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Intervista a Vanni Santoni: da "Personaggi precari" a "Terra ignota"

Vanni Santoni, Personaggi precariVanni, è da poco uscito il tuo libro Personaggi precari, ripubblicato da Voland dopo la prima edizione del 2007 di RGB. Innanzitutto, cosa presenta questa nuova versione rispetto alla precedente? E poi, dopo 6 anni, credi che il cerchio sia chiuso rispetto a Personaggi precari?
Si tratta di un libro completamente nuovo. Abbiamo tenuto lo stesso titolo perché è il nome del progetto da cui nascono entrambi i libri, ma il volume Voland contiene solo una ventina di personaggi tratti da quello del 2007, per continuità. Il resto è tutto materiale prodotto successivamente all’uscita di quel primo libro, tra il 2007 e il 2012.
Personaggi precari è sempre stato un progetto aperto, che si è incarnato in varie forme e medium, ma io penso sempre alla forma libro come quella a cui aspiro e tendo, e credo dunque che per questo Personaggi precari Voland si possa parlare del compimento ultimo del progetto.
Gli archivi sono sterminati – di personaggi ne ho scritti svariate migliaia – e anche se sono soddisfatto di questa selezione non è detto che tra qualche lustro non si possa inventare un volume nuovo o diverso, ma sempre con i vecchi materiali: da quando questo libro è entrato in lavorazione ho smesso di scrivere “Pp”, e probabilmente questo indica che il progetto è giunto alla sua miglior conclusione.

Ma da qualche mese è uscito anche Terra ignota – Risveglio (Mondadori), il primo volume di una trilogia fantasy. Com'è che uno scrittore con una formazione classica come la tua, principalmente ottocentesca, si ritrova a cimentarsi in questo genere letterario un po' bistrattato da critici e romanzieri?
Ho parlato un po’ di questa scelta qui. L’idea in realtà è venuta a Martina Donati, ai tempi in Giunti, quando seppe che, a fronte di una certa esperienza nella scrittura di romanzi realistici, “mi intendevo” anche di fantastico, e successivamente è approdata in Mondadori.
Credo che, semplicemente, ci fosse una parte consistente della mia formazione infantile e adolescenziale che aveva a che fare con quel genere, e dunque dovessi in qualche modo metterla su carta. L’ho fatto giocando secondo le regole, ovvero facendo un fantasy puro, e provando a mettere d’accordo sia chi ama la letteratura fantastica “colta” sia chi vuole azione e intrattenimento. Vedo che adesso molti, riferendosi all’approccio che ho scelto, quello di una grande ibridazione tra canone fantastico “alto” e canone fantastico “basso”, parlano di romanzo postmoderno in chiave fantastica, o addirittura di “post-fantasy”; certo è che, rispetto al mio percorso principale, lavorare a Terra ignota mi ha permesso di sperimentare anche in modo radicale con cose – il pastiche innanzitutto, ma anche le strutture tipiche della narrativa di genere, e specificamente d’azione – che avevo praticato poco, e di farlo in un ambiente per così dire “più sicuro”, in quanto dotato di parametri e confini più chiaramente definiti. Sicuramente qualcosa di quello che ho imparato scrivendo Terra ignota tornerà fuori anche nei miei libri non fantastici.

Sempre riguardo a Terra Ignota, ci spieghi perché l'aggiunta della sigla HG al tuo nome? E cosa diresti a un ipotetico lettore medio, scettico nei confronti delle storie fantasy, per avvicinarlo a questa saga?
Al lettore medio, scettico e ipotetico consiglierei di leggere le recensioni di Dario de Marco e di Luca Rinarelli, perché tra le tante che stanno uscendo sono scritte da persone che non amano né praticano il genere.
Per quanto riguarda l'HG, serviva un qualcosa che rimarcasse il fatto che questo del fantastico è un percorso parallelo e differente, e non avendo secondi nomi o secondi cognomi, e trovando ridicolo il darmelo da solo, ho messo questa sigla, che non è altro che un omaggio al Guido Morselli di Dissipatio HG, grandissimo romanzo fantastico italiano.

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Vanni Santoni, Terra ignotaComunque, dando un'occhiata alla tua bibliografia, viene fuori uno scrittore poliedrico e con la tendenza a sperimentare nella forma e tra i generi. Domanda delicata ma necessaria: è frutto di una tua scelta oppure di strategie di mercato dettate dagli editori?
Sappiamo bene che gli editori vogliono piuttosto scrittori che scrivono sempre lo stesso libro. Scrivere libri sempre diversi, a volte completamente diversi tra loro, rende tutto più complesso, dato che ti porta a uscire con editori diversi, a non poter essere riconducibile a un macrotema nella comunicazione col grande pubblico, cose di questo genere.
In realtà penso che, così come ai tempi dei primi Personaggi precari sperimentavo con i brani, adesso sperimento con interi romanzi. Da quando ho cominciato a scrivere mi sono confrontato coi classici, perché quelli avevo letto, e quindi rispetto alle mie letture, al mio standard, mi considero ancora un totale principiante, e quindi ancora per un po’ devo continuare a sperimentare e ingrandire la cassetta degli attrezzi prima di provare a fare quello che voglio fare veramente.

In quella bibliografia c'è anche In territorio nemico (minimum fax), dato alle stampe la primavera scorsa. Come giudichi l'esperienza da coordinatore del progetto SIC (Scrittura Industriale Collettiva), che ha portato alla nascita del romanzo?
Lavorare a In territorio nemico ha cambiato tante cose. Al di là dei bei risultati che sta ottenendo il libro, credo che io e Gregorio Magini abbiamo potuto beneficiare di un posto di osservazione unico, protratto e di inconcepibile dettaglio, sulla nascita, la formazione e la struttura di un romanzo. Specialmente sulla struttura.

Per concludere, una domanda inevitabile: puoi anticiparci qualche notizia sui tuoi prossimi progetti?
Sto lavorando a un nuovo Contromano Laterza a cui tengo moltissimo, sarà un saggio in forma di romanzo, o meglio un romanzo con elementi di saggio, sulla storia dei free party e della cultura rave dal 1989 a oggi, che dovrebbe uscire il prossimo autunno. Ma ormai non tengo mai meno di un paio di libri in lavorazione allo stesso tempo, quindi c’è altra roba che ribolle...

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