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Intervista a Raul Montanari, docente di scrittura creativa

Raul MontanariContinua l'appuntamento con scrittori che da anni tengono anche corsi di scrittura creativa. Dopo Annalisa Bruni, ecco Raul Montanari, autore di dodici romanzi pubblicati dal 1994 ad oggi, e già qualche altro in cantiere. A Milano, dove vive, Raul Montanari collabora con numerosi editori italiani curando raccolte, traduzioni e testi per il teatro e la radio. Dal 2008 dirige il festival letterario Presente Prossimo, con numerosi appuntamenti da ottobre a dicembre. Il suo impegno per la promozione della cultura, l'attività letteraria, le traduzioni e la scuola di scrittura gli sono valsi nel 2012 l'Ambrogino d'oro, massimo riconoscimento istituzionale della città di Milano.

 

Raul Montanari, cosa ci racconta della sua esperienza con la scrittura creativa? Quando e come ha iniziato a tenere corsi di scrittura creativa?

Ho iniziato nel ‘99, dopo aver fatto qualche lezione come ospite di altre scuole. Ho notato che questi corsi, anche i migliori, potevano avere due difetti: erano tenuti da persone che erano brave a scrivere ma non a insegnare (o il contrario!); oppure erano corsi che ospitavano vari docenti, una formula interessante che però non garantisce continuità didattica. In particolare, gli studenti di questo secondo tipo di scuole lamentavano che i racconti che portavano al corso non venivano letti dagli stessi docenti che li avevano dati, e che spesso un relatore diceva loro cose che erano il contrario di quelle sostenute da un altro. Ho cercato di creare una scuola in cui fossero garantiti questi elementi: docente unico; competenza personale del docente sia come scrittore sia nei rapporti con gli editori, i critici, l’editoria; attenzione fortissima agli elaborati degli studenti. In base ai risultati, mi pare di esserci riuscito.

 

Come si sono evoluti i suoi corsi nel tempo?

All’inizio avevo un solo modulo didattico (e sette allievi). Oggi in un anno svolgo cinque moduli, progressivi, perché la strutturazione didattica è diventata molto più articolata. Gli allievi in un anno possono essere anche un centinaio.

 

Come sono cambiati, se sono cambiati, gli allievi (età, sesso, professioni...)?

Sono di provenienza molto varia, come è stato dall’inizio. La fascia di età più rappresentata va dai 25 ai 40 anni, ma ci sono sia allievi più giovani sia più vecchi. Vengono da tutta Italia, anche da Roma e dal Sud, sobbarcandosi viaggi scomodi e costosi che mi fanno sentire ancora più responsabile verso di loro! Fanno tutte le professioni, da quelle umanistiche (insegnante, pubblicitario…) a quelle scientifiche (ho ingegneri, matematici, chimici e altro ancora). Anche qualche disoccupato e qualche pensionato, naturalmente, ma pochi.

 

Nel tempo sono cambiate le loro aspirazioni, è cambiata la qualità delle prove e delle produzioni?

L’aspirazione è sempre stata quella di pubblicare con un buon editore, e il mio compito numero uno è sempre stato quello di spiegare, a chi non aveva il talento per poterci riuscire, che non ci sarebbe riuscito.

Moltissimi fra loro hanno accettato di ripiegare su obiettivi più modesti: pubblicare con editori piccoli (rigorosamente NON EAP!), partecipare con i loro racconti a concorsi, pubblicarli in rete. La letteratura può dare molta felicità anche indipendentemente dall’esito editoriale. Come esistono al mondo milioni di persone che giocano a scacchi senza la prospettiva di diventar campioni ma per la gioia di farlo, non è detto che tutti debbano arrivare a essere scrittori affermati. Quelli che hanno talento sì, naturalmente; e soprattutto quelli che oltre al talento hanno la vera determinazione, che è fatta di disciplina, fiducia e sacrificio.

