Intervista a Stefano Izzo, editor della narrativa italiana Rizzoli
Stefano Izzo è editor della narrativa italiana Rizzoli, redattore di «Granta Italia», collaboratore del blog Officina Masterpiece del «Corriere della Sera» e del portale Book Detector.
Ci racconta qual è stato il suo percorso formativo e quando è stato folgorato, sulla via di Damasco, dal pensiero: «Da grande farò l’editor»?
Con totale sincerità: fino ai diciassette, diciotto anni, dei libri mi importava ben poco, e troppo pochi ne avevo letti. Come spesso capita, vedevo la lettura come una noia, una fatica, un peso, nonostante che casa mia fosse sempre piena di libri, che non avessi mai visto mio padre andare a letto senza aver prima divorato qualche pagina… Poi l’università, il primo esame di letteratura contemporanea, l’esplosione della curiosità, la nascita di una passione enorme, la scoperta che i libri, per dirla con Flaiano, «non si tratta di leggerli, ma di abitarli, di sentirseli addosso». La mia formazione è stata quella: leggere tanto e non fermarmi più. Quando mi sono laureato, di una sola cosa ero certo: che volevo lavorare coi libri, anzi “intorno ai libri”. Ma in concreto non sapevo che cosa significasse, né immaginavo che esistessero degli editor. Tuttora mi trovo sempre un po’ in difficoltà quando mi chiedono: cosa fa davvero un editor? Di solito rispondo con la battuta leggendaria di Valentino Bompiani sul fatto che gli editori non scrivono, non stampano, non pubblicano, non distribuiscono eccetera… ma allora che fanno? Tutto il resto, e con molto amore.
Come si diventa editor di RCS Libri?
Quello editoriale è un ambiente piccolo, in recessione, perciò i posti di lavoro sono pochi, e la circolazione minima. Per questo avere talento spesso non basta, serve una buona dose di fortuna. Non mi sono mai vergognato di ammettere che io ne ho avuta molta quando nella primavera del 2005 ho conosciuto in maniera del tutto casuale Stefano Magagnoli, allora in Mondadori, proprio mentre era in cerca di qualcuno “intelligente, affamato, fuori dai soliti giri”. Ne ebbi ancora di più un paio di mesi dopo: arrivai a Segrate con la mia bella prova di traduzione in mano (io che con l’inglese me la cavavo e poco più), mi sedetti di fronte a lui per sapere se andava bene, e mi rispose di lasciar perdere, ché si spostava in Rizzoli e sarebbe passato a fare anche la narrativa italiana, ovvero esattamente quello che interessava a me. La persona giusta al posto giusto, insomma. Ho iniziato leggendo tutti i manoscritti che arrivavano in casa editrice, e piano piano ho imparato il resto, facendo la più classica delle gavette. E sono felice, dopo quasi dieci anni, di essere ancora al mio posto.
Ha mai fatto un computo – pure sommario – di quanti manoscritti ha valutato nella sua carriera?
I primi tempi credo di averne valutati almeno trecento all’anno. Di alcuni era sufficiente sfogliare poche pagine, ma molti li leggevo per intero, producendo schede dettagliatissime che ancora conservo. Ho imparato a essere più veloce, e anche più esigente: dal 2005 a oggi la mole di proposte è aumentata, anche grazie ai social che di fatto accorciano le distanze tra editor e aspiranti scrittori, con i romanzi che vengono inviati direttamente tramite posta elettronica. All’inizio arrivavano quasi esclusivamente manoscritti cartacei, e ricordo con il sorriso quel periodo in cui arrivavo in casa editrice con un trolley, lo riempivo coi nuovi arrivi, lasciavo i vecchi e così via per non so quante volte, trascinando quel peso su e giù tra Milano e Firenze (dove sono nato e vivevo).
Parliamo di “proposte editoriali”. Oltre che di editing si occupa anche della selezione di inediti. Ci faccia sbirciare dietro le quinte della sua redazione: presumo che la mole di inediti che arrivano in Rizzoli sia “ciclopica”; preferisce prendere in esame il manoscritto nella sua interezza o fare prima una scrematura, magari con l’aiuto di uno o più collaboratori?
