Intervista a Giulia Cogoli, direttrice del Festival “Dialoghi dell’Uomo”
A caldo, a pochi giorni dalla chiusura dell’evento, il sentimento prevalente è quello della soddisfazione. Per Giulia Cogoli, ideatrice e direttrice del Festival di Antropologia Culturale Dialoghi dell’Uomo, che si tiene da cinque anni a Pistoia, sapere che la performance di quest’anno ha bissato e superato quella del 2013 – già lusinghiera con un +20% di presenza – registrando un ulteriore aumento del 20%, con più di 18mila visitatori nel corso della tre giorni, è fonte di grande appagamento per questo lavoro accurato e approfondito che ha dato i frutti sperati. Ma non bisogna cullarsi troppo sugli allori, e così – proprio a caldo – è il momento di rimettersi all’opera per preparare l’elenco delle cose che potranno andare meglio l’anno prossimo e che andranno perfezionate. «Col tempo i ricordi si mescolano e diventa tutto un gigantesco calderone in cui ogni cosa è bello e memorabile – commenta sorridendo Giulia Cogoli, che ha diretto anche il Festival della Mente di Sarzana, cedendo il testimone da quest’anno a Gustavo Pietropolli Charmet – mentre adesso, quando i ricordi sono ancora freschi, riusciamo a mettere a fuoco gli aspetti organizzativi, logistici e contenutistici che possiamo certamente perfezionare per l’edizione dell’anno prossimo».
Qual è, secondo lei, la ragione del successo dei Dialoghi dell’Uomo? Un’idea se la sarà fatta…
Sicuramente i risultati raggiunti in questo 2014 sono stati straordinari, se consideriamo che si trattava del weekend elettorale, per giunta di bel tempo che invogliava ad andare al mare. Eppure in tanti hanno scelto di venire a trascorrere questo fine settimana a Pistoia, a seguire gli incontri, guidati dalla sete di conoscenza, dalla voglia di confronto e di approfondimento. Ancora più straordinari se consideriamo il difficile periodo storico che stiamo attraversando e ciò ci motiva ad andare avanti e a fare meglio. Dietro ogni edizione c’è un grosso lavoro di ricerca, in sinergia con gli autori e con gli ospiti per proporre sempre contributi di qualità. E quando il pubblico trova la qualità, l’apprezza e la valorizza.
Perché il pubblico sceglie di andare a un festival culturale?
I Festival in Italia godono di ottima salute. Qualunque sia il settore, tutti sono mediamente in crescita. C’è una precisa ragione dietro questo fenomeno che abbiamo evidenziato in una ricerca denominata EffettoFestival 2012, curata da Guido Guerzoni, promossa dalla Fondazione Florens, in cui abbiamo analizzato i festival di approfondimento culturale come beni culturali. In tutto sono circa una sessantina, la maggior parte a impatto regionale, alcuni a impatto provinciale, una dozzina di respiro nazionale. Molti nascono e muoiono nel giro di pochi anni, purtroppo, e ciò comporta anche un dispendio di energie e di risorse economiche. Questo dei festival culturali in crescita è comunque un fenomeno tutto italiano, anche se riscontriamo delle best practice in Francia e in Germania. Il successo è dovuto essenzialmente al fatto che soddisfano una domanda di cultura che nessun altro si preoccupa di curare, né la televisione, né l’Università, intesa come istituzione, che offre eventi pressoché inaccessibili al grande pubblico. E poi c’è un bisogno di condivisione alla base del desiderio di frequentare questi eventi, per poter dire “Io c’ero”, perché ormai i grandi momenti di aggregazione e di veicolazione culturale non ci sono più, a cominciare dalla politica, c’è un vero vuoto.
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Quindi, possiamo dimostrare che la cultura aiuta il turismo e che con la cultura si può mangiare…
Assolutamente sì e noi lo abbiamo dimostrato ampiamente. Quest’anno abbiamo ricevuto la conferma che al Festival sono arrivati soprattutto da fuori regione, dal Lazio, dall’Umbria, dall’Emilia Romagna. Pernottamenti e cene sono la testimonianza di un indotto che genera economia, ma alla base ci deve essere sempre un lavoro di qualità. Chi acquistava i biglietti per l’ingresso ai nostri incontri – alcuni erano gratuiti, altri a pagamento – aveva garantito l’accesso gratuito ai musei. Il turismo culturale può aiutare molto il nostro Paese.
Quali sono gli ingredienti necessari per un buon festival?
Bisogna lavorare con grande professionalità, programmando gli incontri e aiutando i relatori a capire lo spirito del festival, entrandoci appieno. Soprattutto, credo che sia necessario creare contenuti, non credo alle manifestazioni generaliste, ai road show con le grandi star. Sicuramente non bisogna lasciare niente al caso, né all’improvvisazione. Questo consente anche di guardare in avanti con un occhio lungimirante, tastando il polso alla situazione dell’attualità in Italia, offrendo spunti di arricchimento culturale e personale.
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