Qualità molto diverse dalla grottesca mitomania di quelli che, appena hanno pubblicato un libercolo a pagamento o un racconto su un’antologia a diffusione condominiale, si affrettano a mettere “Scrittore” nella casella della professione del loro profilo Facebook. Non arriveranno mai da nessuna parte.

 

Quali sono state e quali sono ora le difficoltà maggiori che si incontrano durante i corsi (carenze a livello grammaticale, di vocabolario, o di conoscenze letterarie)?

Certamente carenze di cultura letteraria.

Che in Italia ci sia una slavina di aspiranti scrittori che non leggono è cosa risaputa; una scuola come la mia è una specie di rete che li intercetta. Infatti considero i miei corsi anche corsi di lettura.

Tondelli, che negli anni Ottanta si è speso molto per gli esordienti, raccontava di essere così esasperato dall’ignoranza di quelli che gli mandavano manoscritti che avrebbe voluto stabilire questa regola: prima di avere qualsiasi rapporto con me, devi dimostrarmi di aver letto almeno i 500 classici indispensabili per poter pretendere un minimo di competenza e originalità nella scrittura, e per poter parlare alla pari con me, capire i riferimenti che ti faccio e non farmi perdere tempo. Aveva ragione.

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Raul MontanariHa avuto qualche bella soddisfazione, c'è qualche allievo o qualche opera che ricorda con particolare piacere?

Be’, solo nel 2013 undici allievi sono usciti con i migliori editori italiani, da Mondadori a Rizzoli, da Feltrinelli a Guanda, Sperling, Fazi, Fanucci e così via, e uno, Giovanni Cocco, è arrivato terzo al premio Campiello. Gli altri nomi si trovano nella sezione Scrittura Creativa di www.raulmontanari.it. Le maggiori soddisfazioni me le danno quelli che non partono con un grande talento di base, e che vedo fare miglioramenti quasi lezione per lezione, pagina dopo pagina.

 

Qual è, se ce n’è uno, il suo libro preferito?

Non ce n’è uno solo e nemmeno dieci o venti. È impossibile rispondere a questa domanda, per quanto sia legittima.

 

Meglio l'e-book o il libro tradizionale?

Io sono legato al libro tradizionale, ma la salvezza dell’industria editoriale sarà nell’e-book. Non c’è dubbio su questo, perché le generazioni che oggi crescono abituandosi fin dai banchi di scuola a interloquire con uno schermo e una tastiera si abitueranno a leggere con quel tipo di supporto.

Comunque il libro tradizionale impiegherà moltissimo a diventare davvero obsoleto, perché con tutti i millenni che ha sulle spalle rimane un oggetto tecnologicamente geniale, comodissimo.

 

La scrittura creativa è più "indicata" per la narrativa o può riguardare anche la poesia? Nel caso lei ha qualche esperienza in merito?

È indicatissima per tutti e due i grandi comparti della letteratura.

Nel campo della narrativa, che è se vuoi un genere più “sporco”, in cui il rapporto con il mercato editoriale è più importante, imparare quanto basta per poter vendere e avere un pubblico, e non limitarsi scrivere cose magari interessanti, è fondamentale.

Nel campo della poesia, la differenza fra chi fa il vero lavoro poetico sulla parola e chi invece mette insieme scemenze in libertà, con il linguaggio che giustamente è stato definito “poetichese”, è enorme.

Arriverei a dire che la poesia, essendo lontana da logiche di mercato e rispondendo a esigenze artistiche più pure, rispetto alla narrativa ha ancora più bisogno di maestri e di allievi che capiscano cosa dicono i maestri. Dietro uno scemo che, come diceva Moravia, si illude di scrivere una poesia in cinque minuti solo perché va a capo prima di arrivare in fondo alla riga, e finisce per imitare gli imitatori degli imitatori dei baci Perugina, ci sono ignoranza e velleitarismo; dietro un cattivo prosatore che ha scritto un brutto romanzo c’è stato almeno del lavoro, c’è stato lo sforzo di organizzare una trama.

 

Cosa pensa, in generale, dei corsi di scrittura creativa? Non pensa che ce ne siano troppi o che in un qualche modo se ne abusi? Non c'è il rischio che si vada ad alimentare solo un aspetto narcisistico?

