Intervista a Ginevra Bompiani: la figura dell’esordiente
Lo scorso aprile l’università Ca’ Foscari di Venezia ha inaugurato la sua prestigiosa settimana della letteratura con Incroci di Civiltà. Il festival si è aperto con un incontro interamente dedicato agli esordienti, con nomi di alto spessore: Mario Ugo Marchetti (vice presidente del Premio Calvino) e Ginevra Bompiani, che hanno poi lasciato spazio a quattro giovani scrittori e alle loro prime opere. Un’iniziativa molto interessante e ricca di spunti, sia per chi è novizio del mondo della letteratura e dell’editoria, sia per chi di esperienza ne ha già abbastanza.
Ginevra Bompiani è figlia dello storico Valentino Bompiani, fondatore dell’omonima casa editrice; ha pubblicato i suoi scritti con Garzanti, Sellerio, Einaudi, e Bompiani. Con Roberta Einaudi fonda le Edizioni nottetempo nel 2002. Editrice, scrittrice, e chi più ne ha più ne metta, ha risposto alle nostre domande camminando per le calli della città veneta.
Un incontro rivolto agli esordienti. Cos’è che l’ha spinta a partecipare?
Beh, principalmente mi ha spinto a venire l’invito di Pia Masiero, che organizza questa cosa bellissima che è Incroci di Civiltà, a cui noi di Edizioni nottetempo partecipiamo spesso con dei nostri autori; quest’anno sia con Alexandra Censi che con Naomi Alderman. Gliene sono molto grata.
La sua è un’esperienza pluriennale, con occupazioni che vanno dal settore editoriale a quello universitario: un giudizio sulla figura dell’esordiente.
Sì, ho fatto molti lavori ma ho una voce sola, sia in una veste sia nell’altra. Gli esordienti sono certamente molto cambiati in questi ultimi anni: sono diventati una categoria. Anni fa ognuno sbucava da solo nel mondo della scrittura, sperava e piano piano si avviava alla pubblicazione. Adesso l’esordiente è diventata una specie di “pre-condizione” per essere pubblicati. Secondo me, invece, non bisognerebbe sbrigarsi tanto a pubblicare. Anzi, si dovrebbe aspettare di più. Infatti, la figura nuova dell’editor, che sembra necessaria per una casa editrice, è diventata fondamentale proprio perché gli esordienti inviano i loro testi prima che siano compiuti.
Troppo presto?
La maggior parte sì. D’altra parte oggi gli editori vanno a caccia di esordienti, che hanno anche il vantaggio di trovare case editrici che li cercano. Diciamo che trovano spesso un terreno fertile ad accoglierli.
Parlavamo prima della sua esperienza. Ma i suoi esordi, come sono stati? E quanto ha influito su di lei una personalità storica come quella di suo padre, Valentino Bompiani?
Mio padre ha influito moltissimo sulla mia vita: era una figura molto presente, molto ingombrante, molto prepotente ma anche molto interessante. Era una persona che potevo stare ad ascoltare e con cui potevo parlare per ore di libri e letteratura: mi leggeva Emily Dickinson, me la recitava. Era un humus letterario molto importante che mi ha impregnato fin da subito. Io gli ho sempre fatto leggere tutto, perfino quello che scrivevo da bambina, e lui era sempre severissimo e scoraggiante, ma era comunque un interlocutore importante.
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Ne ha parlato prima anche Marchetti. Il calo dei lettori e l’aumento degli scrittori, gli e-book, l’auto-pubblicazione: come reagisce una casa editrice indipendente come Edizioni nottetempo a tutto ciò?
Nell’unico modo possibile: si adegua, come ogni editore. Nottetempo per esempio è stata una delle prime case a pubblicare e-book. A me piace molto, non ho affatto paura dell’e-book: sono sempre e comunque “book”. Certo, continuo a preferire i libri cartacei perché si possono sfogliare ed è proprio questo uno dei più grandi difetti dell’e-book: non si può sfogliare. Però il vero problema non è quello; il vero problema sta nell’effettiva diminuzione del numero dei lettori, che a mio parere non è una crisi, ma una vera e propria mutazione, che continuerà e si evolverà nel tempo. E questa è una delle cose fondamentali di cui una casa editrice deve essere consapevole.
Nottetempo si adegua ha detto: qual è il vostro rapporto con i social?
Noi abbiamo una ragazza dell’ufficio commerciale che si occupa interamente della dimensione social ed è assolutamente “addicted”. Siamo una casa editrice molto social, ma non solo e questo è l’importante.
Conosce il programma televisivo Masterpiece?
Certamente.
Cosa ne pensa?
Ne penso malissimo. Sia chiaro, penso malissimo di tutti i programmi televisivi di quel tipo, anche di MasterChef per esempio. Ma Masterpiece non mi piace in modo particolare: la trovo una brutta idea, malfatta. Lo definirei un programma volgare.
Sul vostro sito vi presentate come la casa editrice della leggibilità. Quanto è importante la leggibilità come criterio di valutazione?
Sì, è un prerequisito molto importante per noi. Ma la leggibilità è una nostra caratteristica principale anche per come sono fatti fisicamente i nostri libri, snelli e leggeri, veri e propri tascabili.
E gli altri criteri?
Per prima cosa la qualità della lingua: per noi è una cosa fondamentale. Uno scrittore si riconosce quando inventa la sua scrittura, la sua lingua: può essere anche una lingua semplicissima (che è molto più difficile di quanto si possa pensare), l’importante è che sia propria di chi scrive. Si capisce subito quando si ha a che fare con scrittori “occasionali”, che tirano fuori le “prime parole che hanno in tasca”. Questo a noi non interessa, può raccontare quel che vuole, ma non fa per noi. Certo si può aver una propria lingua senza che essa sia perfetta, ma qui torniamo a parlare della foga del pubblicare.
Lei è scrittrice, editrice, traduttrice, saggista; ha lavorato con e su grandi nomi: da Calvino alla Dickinson, da Artaud alla Wolf. Quanta responsabilità c’è nel fungere da filtro tra i grandi nomi della scrittura e il lettore medio?
Chi scrive, scrive anche per chi legge. Dato quindi che il lettore è parte integrante e fondamentale della scrittura, le responsabilità in questi casi sono sempre enormi. Ma chiunque all’interno del mondo della letteratura ha grandi responsabilità: che scriva o che traduca deve fare il proprio lavoro con passione e al meglio delle proprie forze.
Un’ultima cosa: l’esordiente che ricorda averla colpita di più?
Questa è una domanda molto difficile, ma mi sento di dire Rimbaud.
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