Iniziare un romanzo – 10 incipit d’autore
Come iniziare un romanzo? Sugli incipit c'è tanto da dire, è doveroso cominciare a parlarne in medias res.
L'incipit ha un solo scopo di esistere e non è quello di iniziare un romanzo, perché un buon romanzo è un mondo che esiste già.
L'obiettivo dell'incipit è “connettere”: creare un legame tra lettore e autore, ma anche tra lettore e personaggio. Per raggiungere questo risultato si possono provare diverse tecniche, che vedremo in quest'articolo con degli esempi di incipit di grandi autori.
''Connettere'' significa, in termini pratici, presentare al lettore sia il nostro stile di scrittura sia il personaggio protagonista o la vicenda.
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«A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, che tornando stanche morte speravamo ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino.»
(La bella estate, Cesare Pavese)
Pavese ci mostra che non sempre per descrivere un personaggio abbiamo bisogno di nome, cognome e colore dei capelli. Al centro di questo incipit c'è il milieu, come avrebbero detto i realisti francesi, ovvero il contesto all'interno del quale si svolge la vicenda emotiva del protagonista.
A proposito di emozioni, molti grandi autori sfruttano le prime righe del racconto per incollarci alla pagina, con l'obiettivo di farci domandare: ''Cosa succederà a questo povero disgraziato?”
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«Qualcuno doveva aver diffamato Josef K. Perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato.»
(Il processo, Franz Kafka)
In una riga Kafka ci fa immedesimare in K. Nemmeno il tempo di voltare il libro a cercare l'etichetta del prezzo che la paranoia, l'impotenza e l'ingiustizia sequestrano la nostra attenzione. Tutti i grandi temi del romanzo ci vengono presentati nella prima riga, nonostante l'inizio in medias res, di cui parleremo a breve. Queste parole-chiave non sono scritte ma ci sono; con sublime eleganza Kafka quasi ci irride, come se dicesse: “Non ho bisogno di dare un cognome a K. per farti sentire impotente”.
Vicino alla connessione emotiva c'è la credibilità; il lettore accetta il patto narrativo di sospensione dell'incredulità, ma lo fa solo se ritiene l'autore degno della sua fiducia. Autori come King o Eco potrebbero vivere di rendita, grazie alla fama acquisita in decenni, ma non si tratta solo di questo. Ogni romanzo è una storia a sé. Dovrebbe avere una sua coerenza interna e non è facile realizzarla.
Certe volte si ricerca l'originalità dello stile per attirare il lettore.
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«Mariam aveva cinque anni la prima volta che sentì la parola harami.»
(Mille splendidi soli, Khaled Hosseini)
“Harami” è la parola chiave e rappresenta un colpo di scena linguistico; harami, significa figlia illegittima, difatti la protagonista è nata da una relazione tra suo padre e una serva. Non è solo un artificio letterario, è il cuore del conflitto emotivo del romanzo.
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«Il Vicolo Cannery a Monterey in Californa è un poema, un fetore, un rumore irritante, una qualità della luce, un tono, un'abitudine, una nostalgia, un sogno.»
(Vicolo Cannery, John Steinbeck)
In quest'esempio, come in Pavese, si vuole presentare un contesto, più che un personaggio. La differenza è nella scelta delle parole. È come se Steinbeck dicesse: “Fidati della mia credibilità, so usare figure retoriche come l'accumulazione e la metonimia.”
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L'originalità nello stile si può manifestare in tante forme, per esempio tramite scorrettezze grammaticali:
«Macchiffastapuzza, si chiese Gabriel, arcistufo.»
(Zazie nel metrò, Raymond Queneau)
Si può attingere dalla poesia, ma anche dal teatro. Per esempio, usando una tecnica azzardata come la rottura della quarta parete, si rischia di cadere in un vuoto cliché o perfino di impedire al lettore di immedesimarsi.
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Certe volte è proprio l'effetto che l'autore vuole; l'esempio magistrale si trova in ogni manuale per liceali:
«Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case […] considerate se questo è un uomo.»
(Se questo è un uomo, Primo Levi)
Riesce a presentare la vicenda, far partecipe il lettore del dramma emotivo dei personaggi con eleganza stilistica, senza forzare l'immedesimazione ma piuttosto facendo vibrare le corde della compassione.
La tecnica opposta fu battezzata da Orazio, tutti la conoscono, ma non sempre la si sa usare bene. Iniziare in medias mes per molti significa prendere una bella scena d'azione a metà del libro e scriverci sopra ''Capitolo 1''. Subito dopo si pone il problema di come presentare la vicenda, il protagonista e lo stile. Si ha quella sensazione che manchi qualcosa, ovvero la prima metà del romanzo. Spesso si ricade in prolessi e analessi, giocando in modo indiscriminato col tempo del racconto, con tutti i rischi del caso per uno scrittore inesperto. L’architettura dei segmenti narrativi è importante per definire il senso complessivo del racconto. Parlando di incipit, avevamo affrontato questo discorso.
