internodue: Maria Francesca Cupane “Ciao Papà”
Il nostro cantiere questo martedì ospita Maria Francesca Cupane. Con la sua scrittura dal ritmo teatrale si è fatta notare in diversi premi letterari e ha partecipato ad antologie di racconti raccogliendo consensi e apprezzamenti. Qui ci propone una storia di ‘commiato’, con una voce semplice e sentimenti forti che come un ordito fanno da contrappunto alla trama melodica del testo.
- Ciao papà! Ciao papà! Ciao papà! Oh! Finalmente stiamo un po' da soli... ché ti devo raccontare un po' di cose. Ma lo sai che cosa mi ha detto lui, l'altro ieri? Eh?! Lo sai che mi ha detto tuo figlio, mio fratello? Pensa, mentre venivamo a trovarti, ed ero seduta sul sedile anteriore destro della sua macchina, mi ha visto sobbalzare e mi ha detto: “Che salti? Mica ho frenato di botto!”. Lo sai papà, lo sai papà, lo sai papà, come guida la macchina: di scatto. Perché è nevrotico, è ansioso, anzi ansiogeno, lui. Però non aveva frenato! Allora gli ho indicato l'insegna, l'indicazione, la scritta che mi aveva fatto sobbalzare. E lui mi ha detto: “Esagerata! Sei sempre la solita pessimista! Rilassati!”. Capito papà? Capito papà? Capito papà? Mi ha detto che sono pessimista, mi ha detto di rilassarmi! Perché tu non eri con noi. Perché, se tu fossi stato con noi, glielo avresti detto, tu, che non è vero che sono pessimista. Tu gli avresti detto che non sono pessimista, ma semplicemente realista. Perché tu hai sempre detto: “Chicchetta mia bella ha ragione. Lei ha sempre ragione!”. Senti un po' papà... ma non è che tu mi hai dato sempre ragione perché la ragione è dei fessi, vero? No. Lo so che non è per questo. Tu mi hai dato sempre ragione perché sai che ho ragione, perché sono realista, perché sei l'unico che mi ha sempre capito, anche solo con uno sguardo.
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- Oggi sono venuta da sola, con la mia macchina. Adesso arriverà anche lui: tuo figlio, mio fratello. È che doveva sbrigare delle faccende, doveva fare dei giri amministrativi. Li fa lui papà, insieme alla mamma. Perché io e te non riusciamo a fare quelle file noiose, a sbrigare certe faccende. Lo fanno loro. Noi abbiamo altre cose da fare. Noi impieghiamo il nostro tempo in cose più divertenti.
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- A proposito di cose divertenti, papà. Te lo devo dire perché altrimenti finisce che me ne dimentico. Ti volevo dire papà... ma lo sai che sei stato divertente, quella volta, davanti al notaio? Sì! Mi sono divertita. Tutti i tuoi fratelli stavano lì a dare le loro serie e seriose generalità e quando è toccato a te, invece di dichiarare sinceramente la tua professione 'ingegnere' hai detto 'orologiaio'. Bravo papà, bravo papà, bravo papà. Tutti lì a guardarti scandalizzati, mentre io ti guardavo divertita. Bravo papà. Meglio ridere e scherzare, papà! Lo sai che l'altro giorno mi è tornato alla mente quell'episodio e ti ho pensato? Sì! Perché un mio amico mi ha detto: “Oh... ma non riesci a formulare una frase seria e di senso compiuto?” Io non gli ho risposto. Ho solo riso. Ho riso e ho pensato a te. Io e te abbiamo sempre riso.
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- Poi papà... lasciami dire che mi sono emozionata l'altro ieri al vostro matrimonio. Tu e la mamma finalmente sposi. Che bello! E la colpa è mia... o forse merito.
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- Sì papà, sì papà, sì papà. Lo so che è merito e non colpa. Sai papà: non mi sarei intromessa tra di voi, tra i vostri sentimenti. Ma l'ho fatto. L'ho fatto perché ti ho sentito diverse volte chiederle di sposarti. E lei ti rispondeva di no! Diceva 'no' perché non voleva far parte della tua famiglia. Ma che famiglia? Tanto tu, la tua mamma e il tuo papà non ce l'hai più. E i tuoi fratelli e le tue sorelle hanno la loro vita, le loro famiglie. Ma che c'entra? Sono sicura che quando rispondeva così non capiva niente! La tua famiglia è la nostra, siamo noi. Ma lei ti rispondeva così perché dava risposte illogiche, irrazionali. Perché, quando si tratta di te, non usa la testa: usa il cuore. Vero papà? Vero papà? Vero papà?
