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Intervista a Maria Rita Parsi su “Maladolescenza”

Maria Rita Parsi, Maladolescenza«Ai nativi del secondo millennio è richiesto di apprendere, acquisire, consumare rapidamente per, poi, riformattare e riprogrammare, con altrettanta rapidità, nuovi contenuti e modi di fare». Partendo da questo assunto, con Maladolescenza, edito da Piemme e scritto da Maria Rita Parsi in collaborazione con Mario Campanella, si aggiunge una sfumatura molto importante alla connotazione dell'uomo come antiquato (penso, ad esempio, a Günther Anders), quella di “obsolescenza programmata", per cui tutto ciò che apprendiamo è già superato nel momento stesso in cui accade l'apprendimento, cioè nell'atto di acquisire familiarità con ciò che è nuovo.

Possiamo dire che si nasce già "antiquati", nel senso di già impossibilitati a stabilire una relazione di comprensione con la nostra contemporaneità, ritrovandoci disadattati, pur in assenza di una qualunque forma di patologia? In che modo, questa consapevolezza può aiutare a recuperare un rapporto con gli adolescenti?

Più che “antiquati”, si nasce pronti ad apprendere. Ogni bambino possiede la capacità di osservare, ascoltare, fare propri suoni e parole, sperimentare esperienze emotive e corporee perché la mente è aperta all’esperienza, curiosa e affamata di sapere. L’età dell’infanzia è, infatti, destinata a una limitazione che accompagna il raggiungimento della maturità, anche delle strutture celebrali, dopo i venti anni. Ma la maggior limitazione è rappresentata, a mio parere, dal tipo di educazione impartita (nella cultura dei consumi, la conoscenza si basa più sull’informazione che sulla formazione; il pensiero è indirizzato ad apprendere contenuti preconfezionati e non è stimolato, invece, a comprendere l’esperienza attraverso l’osservazione, la scoperta, la ricerca). Considerando la velocità con cui procede la conoscenza, l’educazione dovrebbe essere mirata più a far scoprire le potenzialità della mente che ad apprendere contenuti preconfezionati. Da qui e dall’”esercizio” che ciascun genitore dovrebbe fare di riattivare il ricordo della propria infanzia, preadolescenza e adolescenza, si dovrebbe partire per recuperare il rapporto genitori-figli.

 

La seconda parte di Maladolescenza raccoglie le testimonianze di 15 adolescenti, storie in cui l’adesione a modelli standard perché portatori di un riconoscimento gratificante si alterna a un senso di ribellione verso quegli stessi modelli (rifugio nei videogiochi; bulimia; sessualità vissuta come gioco; desiderio di uccidere la madre, ecc.) come possibile forma di affermazione del proprio sé. Perché queste strategie di autoaffermazione, che spesso trascendono nel patologico, appaiono, in alcuni contesti, come l’unica strada per una maturazione anche emotiva?

Le storie-testimonianza raccolte nel libro sono storie di espressione e insieme di affermazione del proprio sé; storie di adolescenti che, da un lato, sono “impegnati” a formare se stessi per poter traghettare dall’infanzia all’età adulta, dall’altro, però, sentono forte il bisogno di appartenenza al gruppo dei pari, come possibilità per emanciparsi dalla famiglia d’origine. Quando l’equilibrio tra il processo di individuazione e il bisogno di appartenenza viene meno, quando l’adolescente fatica a rintracciare nella società la propria modalità di spiegare le ali, egli può rifuggire verso comportamenti “trasgressivi” che nascondono, in realtà, la richiesta, alle figure adulte di riferimento, di un diverso sostegno alla loro crescita.

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Maria Rita ParsiLa realtà e le identità virtuali sembrano rappresentare una strategia di risoluzione all'insoddisfazione che potrebbe derivare da quanto appena descritto. Quali sono gli elementi che ne determinano il potere attrattivo sugli adolescenti?

