“Insolita storia di una vita normale” di Carlo Repetti
Il direttore del Teatro Stabile di Genova approda in libreria con un testo autobiografico, un romanzo che descrive il viaggio di suo padre attraverso gli anni d’un secolo ambiguo e affascinante: il ‘900. L’opera, edita da Einaudi, adotta la forma narrativa del racconto ed ha come protagonista un vecchio di ottant’anni che parla di sé e della sua vita al figlio quarantenne.
A pagina 4 del libro d’esordio di Carlo Repetti si legge: “Il padre parla guardando verso il filo dell'orizzonte, come se le cose che racconta potesse vederle davvero, in un film lontano proiettato là in fondo. E in effetti quei ricordi arrivano da una terra molto distante e da un tempo lontano”. La terra a cui il narratore fa riferimento è il Sud America. È da lì che comincia la sua storia: da Tacna, un paese dell'estremo sud del Perù, al confine con il Cile, vicino il deserto di Atacama.
Il testo si snoda in sei tappe fondamentali, sei momenti nodali che tracciano i ricordi di tutta la sua vita. La prima reminiscenza riguarda un episodio che risale a quando aveva cinque anni. Figlio di una coppia di emigranti italiani, che all’inizio del secolo - come tante altre - era espatriata in cerca di fortuna, impara presto il significato dell’esistenza. Assiste inconsapevole alla morte del fratello Beniamino e accompagna il padre in viaggio per affari, scoprendo il carattere duro ed austero del genitore, ma anche le illusioni, i desideri e le speranze della povera gente. Si continua con il ritorno in Italia, a Genova, dopo vent’anni passati ai margini del mondo. Un ritorno difficile, in nave, su cui il giovane attraversa il canale di Panama e vede per la prima volta uno spettacolo meraviglioso: le nuvole. Giunge nel Belpaese e passa un periodo in convento, per una forte vocazione mai abbastanza coltivata. Poi, arriva il fascismo e viene travolto dalla guerra. Da un conflitto atroce, che cancella e annienta ogni cosa. La sua vita prosegue e, grazie agli studi intrapresi, diventa medico: un bravo dottore, dall’animo forse un po’ troppo sensibile. Infine, c’è la morte, che sopraggiunge esattamente l’ultima notte del secolo, l’ultima notte del millennio.
Una scelta dell’autore, questa, emblematica e metaforica, che segna - nella storia - non solo la fine di un secolo particolare, ma anche l’inizio di una memoria che si deve ancora formare: quella del figlio che, alla dipartita del padre, si rende conto d’aver paura. È desolato per la perdita, ma ha anche il terrore di non poter raccontare la sua vita a nessuno.
Grazie ai ricordi del vecchio, raccontati con partecipazione, il figlio si rende conto di amare davvero il genitore per la prima volta. Seguendo avidamente l’esposizione dei fatti, intuisce che ogni parola detta è come un mattone e che, frase dopo frase, sta ascoltando un muro di ricordi. Il testo di Repetti, infatti, è un flusso di memorie. Leggendolo si ha l’impressione di rivivere il secolo appena passato. Si rivedono le scene d’un film in bianco e nero, in cui le sequenze si susseguono staccate l’una dall’altra: si passa rapidamente dalla terra arida di un paesino sperduto al viaggio attraverso il deserto, dalla nave di un ritorno sofferto alla vita in un rigido convento in Italia, dalle atrocità della guerra alle cure amorevoli di un dottore sensibile.
Il messaggio tacito, che rimane dopo aver letto questo romanzo, è l’invito a vivere la propria vita pienamente, costruendo i ricordi tassello dopo tassello, forgiando il muro della memoria giorno dopo giorno. Si deve creare, in sostanza, una storia da poter raccontare agli altri, anche se sarà quella di un uomo normale.
Repetti ha dato vita ad un’opera piacevole, ma priva di suspense, di tensione e di apprensione per i protagonisti. Anzi, in alcuni tratti, la lettura diventa quasi piatta e, sin da subito, il lettore intuisce come si svolgeranno i fatti. D'altra parte, non si tratta di un giallo o di un noir, ma di un “romanzo di formazione”, com’è stato definito.
Ad ogni modo, Insolita storia di una vita normale è un’opera degna di nota: appena 140 pagine, ma ricche di profondità esistenziale, che lasciano dell’amaro in bocca ed aiutano a capire la vita.
Stilisticamente, il libro è intarsiato di belle parole e frasi struggenti, di pensieri e concetti che fanno riflettere. Le descrizioni sono scritte magnificamente e suonano pastose come le note di un sax. Il linguaggio usato è carico di passione. Lunghi elenchi descrivono abilmente le ambientazioni, mentre espressioni ben articolate e vocaboli adoperati magistralmente plasmano un’atmosfera densa e profonda. Un incipit ben fatto anticipa la corposità e lo stile di un’opera che merita di essere letta.
“De la Sierra Morena Cielito Lindo, vienen bajando….
Da qualche patio lontano arrivavano le note della canzone più amata.
Canta y no llores, porque cantando se alegran, Cielito Lindo, los corazones.
Profumo dolciastro di fiori maturati nel caldo del mattino, odore di candele e di finestre chiuse, la strana presenza di panni di velluto nero bordati in oro piegati sul tavolo e sulle sedie della sala, colpi di tosse e singhiozzi improvvisi di mia madre e delle donne di casa, concitazione, frasi sussurrate e fuori, nel primo sole del mattino, dove la lucertola già corre sul muretto a secco della chacra, seduta di schiena in un angolo la figura di un uomo, mio padre forse, le spalle scosse da un pianto silenzioso che si alzano e si abbassano ritmicamente in un effetto che a me e a mia sorella pare irresistibilmente comico, risate trattenute a stento con una mano sulla bocca”.
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