Intervista a Elisabetta Migliavada, direttrice della narrativa per Garzanti
La casa editrice Garzanti da qualche tempo si sta distinguendo nel panorama editoriale italiano grazie al lancio di numerosi best-seller, favorendo anche l’arrivo in Italia di autori internazionali di grande successo, tra cui si ricordano, ad esempio, Clara Sánchez, Vanessa Diffenbaugh, Jamie McGuire e Jamie Ford.
Abbiamo posto qualche domanda alla direttrice della narrativa Elisabetta Migliavada che ci ha parlato di sé e del suo lavoro.
Come e perché ha scelto di lavorare nell’editoria?
Ho avuto la fortuna di crescere in una casa piena di libri. La passione per la letteratura è nata così, in maniera molto naturale. Poi, anno dopo anno, ho iniziato a provare curiosità per gli scrittori e per il dietro le quinte. Quando mi è stata offerta la possibilità di fare la lettrice mentre frequentavo l’università, ho subito accettato. Quello è stato l’inizio.
Lei si occupa sia di narrativa italiana che straniera in traduzione. Come definirebbe la linea editoriale della Garzanti? Che cosa significa dirigere una casa editrice come la sua?
La Garzanti è una delle più antiche e prestigiose case editrici italiane. Avere un’anima eclettica fa parte del suo dna, sin dalle origini, sin da quando pubblicava Pasolini e Capote e Gadda insieme a Michael Crichton e Erich Segal. Nell’ambito della narrativa che dirigo, cerco di continuare su questa strada. La sfida che il mio lavoro mi chiede ogni giorno è proprio questa: animare questo spirito eclettico, che copre tipi di letteratura complementari nella loro diversità. Senza però dimenticarsi di innovare.
Negli ultimi anni insieme alla narrativa straniera che ha visto l’emergere di grandi scrittrici internazionali come Clara Sánchez, Vanessa Diffenbaugh, Kim Edwards per citarne solo alcune, abbiamo sviluppato molto quella italiana: Andrea Vitali, che a ogni uscita si è dimostrato uno dei più grandi scrittori italiani, ma anche nuove voci che si sono imposte sulla scena come Sara Rattaro, Cristina Caboni, Michela Tilli.
Poi ci sono state anche sorprese felici e inaspettate, come la trilogia dei “disastri” di Jamie McGuire, un fenomeno editoriale che è partito dai ragazzi e ha incontrato il gusto di un più grande pubblico.
In generale sono convinta che per dirigere una casa editrice non bisogna mai smettere di cercare, di essere curiosi, di guardare oltre, e di essere sempre disposti a cambiare idea, quando necessario.
Se dovesse scegliere un oggetto che simbolicamente rappresenti il suo lavoro, quale sarebbe?
Ne direi due: un cannocchiale e un martello. Il cannocchiale perché bisogna sempre guardare ovunque, anche lontano, senza pregiudizi, per trovare una storia. Il martello perché in questo lavoro bisogna essere molto molto determinati e appassionati. E non smettere mai di “martellare” e quindi insistere, se si crede davvero in un libro.
Immagino che sulla sua scrivania atterrino quotidianamente un numero a dir poco alto di manoscritti e proposte di traduzione. Quali sono i criteri e i parametri che segue nella valutazione un libro?
Quando valuto un manoscritto, seguo tre caratteristiche fondamentali.
La prima: deve raccontarmi una storia che mi mostri il mondo sotto una prospettiva nuova, una storia da cui possa imparare qualcosa.
La seconda: la scrittura. Deve essere in grado di sostenere la storia che mi sta raccontando.
La terza: non deve tradire il patto che ha stretto con me sin dalle prime pagine. È un po’ come una promessa d’amore. Per me qualunque opera narrativa sin dall’incipit stringe con me una promessa: può essere quella di intrattenermi, quella di regalarmi una scrittura nuova, o quello di mostrarmi una nuova voce. Questo patto deve essere chiaro fin da subito e deve essere mantenuto fino all’ultima pagina.
Esiste un libro a cui ha lavorato che le è particolarmente rimasto nel cuore? E uno su cui era scettica ma che invece si è rivelato un grande successo?
Sono tutti nel mio cuore! Non ce n’è nessuno che occupi una posizione più alta rispetto a un’altra. Come si dice “Ogni scarrafone è bello a mamma sua”. Per me i libri che ho scelto e pubblicato sono tutti figli amati, non posso scegliere.
A proposito di traduzione... Quali caratteristiche deve avere secondo lei una buona traduzione?
Voglio citare Umberto Eco che già nel titolo del suo meraviglioso saggio sulla traduzione – Dire quasi la stessa cosa – sintetizza al meglio quello che penso sull’attività del traduttore: chi traduce non deve solo conoscere la lingua nella sua forma letteraria ma anche parlata e quotidiana di ogni giorno. Deve avere un altro dono fondamentale: deve essere sensibile, deve riuscire a entrare nella testa dell’autore, deve essere anche un po’ psicologo, e capire come lo scrittore avrebbe espresso quello che vuole esprimere e nella lingua in cui si sta traducendo. Perché il traduttore deve riuscire e dire “quasi” la stessa cosa, quel quasi è dato dal fatto che la lingua, la forma, determina anche il contenuto in molti casi, forma e contenuto sono profondamente legati e imprescindibili.
