di media è quasi una scelta obbligata, il discorso artistico è sempre stato discorso mediale, comunicativo, i cosiddetti nuovi media digitali offrono ad artisti, critici, curatori museali un ventaglio eccitante di nuove possibilità. Riguardo alle sedi universitarie all’avanguardia in questo campo mi si perdonerà la menzione del Duncan of Jordanstone College of Art & Design in cui lavoro, insieme naturalmente alla Glasgow School of Art e all’Edinburgh College of Art.
Ci sono centri italiani che consiglia ai giovani studenti interessati alle sue materie d’insegnamento? Per quali ragioni?
Sono sicura che simili centri esistono in Italia, ma non credo di poter offrire un consiglio specifico, per la semplice ragione che non ho avuto occasione di stabilire contatti, chissà magari la pubblicazione di questa intervista potrà appunto facilitarli!
Per quanto riguarda la sua università, quali sono i pregi e perché suggerirebbe a uno studente di frequentarla?
Innanzitutto ci sono vantaggi nello studiare all’estero − come ripeto ai miei studenti invitandoli a fare esperienze internazionali – che riguardano il perfezionamento di una lingua straniera e il confronto culturale, nello specifico l’Università di Dundee e il College of Art & Design che ne fa parte e in cui lavoro offrono strutture informatiche e di studio all’avanguardia, insieme a docenti e personale di supporto la cui preoccupazione principale è lo sviluppo intellettuale e il benessere personale dello studente. Vale anche la pena ricordare che al contrario di quanto accade in Inghilterra, dove le tasse universitarie sono molto alte, gli studenti provenienti dalla comunità europea non pagano alcuna tassa universitaria al pari di quelli residenti in Scozia.
Una speranza per l’Italia e una per il Paese che l’ha accolta da tanti anni, il Regno Unito.
Esprimere speranze per l’anno da poco iniziato, come cantava Lucio Dalla, è quasi di rito, il 2014 sarà molto importante per la Scozia i cui residenti saranno chiamati a pronunciarsi sul referendum sull’indipendenza dal Regno Unito, ma sarà un anno importante per tutti perché le sfide da affrontare sebbene di gravità differente (la disoccupazione giovanile per esempio è molto più alta in Italia che in GB) sono globali. Dovendo scegliere una priorità però in una scala ideale di speranze mi augurerei che la retorica populista e anti-immigrazione che al momento imperversa con diversa intensità in Europa sia rimpiazzata da una più realistica volontà da parte dei nostri governanti di non cercare facili capri espiatori ma di collaborare per uno scopo comune, una ripresa economica stabile e duratura. Come educatrice, continuare a preparare al meglio i miei studenti per la dura realtà che li attende una volta laureati ha poco a che fare con la speranza e molto di più con l’obbligo morale imprescindibile.
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