L’aspetto narcisistico non viene affatto alimentato, dato che ci pensano gli editori a farti calare le arie scegliendo di non pubblicarti.

I corsi di scrittura sono proliferati quando si è capito che c’era abbondanza di vacche da mungere, ossia che l’aspirazione ad avere un nome in copertina aveva assunto dimensioni sociologiche – vedi il programma Masterpiece. A quel punto moltissimi si sono improvvisati docenti senza avere neanche lontanamente i titoli per farlo. La differenza fra loro e quelli che lavorano seriamente è macroscopica.

 

Come lei ha già accennato poco fa, si dice che in Italia si legge poco ma che di contro tutti vogliano essere scrittori. Lei conferma questa impressione o pensa sia solo una frase fatta, utile solo per un titolo ad effetto sui media?

Confermo al cento per cento. In ogni caso ci sono i dati: in Italia i romanzi/libri di racconti/raccolte di poesie che aspirano a venire pubblicati sono vari milioni, mentre i cosiddetti lettori “forti”, ossia quelli che leggono almeno un libro al mese (il che non mi sembra neanche un grande sforzo, se ci pensi), sono assai meno di un milione. Quindi è corretto dire che si scrive più di quanto si legga.

 

Lei ha lavorato, e lavora, per televisione e radio, quotidiani e periodici: che rapporto ha con i media attuali?

Quelli con i critici sono sempre stati molto buoni. Negli ultimi anni si nota però un restringimento degli spazi che la critica letteraria ha a disposizione: rubriche soppresse, articoli sempre più brevi in cui diventa difficile per il recensore sviluppare un discorso.

In ogni caso non è mai la critica a creare un best seller, bensì le pile di libri che i lettori “deboli” trovano nei supermercati. Sono quelli a fare la differenza fra le 5-10.000 copie di un libro che ha fatto guadagnare il suo autore e il suo editore e le 50-100.000 di un titolo che ha davvero sbancato.

 

Perché non si insegna scrittura, e in particolare scrittura creativa, nelle scuole italiane? Ci sono alcuni esempi, ma sono lasciati all'iniziativa personale. Lei ha qualche esperienza da raccontarci in merito?

Sì, in qualche liceo e alla NABA, un’università privata di Milano.

Credo che la penetrazione nelle università italiane sarà costante. La scrittura creativa ha una tradizione lunghissima negli USA, dove nessuno si è mai sognato di sollevare critiche futili e incompetenti come capita di sentirne da noi.

Esempi:

1. “Il vero scrittore non ha bisogno di scuole!” E perché il pittore e il musicista sì? Perché il regista di cinema e il fotografo sì? Perché tutte le arti prevedono un apprendistato presso uno o più maestri mentre la prosa letteraria dovrebbe essere una specie di dono divino?

2. “Queste scuole sfornano autori che scrivono tutti uguale!” Davvero? E dove sono questi autori che scrivono in serie? Quelli che conosco io hanno stili diversissimi.

3. “Pirandello e Manzoni non hanno seguito nessun corso di scrittura creativa!” Non ne avevano bisogno, perché a scuola hanno studiato retorica e metodi compositivi; allora a scuola si insegnava anche a scrivere non solo a leggere.

Come diceva Pontiggia: «io non conosco nessuno che sia nato scrittore; conosco alcuni che lo sono diventati».

 

Qual è il suo prossimo progetto a livello personale? E in materia di scrittura creativa?

In materia di scrittura creativa mi basta e avanza andare avanti come negli ultimi 15 anni! È stata una grande gioia coniugare il piacere dell’insegnamento, che per me è importante perché sono un umanista, con le conoscenze dei procedimenti creativi; è come se due pezzi enormi della mia vita si fondessero.

A livello personale, sto lavorando a due romanzi che saranno il tredicesimo e il quattordicesimo che pubblico. Il primo uscirà all’inizio del 2015 per Einaudi Stile Libero, il secondo più in là.

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