Intervista a Paola Gallo, responsabile narrativa italiana Einaudi
Alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, Giulio Einaudi dichiarava di cercare «un vasto pubblico, oltre quello solito dei raffinati». Quanto, a distanza di tempo, è rimasto intatto quel desiderio all’interno della casa editrice? E lei, responsabile della narrativa italiana, in che cosa si sente affine allo spirito del fondatore?
Mi fa piacere che lei ricordi questa frase di Einaudi. La sua idea è sempre stata di fare cultura in cammino, creando nuovi lettori. Giulio Einaudi, che io ho conosciuto ottantunenne, era talmente curioso da faticare a stargli dietro: i suoi occhi azzurri, resi liquidi dagli anni, catturavano l'interlocutore. Cercava idee nuove, persone nuove, parole nuove. Interrogava continuamente il mondo. Mi è capitato ancora di recente, dopo un incontro con un giovane autore molto speciale, di pensare: a Einaudi sarebbe piaciuto. L'avrebbe portato a cena in una delle sue trattorie per tempestarlo di domande.
Io non mi sentirei mai di invocare nessuna affinità. Ma non mi stanco di cercare.
Lavora in Einaudi dal 1993, quali sono stati gli eventi che più hanno segnato la sua formazione come editor?
I tre lavori che ho fatto in casa editrice: tascabili, narrativa straniera, narrativa italiana. In altre parole: catalogo, selezione, trincea.
I tascabili sono la più grande delle scuole: c'è in gioco la carta d'identità della casa editrice, la permanenza del passato, l'attualizzazione. All'epoca, poi, la collana era appena nata, dunque si trattava di riprendere in mano per la prima volta sessant'anni di lavoro editoriale e 5000 titoli, per lo più interessantissimi e meravigliosi.
La narrativa straniera mi ha insegnato la cura del testo, oltre alla scommessa di scegliere.
La narrativa italiana mi è sembrata subito molto più selvaggia, ma appassionante: alle pile di libri già pubblicati da altri editori stranieri, si sono sostituiti i cumuli di carta dei manoscritti. Materiali ancora pulsanti, plasmabili. Una muraglia di aspettative. Scrittori con voci e corpo, con cui si poteva lavorare. La genesi del testo. Un lavoro da cercatori d'oro, a volte in miniera, a volte col setaccio a cercare pagliuzze nell'acqua che corre. Ma quando trovi una pepita la vedi scintillare, e in qualche modo diventa tua.
Il rapporto fra i libri di narrativa che decide di pubblicare e gli inediti che riceve in quantità: come filtrare evitando il più possibile gli errori di valutazione? O meglio, la dura vita dell’editor: prendersi la responsabilità di dire no a tantissimi inediti. Si sente a volte una “tagliatrice di potenziali teste” e come convive con i molti no che è costretta a donare?
Il rapporto è perdente, non c'è proporzione accettabile: stiamo arrivando a 8000 dattiloscritti all'anno, a fronte di due/tre esordi (e 25 titoli in totale). Preferisco non fare il calcolo… Io metto in conto ogni giorno di poter sbagliare: mi è successo, risuccederà. Non solo per la quantità dei titoli in arrivo, ma perché purtroppo, per quanto ci sforziamo, non siamo buoni lettori di tutti i libri.
Leggiamo tantissimo, incrociamo sguardi differenti, qualcuno della redazione (o io, o Dalia Oggero, Angela Rastelli o Marco Peano) cerca sempre di verificare l'operato dei lettori esterni, che peraltro sono fidatissimi e hanno anni di esperienza. Ma è un sistema a maglie larghe, non c'è niente da fare.
Vorrei dire a nostra discolpa che il livello medio delle cose che arrivano spesso non meriterebbe tanta cura: a volte abbiamo l'impressione di averci messo più attenzione noi nel leggere (e rispondere) che qualcun altro nello scrivere e inviare, ciecamente, senza rileggere, senza pensare nemmeno a quale casa editrice scegliere come destinatario.
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Riesce a scindere il lavoro dalla vita privata? Perché le storie ci accompagnano, come quando leggiamo un libro, e lei, facendosi accompagnare da trame e personaggi ogni giorno, non rischia di non staccare mai da un testo che la appassiona?
No, non ci riesco. Per la verità non ci provo. Porto a casa le storie, i pensieri, i grattacapi, un'idea sotto la doccia per la quarta di copertina, i problemi sentimentali degli autori, il dispiacere per qualcosa che va storto, l'entusiasmo per una scoperta, il dispetto o la gioia nel leggere la recensione domenicale. Twitter mi ha dato il colpo di grazia. Ma mi dico che se non mi piacesse, non lo farei.
Quale è stata la stretta di mano con un autore Einaudi che l’ha particolarmente emozionata e per quale ragione?
Giulio Questi, pochi mesi fa. Questo strepitoso esordiente di novant'anni, che uscirà a giorni nei Supercoralli con una raccolta di racconti intitolata Uomini e comandanti, mi ha accolta sorridendo nella sua casa romana e ha cominciato a raccontare. La Resistenza in Val Seriana, i primi racconti pubblicati da Vittorini sul Politecnico, la svolta del cinema: Fellini, Rosi, Trintignant, Thomas Milian, la guerra partigiana rielaborata nel primo spaghetti western italiano, Tarantino, la Colombia, Garcìa Marquez, Marlon Brando, il ritorno alla scrittura. Sono uscita così carica di entusiasmo che mi sembrava di aver incontrato almeno tre persone diverse. Un grande scrittore: i suoi racconti entrano di diritto (e in extremis) nell'olimpo della letteratura resistenziale italiana.
Fino a due/tre anni fa era in voga parlare di contaminazione dei generi e forse lo è ancora. Ci sono fenomeni nuovi che ha notato in sviluppo nella letteratura italiana?
Sono sincera, non so rispondere. I fenomeni mi annoiano a morte. Io vedo uscire tanti bei libri, questo sì.
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