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«Amerigo Bonasera sedeva nella III Sezione Penale della Corte di New York in attesa di giustizia: voleva vendicarsi di chi aveva tanto crudelmente ferito sua figlia e, per di più, tentato di disonorarla.»
(Il padrino, Mario Puzo)
Ne Il padrino c'è tutto, ma davvero tutto: parole-chiave, tematiche, vicende emotive. Amerigo Bonasera è il personaggio scelto dall'autore per fare da “presentatore della scena”. È un uomo che ha mantenuto una certa distanza dalla mafia italo-americana, è il giusto cardine tra lettore e boss mafioso. Nonostante ciò la vicenda è già iniziata, c'è già tensione perché il personaggio è minacciato e sarà solo l'inizio di un inevitabile climax.
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Abbiamo già visto Kafka, maestro di questa tecnica, lo ripropongo con un classico:
«Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregorio Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto.»
(La metamorfosi, Franz Kafka)
Stavolta sfrutta l'effetto sorpresa, così come l’incipit per contrasto o gli incipit stilistici di Queneau o Steinbeck. Ricordo la prima volta che lo lessi a scuola, sapevo già tutta la storia, d'altronde l'avevo studiata. Si evince anche dal titolo, ma per quanto ti possa preparare, questo incipit, in particolare la parola insetto, ti lascerà sempre spiazzato.
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Anche se nei secoli questa tecnica è stata abusata e si potrebbe argomentare che abbia perso la sua forza, c'è chi ha preso spunto dal dibattito per il suo incipit:
«Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall'ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti”.»
(Lo straniero, Albert Camus)
Albert Camus ha preso un incipit in medias res classico e lo ha esasperato. È una sorta di provocazione stilistica: la mamma è morta, la vicenda è iniziata, ma quando? Ieri, non so. Questo genere di incipit tende ad essere rapido, incisivo e quasi telegrafico. Albert Camus scrive direttamente un telegramma! Un genio che si beffa di noi comuni mortali.
Un'altra possibilità è l'incipit introduttivo, spesso chiamato “descrittivo” con superiorità, come se fosse troppo noioso per funzionare. Il termine tecnico ''ab ovo'' ce lo fornisce sempre Orazio, il lettore smaliziato avrà ormai capito che citare l'Ars Poetica è un modo fin troppo lezioso per guadagnarsi la credibilità di cui sopra.
L'incipit di Cesare Pavese, il primo citato, è di questo genere. È una partenza classica, utilizzata sempre da lui ne La casa in collina («Per me non era un luogo tra gli altri, ma un aspetto delle cose, un modo di vivere.»); lo si ritrova nei tradizionali romanzi rosa, ma anche ne Lo Hobbit di Tolkien («In una caverna sotto terra viveva un Hobbit. Non era una caverna brutta»).
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Se ci fosse un premio per questa categoria andrebbe a uno dei grandi della letteratura italiana:
«Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo.»
(Il fu Mattia Pascal, Luigi Pirandello)
Pirandello ci presenta il personaggio, ci introduce alla tematica dell'identità che è il fondamento del romanzo e lo stile non banale, così come la scelta del nome, ispira credibilità.
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Uno dei migliori libri sugli incipit che abbia mai letto è sempre di un italiano; Italo Calvino che, nelle sue Lezioni americane, spiega quali sono per lui i pilastri della buona scrittura. Alla luce di quanto detto finora, e delle considerazioni avanzate da Calvino, analizziamo più a fondo uno dei primi incipit citati:
«Qualcuno doveva aver diffamato Josef K. Perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato.» (Il processo, Franz Kafka)
Kafka introduce dei temi di una certa gravità con termini semplici della vita quotidiana, questa è la Leggerezza per Calvino. La Rapidità è arrivare dritto alle emozioni del protagonista, senza digressioni inutili. Ritroviamo anche l'Esattezza, perché l'incipit ci comunica ingiustizia e impotenza, potrebbe quasi iniziare e finire qui il romanzo. Orson Welles ne ha fatto un film, ma non è per questo che usiamo la locuzione ''situazione kafkiana'', è perché il racconto di K. ti rimane dentro, non è una vicenda banale senza emozioni, ma l'esatto opposto. Calvino la chiama Visibilità.
Infine, la Molteplicità, cioè saper racchiudere più chiavi di lettura in un solo romanzo; saper esaltare la potenza delle possibilità, invece che rinchiudersi in una verità unica e immutabile, che per quanto forte è comunque limitata. Il processo è un romanzo molteplice: un po' sogno, un po' reale e un po' filosofico.
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Si può discutere a lungo di cosa sia importante per un incipit, magari la connessione emotiva, per altri la presentazione dello stile. C'è chi è d'accordo con Calvino e chi è contrario con l'idea che si possa insegnare a scrivere. Rimane il fatto che quando tutti questi misteriosi elementi si mescolano con la giusta alchimia nasce un incipit che ha quel qualcosa di magico. E forse iniziare un romanzo è proprio questo. E dopo l'unica cosa che rimane da fare è scrivere tutto il resto del romanzo.
Per la prima foto, copyright: Juliette Leufke.
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