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Esiste a suo avviso una differenza tra un libro di qualità e uno commerciale?
Questo ambito è il regno dei pregiudizi. Spesso erroneamente si tende a credere che un libro commerciale sia per forza di pessima qualità, o che al contrario un libro di qualità sia solo per pochi eletti.
Non è affatto così: si può trovare qualità in romanzi definiti commerciali, come si possono trovare tanti lettori per romanzi definiti di qualità. Alla fine alla base c’è sempre la solita domanda: cosa è letteratura e cosa non lo è?
Per rispondere io do la parola ai lettori: ci sono libri diversi, ognuno può incontrare un lettore. Il problema nasce se non lo incontra questo lettore, allora che letteratura è?
E poi lasciatemi aggiungere una cosa: pensate ai romanzi feuilleton, al giorno d’oggi sono considerati classici, ovvero romanzi di qualità. Ma una volta erano romanzi popolari, romanzi commerciali, apparsi sulle riviste puntata dopo puntata. Allora cosa è commerciale e cosa non lo è? Chi lo decide? Le vendite? Il pubblico? L’elemento importante secondo me è un altro: in entrambe le epoche hanno trovato un lettore. Mi pare questo l’elemento fondamentale. Leggere non cambia, ma possono cambiare i lettori e i bisogni della società.
Da qualche tempo stiamo assistendo al passaggio dalla carta al digitale. Nello scorso dicembre il ministro Franceschini ha equiparato l’IVA degli e-book al tasso percentuale applicato per i libri cartaceo portandola al 4%, risultato ottenuto anche a seguito della campagna sviluppatasi in rete “un libro è un libro”. Secondo lei un e-book è un libro?
Sono convinta che l’ebook sia una grande opportunità per la lettura e la sua diffusione. Certo agli inizi i media parlavano della crisi del libro e dell’avvento della nuova tecnologia che avrebbe distrutto il cartaceo. Ma la realtà ci ha dimostrato che non è affatto così. Il libro fisico resiste, quello elettronico cresce e trova lettori diversi, o lettori che amano avere l’ebook per leggerlo mentre viaggiano da casa al lavoro, e che però poi amano avere la copia fisica per tenerla nella libreria di casa.
Peraltro ci tengo a dire che certamente l’ebook è a tutti gli effetti un libro. Dietro la sua creazione c’è un editore che lo fa nascere, un editor che segue l’autore, un ufficio stampa e un ufficio marketing che si occupano della sua promozione, un grafico che si occupa della copertina, un redattore che si occupa della lingua, eventualmente un traduttore… Una nutrita schiera di professionisti, al servizio del libro: cosa cambia se è di carta o elettronico, da questo punto di vista? Io credo nulla.
Negli ultimi anni l’internazionalizzazione dei mercati ha cominciato a mostrare effetti tangibili anche nel mondo dell’editoria italiana. Sono cambiati i rapporti con le agenzie letterarie e con gli editori europei e colossi come Amazon hanno raggiunto livelli di vendita incredibili. Lei come vede il futuro dell’editoria e del libro? In che direzione stiamo andando?
La polemica tra Amazon e Hachette ha mostrato al mondo che l’editore è ancora più importante, ancor più fondamentale. Nel corso di questa polemica centinaia di autori, grandissimi scrittori internazionali, persino premi Nobel si sono schierati con Hachette dimostrando al mondo che l’editore è fondamentale. E del resto questo lo dimostra anche il fallimento di alcune piattaforme che promettevano successi grazie alla pubblicazione senza editore rivelatesi poi degli enormi flop. Il libro si sta rinnovando, e il futuro è nelle nostre mani ancora più di prima.
L’ISTAT ha reso noti i risultati del rapporto 2014 sulla Produzione e lettura di libri in Italia: il numero di lettori cala ancora e per il 25,5% degli editori sono rimaste invendute più della metà delle copie stampate nel 2013. È tutta colpa dei lettori e della politica, oppure ci sono delle responsabilità oggettive anche del sistema editoriale? In quale modo, si potrebbe provare, a suo avviso, a invertire la direzione?
Il futuro appartiene ai giovani. Ed è lì che bisogna lavorare prima di tutto. Lo dimostrano i tanti best-seller che nel nostro gruppo hanno incontrato proprio loro, a partire da Jamie McGuire. Ma ce ne accorgiamo anche alle presentazioni. Come quelle di Clara Sánchez: presentazione dopo presentazione il pubblico giovane aumenta. Sono loro il futuro: i giovani se si appassionano alla lettura, poi sono fedeli e voraci. Quindi bisogna cominciare dalla scuola, lavorare con gli insegnanti, insegnare la lettura e la scrittura. Ma bisogna intervenire radicalmente, cambiando i programmi scolastici, introducendo programmi specifici per lettura e scrittura. So che non è facile, ma è da lì che si comincia e ci si assicura un futuro. Di recente mi è capitato di andare in alcune scuole a fare dei laboratori di scrittura: ho incontrato un terreno molto fertile e insegnanti che con la loro determinazione e passione, nonostante tutte le difficoltà che potete immaginare incontrino ogni giorno, sono gli eroi dei nostri tempi.
Un’ultima domanda. Ha mai pensato di “passare dall’altra parte” e scrivere un libro?
No, per adesso mi limito a editarli i libri. In futuro chi lo sa!
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