Intervista a Walter G. Pozzi – Scuola di Scrittura Creativa Pagina Uno (Milano)
Buongiorno, vorrei anzitutto chiederle qual è stato il percorso professionale che l’ha portata a insegnare teoria e tecniche di scrittura.
È stata fondamentale la pubblicazione del secondo romanzo, “L’infedeltà”, nel 2000. Pochi mesi dopo l’uscita, la Biblioteca di Monza mi ha contattato per chiedermi se fossi interessato a tenere un corso di scrittura creativa. Accettare significava compiere una scelta spericolata. Scrivere e pubblicare non significa automaticamente essere in grado di trasmettere le proprie conoscenze ad altri. Nemmeno significa averne di specifiche. Oltretutto mi rendevo conto che affidarmi alla sola mia esperienza di scrittore mi avrebbe permesso, sì e no, di organizzare un paio di lezioni. Fiato un po’ troppo corto per un percorso che sarebbe dovuto durare dieci lezioni. Tuttavia ho accettato, senza sospettare di stare accingendomi a imparare un mestiere che mi avrebbe arricchito umanamente e come scrittore. Da allora non ho più smesso di studiare le tecniche della narrazione e di riflettere sul significato della scrittura. Un arricchimento personale cui hanno contribuito in maniera importante le lunghe chiacchierate in casa editrice con altri autori, soprattutto – e mi duole dirlo – con quelli stranieri.
Dopo Monza, altre biblioteche mi hanno contattato per tenere laboratori di scrittura – a Vedano, Verbania, quest’anno ho avuto anche l’interessante esperienza di insegnare in Lussemburgo – e soprattutto è maturata l’idea, nel 2003, di fondare una scuola di scrittura creativa strutturata su più livelli di approfondimento.
Perché una persona potrebbe o dovrebbe imparare tali tecniche?
Perché la sola capacità di scrivere in maniera sicura e sciolta non basta per scrivere un buon racconto.
Tra le mie attività c’è anche quella di direttore editoriale di una rivista di analisi politica, sociale e culturale (“Paginauno”) che riserva uno spazio alla pubblicazione di racconti inediti. Mi capita, quindi, di leggere un numero rilevante di elaborati provenienti da ogni parte d’Italia. Posso quindi testimoniare quanto gli italiani amino scrivere e che, nel complesso, sappiano farlo anche piuttosto bene. È anche vero, però, che la percentuale di racconti validi, pubblicabili cioè, alla resa dei conti è molto bassa. Guarda caso, difettano di tecnica. Sono privi di conflittualità, di una forma narrativa e di quella potenza evocativa e metaforica che racconti e romanzi devono possedere.
Per rispondere, quindi, alla domanda, potrei dire che prima ancora di imparare la tecnica, un aspirante scrittore deve farsi una ragione riguardo al fatto che esista una tecnica. Cosa che vale per tutte le forme della narrazione umana, che si chiamino giornalismo, cinema, pubblicità o letteratura.
Quanti suoi allievi sono riusciti a pubblicare una loro opera?
Racconti, tanti. In questo momento sto seguendo tre ex allievi che sono alle prese con il loro primo romanzo. Visto che sono socio di una casa editrice, posso dire, con un certo margine di sicurezza, che se continuano così riusciranno a pubblicarlo. Senza dover versare alcun contributo, naturalmente. Altrimenti non vale. Una casa editrice che chiede soldi a un autore per pubblicarlo, sotto qualsiasi forma, anche l’acquisto di un certo numero di copie dell’edizione, non è seria; personalmente non la ritengo nemmeno una casa editrice.
Crede che per pubblicare con una grande casa editrice conti più il merito o la “conoscenza” di “qualcuno”? Quali percentuali fra le due?
Credo che contino entrambi, ma è impossibile stabilire una percentuale. A mio modo di vedere, una buona entratura concede all’autore la possibilità di essere letto. Il che è già molto, ma non è tutto. Perché se il romanzo non ha valore (non necessariamente inteso in senso letterario; più spesso il criterio di valutazione è commerciale), difficilmente, malgrado la conoscenza, viene pubblicato. Ma senza quella conoscenza, il merito ha ben poca forza all’atto pratico.
È corretto dire, però, che con un piccolo editore le cose non vanno molto diversamente. Pur ammettendo eccezioni in entrambi i casi.