Come dicevo, all’inizio valutavo tutto ciò che veniva inviato alla narrativa italiana, e lo facevo quasi da solo, anche perché era la prima volta che questa attività veniva svolta in maniera così sistematica. Quando gli scrittori si sono accorti che la Rizzoli era tra le poche a rispondere sempre a tutti, anche con poche cortesi righe, la voce si è sparsa e le proposte sono raddoppiate o triplicate (rendendo di fatto impossibile, se non valutare tutto, almeno rispondere a ogni autore). Nel frattempo la casa editrice è cresciuta, sono arrivati diversi successi, e il gruppo di lavoro si è strutturato meglio: oggi ho il privilegio di trovarmi alle spalle una squadra di collaboratori affidabili, efficaci, rapidi, forse unici nel panorama.
Domanda di rito in questa rubrica: per essere degna di essere valutata con il dovuto rispetto “professionale” e con curiosità e interesse, quali sono le peculiarità che deve necessariamente avere una proposta editoriale?
Domanda difficilissima. Potrei dire tutto e il contrario di tutto. Forse l’unica sintesi possibile è: una proposta editoriale deve sorprendermi, con la forza delle idee o della scrittura.
Al contrario, come si qualificano quelle proposte editoriali che le provocano l’orticaria e le fanno sibilare tra i denti improperi e un «Chi me l’ha fatto fare»? Ci racconta brevemente un aneddoto?
La lettera di presentazione è la prima cosa che leggo: è il biglietto da visita dello scrittore, è con quello che si gioca la possibilità di superare la prima cruciale soglia. Ed è raro che un buon romanzo venga presentato male da chi l’ha scritto (ahimè, invece, è piuttosto facile presentare con tanto fumo un arrosto che poi non c’è). Purtroppo quello che spesso emerge in queste lettere è l’ansia da prestazione (del tipo «ho scritto il romanzo definitivo sul mondo contemporaneo») o l’ingenuità («ho fatto leggere il libro ad amici e parenti e a loro è piaciuto moltissimo», «allego la prefazione del mio professore di italiano al liceo», «sono disponibile a comprare mille copie del libro») o la scarsa convinzione (quella che mi fa pensare: se non ci credi tu, perché dovrei farlo io?).
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Lavora per un gruppo editoriale di riferimento. Avverte la responsabilità di selezionare, puntare e intervenire su un inedito che in potenza potrebbe diventare un “classico di domani”? E, viceversa, si sente sicuro nelle sue scelte e valutazioni quando respinge un inedito che potrebbe avere delle potenzialità? Con chi condivide le sue scelte (altri editor, collaboratori, esperti del marketing, gruppi di lettura)?
La responsabilità si sente eccome. È una responsabilità economica, innanzitutto, perché una casa editrice è un’impresa e come ogni impresa ha necessità di produrre risultati. Lo dico anche in positivo: ottenere successi significa ottenere nuove risorse per fare meglio, e gli exploit commerciali permettono di pubblicare quei libri che – per logiche che conosciamo e che non avrebbe senso indagare in questo contesto – magari hanno scarse potenzialità di vendita ma hanno qualche chance in più di resistere al tempo.
Qual è il suo approccio all’editing con un autore? Quali sono le dinamiche di relazione che si creano con gli scrittori che cura e ci elenca almeno due grandi soddisfazioni con autori che ha accompagnato passo per passo, contribuendo alla loro fortuna editoriale?
L’editor deve far venire i giusti dubbi all’autore, valorizzare al massimo le sue risorse, minimizzare le possibilità d’errore: in altre parole, far diventare il libro ciò è già in potenza. Non deve mai dimenticare di non essere il co-autore, e che l’ultima parola non sarà la sua. Non deve imporre uno stile o un’idea di letteratura, ma cercare di sintonizzarsi ogni volta sulla scrittura altrui, intervenendo in maniera mimetica e solo dove ritiene sia necessario. Un buon editing è un confronto, talvolta doloroso, quindi necessita di rispetto e fiducia reciproca. Ho lavorato con molti autori, ne cito alcuni in ordine sparso – Siti, Vassalli, Avallone, De Cataldo, Vitali, Affinati, Bertante, Di Consoli – che soddisfazioni me ne hanno date eccome, in termini umani e professionali, ma per quanto l’editor possa contribuire, sono fermamente convinto che il merito di un libro sia sempre dell’autore.
Cosa legge un editor come Stefano Izzo, nel tempo libero, per staccare la spina e rilassarsi?
Leggo fumetti, qualche classico del Novecento, gli americani: in generale, nel tempo libero leggo tutto fuorché narrativa italiana contemporanea. Non per snobismo, ma proprio perché ho bisogno di staccare la spina. In più guardo molte serie tv, che sono forse la miglior forma di narrazione di oggi e mi forniscono continuamente buoni spunti anche di editing e costruzione di storie e personaggi.
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