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- Sì. Lo so che è vero! È stato emozionante partecipare al vostro matrimonio. Ed è stato merito mio. Sono stata io a volervi vedere sposati. Sai perché, papà? Sai perché, papà? Sai perché, papà? Perché era la cosa più ovvia, più logica, più razionale, più ragionevole... e la più sentimentale. Perché invece di festeggiare le nozze d'oro, che non potevate festeggiare perché non vi siete mai sposati, era giusto vedervi festeggiare con un matrimonio. Un matrimonio prezioso come l'oro, più dell'oro. Perché gli altri non ce la fanno. Gli altri si lasciano al rientro del viaggio di nozze; oppure dopo un anno; i più stoici dopo qualche anno. Voi no. Voi non vi siete mai lasciati. E non credo che sia stato semplice.
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- Sì lo so papà, papà, papà. Dura... è stata dura. Tanto le conosco le tue marachelle. Le conosco tutte quante e... e sono state tante.
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- Non ti preoccupare. Non ti preoccupare. Non ti preoccupare. Non te ne sto facendo una colpa, anzi. Ti servivano le scappatelle... per scappare. Per scappare da mamma: com'è pesante! Pesante eppure bella come il suo essere, come il suo nome: Rosa. Spinosa e pungente. Eppure profumata e delicata. Rosa di spine. Rosa di amore. Quell'amore che ti ha sempre perdonato tutto, quell'amore che ti ha sempre difeso, quell'amore che ti ha sempre accolto. Quell'amore dal quale fuggivi per non farti pungere. Quell'amore in cui ti rifugiavi perché delicato, rassicurante. Rosa. La tua Rosa. È stato bello vedere le rose al vostro matrimonio. Le ho comprate io, papà. È colpa mia. O è merito mio, papà.
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- Sì, lo so. Sì, lo so. Sì, lo so, papà. È merito mio. Grazie.
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- No papà, no papà, no papà. Non sei tu a dovermi ringraziare: sono io. Grazie papà, grazie papà, grazie papà. Perché in silenzio mi hai insegnato a ridere e a scherzare. Perché con l'esempio mi hai insegnato ad amare: al di là degli schemi, al di là delle convenzioni, al di là delle apparenze. E grazie, papà, per avermi sempre creduto. Grazie papà, grazie papà, grazie papà. Grazie per avermi creduto e grazie per avermi difeso. Grazie per aver sempre sostenuto che non sono pessimista ma realista. Grazie per aver sempre detto: “Chicchetta mia bella ha ragione. Lei ha sempre ragione!”
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- Sono contenta, papà, di essere riuscita a rivelarti i miei sentimenti. A noi basta poco: poche parole. E se non troviamo le parole, basta uno sguardo. E anche al buio, basta un gesto. Basta la mia mano nella tua, sopra la tua. Ecco papà: adesso arriveranno loro. Chicco e la tua Rosa. Così... così potremo uscire insieme. Tutta la famiglia. E così potrai farglielo capire tu, a Chicco, che non è vero che sono pessimista. E così potrai farglielo capire tu, a mamma Rosa, che sono realista.
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- Papà, papà, papà! È quella l'insegna che mi aveva fatto sobbalzare. Ma Chicco non aveva frenato. Glielo avevo detto che, secondo me, tu saresti passato lì. Ma lui mi aveva detto: “Esagerata! Sei sempre la solita pessimista! Rilassati!”. Capito papà? Capito papà? Capito papà? Diglielo tu che avevo ragione: che non sono pessimista, che sono realista. Sai papà, sai papà, sai papà, l'indicazione? C'è scritto... ‘Camera Mortuaria’. E tu stai uscendo da qui. E Chicco sembra che ancora non abbia capito. E mamma Rosa sembra che ancora non ci creda. Glielo farai capire tu, papà.
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- Ciao papà! Ciao papà! Ciao papà!
Maria Francesca Cupane è nata a Roma dove tuttora risiede e lavora.
Siccome la sua giornata è di 48 ore, dopo la gestione del suo lavoro, della famiglia, della casa, degli amici, si dedica alla sua passione: la scrittura.
Ha pubblicato racconti in diverse antologie e si è distinta in alcuni premi letterari.
A cura di Sara Gamberini e Giovanni Ragonesi
giovanniragonesi@sulromanzo.it
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