Intervista ad Amani El Nasif e Cristina Obber, autrici di “Siria mon amour”
Siria mon amour, (Piemme, pagg. 166) scritto da Amani El Nasif e dalla giornalista e scrittrice Cristina Obber, è la storia vera di Amani, nata ad Aleppo, in Siria, ma in Italia dall’età di tre anni, e costretta dai genitori a tornare in Siria per un matrimonio combinato, con l’inganno di un breve soggiorno per rifare il passaporto. Nonostante i tre veli imposti dalla cultura musulmana, l’anima di Amani è sempre stata libera, Amani ha resistito ed è riuscita, dopo tredici lunghi mesi di violenza ed umiliazioni, a tornare in Italia.
Cristina, come hai conosciuto Amani e la sua storia?
Amani era la migliore amica di mia figlia Giulia, alle elementari. Dopo un trasferimento di scuola ci siamo perse, e grazie a mia figlia l’ho ritrovata tre anni fa. Quando mi ha raccontato a grandi linee cosa le era accaduto, ho sentito la rabbia salire dalla pancia e le ho detto “Bisogna raccontare, bisogna denunciare, non possono accadere cose così”. Lei era dubbiosa, stava cercando di dimenticare. Io le ho proposto un solo incontro e le ho detto “Se ricordare ti fa solo male lasciamo stare, se ti fa male ma anche un po’ bene ne riparliamo”. E dal primo incontro, durato circa tre ore, Amani si è lasciata andare come un torrente in piena; ha sofferto ancora, ha pianto molto, ma le ha fatto bene.
Come hai fatto ad immedesimarti, a scrivere in prima persona di questa terribile storia di violenza?
Prima di mettermi a scrivere mi chiudevo nel mio ufficio completamente al buio, illuminato solo dal video. Leggevo i miei appunti ascoltando dei pezzi di musica siriana che Amani mi aveva mandato, guardavo dei micro filmati che aveva girato in Siria con il telefonino, ascoltavo la sua voce, che avevo registrato nei nostri incontri. Non è stato sempre facile condividere un dolore così grande con quella che ai miei occhi era ancora la bambina di otto anni che giocava con le mie figlie il sabato pomeriggio, ma forse è stato proprio quel dolore, anche mio, a far uscire le parole giuste.
L’anno scorso in Non lo faccio più (Unicopli) hai raccontato storie di donne violentate in Italia. Oriente e Occidente, due mondi così diversi eppure così uguali?
Sì, e il mio impegno è quello di far uscire la violenza dal silenzio. Anche Veronica, la ragazza che in Non lo faccio più racconta dello stupro subito, mi ha detto di recente che sapere che porto nelle scuole la sua esperienza e i suoi rimpianti le sta facendo fare la pace col mondo. È proprio questo il nodo da sciogliere. Se non si denuncia, la violenza continua a fare male, bisogna essere consapevoli di avere il diritto di pronunciarla, per poi ricostruirsi. Non c’è colpa in chi subisce, eppure per molte questo non è chiaro. La storia di Amani ci appare lontana, ma i dati della violenza sulle donne in Italia ci dicono che non è così. In ogni storia di violenza su una donna c’è la violenza su tutte le altre donne del mondo.
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La Siria delle prime pagine è quella di Aleppo, ricca di storia, profumi e magia. Una città bellissima che ti incanta ma che ben presto lascerai per trasferirti al villaggio rurale di Al Karatz. Amani, quando hai capito che il tuo non era un viaggio di piacere?
Non è stato molto difficile capirlo… c’erano dei sentori che mi avvisavano ma inizialmente pensavo fosse solo una mia paranoia... Un giorno, casualmente, sentii una conversazione fra i miei zii che parlavano di un matrimonio… Quando capii che il matrimonio in questione era il mio ho realizzato tutto molto velocemente, quello non era un viaggio di piacere ma bensì l’inizio del mio martirio!
«Haram significa peccato e nel villaggio di Al Karatz il peccato per le donne sta nel solo fatto di esistere, con i loro corpi, con la loro pelle profumata, con i loro sguardi». Cosa era Haram per te?
Tutto. La donna nel villaggio di mio padre è Haram, tutto ciò che fa una donna e che dice è Haram. Io quando non mettevo i calzini perché faceva troppo caldo mi urlavano Haram! Era peccato che io rimanessi con i piedi nudi in estate a 50 gradi... avrebbero potuto vedermi, e poi sarei passata per la poco di buono… per una ulech…
La Siria di oggi è dilaniata dalla guerra civile. Tu hai lasciato la Siria nel 2007; che clima c’era, sentori di quello che è scoppiato dopo?
Assolutamente no. Certo, la foto del presidente Bashar Al-Assad era ovunque! Gigantografie appese sui palazzi, taxi con la sua foto, porte dei ristoranti, ovunque! Ma mai avrei immaginato che un genocida come lui avrebbe ammazzato la propria gente.
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