Un piccolo inciso: ho notato che la sua domanda fa riferimento a una grande casa editrice. Io utilizzo una diversa distinzione in riferimento alla realtà editoriale, e alla dicotomia grande/piccolo (editore), preferisco l’antitesi industria editoriale/casa editrice. Perché ho notato che nella testa delle persone, quando si parla di editori, grande e piccolo equivalgono a giudizi di merito e di qualità.
Se crede nel merito, quali sono le sue azioni quotidiane per favorirlo?
Mi rendo disponibile laddove vedo impegno. Il mio sogno è che i miei allievi diventino presto miei colleghi. Su un altro fronte, cito, consiglio e adotto ai miei corsi romanzi di autori che ritengo validi e ignoro totalmente gli altri, indipendentemente dalla risonanza del nome dello scrittore, dai vari premi letterari, dalla casa editrice.
Che cosa pensa delle scuole di scrittura creativa italiane se riflette in termini di qualità?
In questo caso, mi spiace, ma non ho la necessaria conoscenza che mi consentirebbe di rispondere con competenza. A volte mi viene la curiosità di frequentare un corso di scrittura creativa, anche per entrare in contatto con modelli di insegnamento e programmi diversi dal mio. Quando mi si libererà una sera, chissà!
Ritiene che blog come Sul Romanzo possano essere utili in tale senso e quali sono i rischi all’orizzonte per proposte on line?
Mi piacerebbe dire che tutto serve, ma non ne sono davvero convinto. Il rischio che corrono molte di queste proposte è quello di un’eccessiva semplificazione della materia. Oltre a quello determinato dall’inevitabile distanza che separa l’allievo dall’insegnante. Mi riferisco in particolar modo ai corsi on line, dove sento mancare soprattutto l’elemento umano. Forse per un mio limite, forse per mia formazione o perché penso all’antica, tendo a dare molta importanza alla presenza fisica dell’insegnante, a una presenza continuativa. Mi fa piacere quando un allievo digita il mio numero di cellulare per chiedermi un consiglio di lettura o per andare avanti con il proprio racconto; così come mi piace trattenermi con gli studenti una volta terminata la lezione, magari davanti a un pizza. La psicologia dell’aspirante scrittore (non diversamente da quella dello scrittore professionista) è molto simile a quella dell’atleta: passa da momenti di euforia e di grande motivazione, a periodi di scoramento e di fragilità. Per questa ragione sono convinto che la presenza di un insegnante, che sia anche collega e amico, sia molto importante.
La mia impressione è che in un contatto on line non ci si possa mai mettere in gioco completamente e con sincerità. Quando vedo rapporti mediati unicamente da un computer, mi torna sempre in mente una considerazione poetica di Saramago: “Una e-mail non arriverà mai bagnata da una lacrima”.
Escluso lei, ci indichi qualche nome di insegnante di scrittura creativa in Italia che reputi professionale e originale, anche in ambito accademico.
Non ne conosco tanti. Ho stima di Davide Pinardi di cui ho apprezzato molto il saggio “Narrare – dall’Odissea al mondo Ikea”. Non a caso, come socio di una casa editrice, ho contribuito attivamente alla sua pubblicazione.
Quale consiglio darebbe a una persona che sta decidendo come valutare la serietà di un corso di scrittura creativa, non universitario.
Io mi limiterei a valutare pochi punti importanti prima di iscrivermi a un corso: che abbia un progetto ben definito (diffido sempre di chi non ne ha uno); che non sia un insieme di seminari, bensì un corso vero, di scrittura, tenuto da un solo insegnante, sempre lo stesso, che valuti i racconti degli allievi (diffidare, quindi, dei programmi conditi con molti nomi di docenti – anche se di scrittori noti: li si vede una volta e poi più); che abbia un numero limitato di partecipanti (da 10 a 15, al massimo). Poi, per esperienza, posso dire che un corso breve difficilmente può bastare, o meglio: dipende da che cosa si prefigge una persona. Se scrivere è un piacevole hobby, e magari la lettura una passione, poche lezioni possono bastare per acquisire una tecnica base sufficiente sia per scrivere sia per leggere con un po’ più di consapevolezza e padronanza. Ma se la scrittura è una passione, la strada da percorrere è certamente più lunga. Per questo ho voluto strutturare la mia scuola di scrittura creativa su più moduli: un breve corso iniziale di dieci lezioni e due moduli successivi. L’allievo può scegliere se continuare o fermarsi, in base alle sue esigenze.
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