La società in cui sono nati e cresciuti i nativi digitali sembra prediligere l’interattività all’interazione. La relazione tecnomediata è più facile, più narcisistica, consente di nascondere parti di se stessi che non piacciono. Spesso, agli adolescenti che non riescono ad accettare e ad elaborare il dolore e la fatica della crescita, che preferiscono fuggire, nascondersi, negare il problema, il virtuale può apparire come una sorta di "via breve" verso la felicità.

 

Dai recenti casi di baby prostitute (mi permetta di usare questa semplificazione giornalistica) a trasmissioni come 16 anni e incinta, fino ai sempre più diffusi casi di pedofilia, sembra quasi che l’attenzione sociale verso l’infanzia e l’adolescenza possa avere luogo o attraverso l’interessamento sessuale e deviato o attraverso l’effetto dello scandalizzarsi. È ancora possibile recuperare una giusta centralità del bambino e dell’adolescente in questo contesto sociale? E quale sforzo dovrebbe essere messo in campo?

Qualcuno dirà che è utopia la mia di credere che il mondo sarà salvato dal riconoscimento e dal rispetto dei diritti delle donne e dei bambini e che questa rappresenti l’ultima battaglia possibile, l’ultima rivoluzione culturale, prima della fine di ogni fine. A costoro rispondo con le parole di Oscar Wilde: «Una mappa del mondo che non preveda il Paese dell’Utopia non merita neppure uno sguardo». Prendersi “legalmente” cura di tutelare e difendere i diritti dei minori, significa, innanzitutto, prendersi cura del nucleo sociale di ogni società: la famiglia. Per rimettere al centro “Sua Maestà il Bambino”, come diceva Freud, la Convenzione Onu sui Diritti dell'Infanzia (New York, 1989) dovrebbe, poi, rappresentare il documento imprescindibile a cui ispirare progetti, percorsi e protocolli per la promozione della Cultura dell’Infanzia e dell’Adolescenza, da diffondere e sviluppare attraverso l’opera dei genitori, degli insegnanti, degli operatori sociali e della comunicazione, degli psicoterapeuti, degli assistenti sociali, degli uomini politici, di fede e di cultura, senza aspettarsi che “delegando” ad altri questa “rivoluzione culturale” essa sia ugualmente realizzabile.

 

Da alcuni anni si è andato sempre più affermando il curricolo della philosophy for children, ideato da Matthew Lipman e sperimentato in Italia sotto la guida di pedagogisti quali Maura Striano, con l’obiettivo di promuovere il pensiero complesso, come strategia per rafforzare la capacità di giudizio, e il pensiero “caring”, cioè un pensiero che sappia attribuire valore all’altro e, quindi, predisposto all’ascolto. Il recupero della filosofia, come capacità di riflettere, potrebbe essere alla base di una riappacificazione dell’adolescente con se stesso in funzione di un’interazione più consapevole con il mondo circostante?

Per poter elaborare nuove soluzioni dobbiamo recuperare, insieme alla filosofia, anche il “Pensiero creativo”: un pensiero del tutto simile a quello dei bambini, in grado di rivedere, in forme nuove e diverse, i propri vissuti. In psico-animazione sono state messe a punto ben settantasette tecniche che, nella loro ricchezza e varietà, costituiscono un formidabile strumento per tutti coloro che faticano a esprimere il loro pensiero creativo e che sono “ingabbiati” nel loro dolore. Anche l’adolescente, “ingabbiato”, assai spesso, nella fatica del crescere, può sostituire i pensieri tracciati dolorosamente nella memoria del corpo, della mente e dell’immaginario con nuove tracce, utilizzando tutti i linguaggi della comunicazione e dell’integrazione sociale (senso motorio, pittorico, figurativo, simbolico verbale e/o scritto, virtuale …), per sperimentare, così, nuove soluzioni di comunicazione e arricchire le proprie capacità relazionali.

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