Intervista a Mimmo Calopresti: in arrivo un nuovo film
Mimmo Calopresti, classe 1955, regista, sceneggiatore, attore ed esponente di spicco di una generazione di cineasti impegnati sul piano sociale e politico. Inizia la sua carriera all’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, per il quale realizza diversi documentari e cortometraggi e ottiene un importante riconoscimento nel 1985, anno in cui vince il primo premio al Festival Cinema Giovani di Torino con il video A proposito di sbavature. All’inizio degli anni ’90, avvia la collaborazione con la RAI. Il primo lungometraggio lo firmerà nel 1995, con La seconda volta, una pellicola che vince il premio Solinas per la miglior sceneggiatura. Seguirà il Nastro d’argento per La parola amore esiste. E poi, l’incontro e la collaborazione con Nanni Moretti. A partire da questo momento, si dedicherà sia alla produzione documentaristica, sia alla finzione, nel ruolo di regista e spesso di attore. All’attivo in particolare decine di documentari, alcuni girati presso gli stabilimenti della Fiat, con gli operai come protagonisti, che raccontano il lavoro quotidiano in fabbrica.
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Lo incontriamo a Roma, presso il Cineclub e scuola di cinema “Sentieri Selvaggi”, all’Esquilino, il suo quartiere, dove terrà un corso di “messa in scena” e dove sta per essere proiettato un film del 2002, che ha diretto e nel quale ha recitato accanto a Francesca Neri, dal titolo La felicità non costa niente. Sul palco, difronte a quelli che saranno i suoi allievi, parla di cinema Calopresti, e si sente che è davvero una passione. Parla, spiega e si sofferma a riflettere sui diversi stili di direzione cinematografica e, ripensando ad un suo incontro con Martin Scorsese, a Cinecittà, lo descrive nel momento in cui dirige, seduto dentro una cabina di regia, con un grande schermo davanti e senza quasi alcun contatto con la troupe, senza mai parlare direttamente con gli attori. L’esatto contrario di Rossellini, che aveva un rapporto continuo con gli attori, teneva le fila di tutti.
Lei ha fatto parte per molto tempo di un filone cinematografico che si può definire “cinema militante”. Pensa che sia un genere che abbia ancora un futuro?
Il cinema è uno strumento che si presta a tante forme. Quella stagione del mio lavoro, da documentarista, è stata molto importante. Abbiamo rappresentato temi forti. Perché il cinema è anche questo: un mezzo per raccontare la realtà. Per me, il cinema è un’esperienza fatta di tante cose: c’è il rapporto con i tecnici, la troupe, gli attori. Il regista deve avere una parola per tutti. E ci sono i dettagli. Inventare la scena, costruirla al momento, al di là della sceneggiatura, così che, in un giorno, può cambiare tutto. Sono importanti le luci, l’inquadratura e c’è la storia, il racconto.
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Cesare Zavattini parlava del cinema come di uno strumento di comprensione della realtà. Eppure lei è stato apprezzato più all’estero, soprattutto in Francia, che in Italia
È così. La fabbrica dei tedeschi, che racconta i fatti avvenuti nel dicembre del 2007 alla ThyssenKrupp di Torino, non è stato accolto bene a Venezia. Ma ora credo che ci sia nuovamente uno spazio importante per questo filone e anche per il documentario.
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Lei è un cineasta che spazia tra vari generi e recentemente si è orientato su tematiche più intime, ha messo l’accento sull’individuo.
Sì, è il film di finzione, è l’idea che bisogna raccontare anche la storia delle persone, degli individui, di ciascuno di noi. Non c’è regola nella vita delle persone. Ciascuno vive la propria storia ed è la realtà più intima. È importante raccontare questo, riuscire a comunicarlo, perché ormai siamo schiacciati da una sovrastruttura economica, commerciale e l’individuo non conta più nulla. Allora penso che ciascuno di noi deve imparare a guardarsi dentro e a difendersi. Altrimenti si finisce come i ragazzi della Thyssen che non hanno saputo difendersi, forse volevano tutelare il loro posto di lavoro e non hanno incrociato le braccia, per difendere se stessi. È un discorso individualista, forse poco solidale. Ma ritengo che sia importante.
Che progetti ha per il futuro?
C’è la scuola di regia e c’è il progetto di un film. Il titolo forse sarà Una questione non del tutto privata: ho trovato il titolo e ho capito che film voglio fare.
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