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Indignatevi! L'appello di un partigiano novantenne

Indignatevi! L'appello di un partigiano novantenneIndignez-vous! (Indignatevi!). È un titolo che colpisce come una frusta. Troppo perentorio, troppo inequivocabile. Un imperativo che ti piomba addosso, senza scampo, e ti assale. Che trascina con sé quel terribile punto esclamativo. Il punto esclamativo enorme e bianco, che lampeggia sulla copertina dell'edizione italiana, che non lascia spazio per ribattere.

Stiamo ovviamente parlando dell'agile, ma non per questo leggero, pamphlet di Stephen Hessel, pubblicato in Francia nel dicembre dello scorso anno da Indigene Editions e piombato in cima alle classifiche, scavalcando persino La carta e il territorio di Michel Houllebecq. Con 80.000 copie vendute in un solo mese è diventato presto un fenomeno editoriale e culturale senza precedenti. In Italia è stato pubblicato nell'Aprile scorso, dalla giovanissima casa editrice Add editore (nata a Torino appena un anno fa), con traduzione di Maurizia Balmelli.

Secondo un articolo pubblicato a Gennaio da Le Monde, questo successo editoriale è in gran parte dovuto alla brevità del testo, alla sua semplicità e schematicità. Ma non tutti i saggi brevi e schematici irrompono nel mercato con questa forza. Il grande pregio del libro di Hessel invece, potrebbe essere la schiettezza. La schiettezza esasperata di un novantatreenne ex partigiano incazzato. La schiettezza che, in un mondo contorto e complicato come il nostro, diventa atto di coraggio, virtù per pochi. La schiettezza unita al tempismo; il pamphlet, infatti è uscito nell'arco di tempo compreso tra la rivolta dei cittadini francesi contro la riforma delle pensioni e lo scoppio della «Primavera araba». È arrivato come una carica di cavalleria, come un dardo; spietato come quel punto esclamativo bianco. Indigatevi! Non avete altra scelta. Indignatevi adesso e subito perché «in questo mondo ci sono troppe cose insopportabili».

E sembra quasi che, negli ultimi mesi, migliaia di ragazzi abbiano risposto, forse anche inconsapevolmente, a quell'appello. Hanno risposto perché il punto esclamativo, in fondo, era rivolto a loro più che a chiunque altro. A quella generazione che il giovane Marco Rivello, in un suo saggio intitolato Hatikva, ha definito «la generazione con il passato migliore ed il futuro peggiore della storia». La generazione che vive in affitto in questo mondo e adesso paga debiti che non ha contratto, con la bruciante consapevolezza di avere però goduto dei benefici derivati da essi. A loro Hessel dice di indignarsi, quasi lo ordina. Non di arrabbiarsi, non di lottare, ma di indignarsi. Perché con l'indignazione finisce l'indifferenza, il peggiore dei nostri mali, e si «mette a fuoco il problema». «Quando qualcosa ci indigna, come a me ha indignato il nazismo, allora diventiamo militanti, forti e impegnati». All'indignazione segue l'impegno, segue la presa di coscienza, la responsabilità civica. Ed è nella responsabilità che noi troviamo la nostra libertà; «Sartre ci ha insegnato a dire a noi stessi che siamo responsabili in quanto individui. Era un messaggio libertario. La responsabilità dell'uomo che non può affidarsi né a un potere né a un Dio ma che deve impegnarsi nel nome della propria responsabilità di essere umano». Non possiamo esimerci, non possiamo lasciarci soccombere, non possiamo lasciarci travolgere. Non possiamo nasconderci più dietro l'inconsapevolezza, perché anche l'inconsapevolezza oggi è un peccato. Un enorme peccato.

I punti di Hessel sono molto semplici e le cose «insopportabili» sono molto evidenti. Vanno dall'iniquità del sistema economico che produce un «divario tra ricchi e poveri» che «non è mai stato così grande» e che ci costringe a piegarci alla dittatura dei mercati (cosa che probabilmente oggi è evidente più che mai, in Italia e nel mondo n.d.r.), al problema della Palestina, di cui Hessel, perseguitato durante la Seconda Guerra Mondiale in quanto ebreo, è un accanito difensore. Ma quello che più lo spaventa è l'indifferenza, il distacco, la distruzione silenziosa di alcuni di quei valori che la Resistenza aveva creato, la dittatura invisibile di un'élite sempre più impalpabile e difficile da identificare. Lo spaventa il dito puntato contro i più deboli, contro i diversi, il populismo ipocrita e meschino della nostra società apparentemente avanzata; «questa società dei sans papiers, delle espulsioni, del sospetto nei confronti degli immigrati, questa società che rimette in discussione le pensioni e le conquiste della Sécurité Sociale, questa società in cui i media sono monopolio dei ricchi». Contro queste degenerazioni Hessel ci invita alla protesta non violenta, alla rivolta pacifica. Ed è quello che in tanti stanno facendo ed hanno fatto un po' ovunque, in Europa, negli ultimi mesi; primi su tutti gli "indignados" spagnoli che per parecchie settimane hanno occupato le piazze iberiche, ispirati proprio dalle parole di Hessel. Qualcosa sembra cambiare. Come faceva notare anche Carlo Formenti sul numero di Giugno di Alfabeta2, guardando alla società civile, quella di internet, di WikiLeacks, del Referendum in Italia, delle proteste dei ragazzi inglesi e italiani contro i tagli universitari, la società dei «movimenti auto-organizzati che sfruttano la rete come strumento di propaganda e mobilitazione», sorge la speranza di un possibile cambiamento; lo stesso cambiamento che appare molto più affannato se spostiamo invece l'attenzione sul quadro istituzionale.

Indignatevi! L'appello di un partigiano novantenneStephen Hessel è stato uno dei portavoce di questo possibile cambiamento. Pochi mesi dopo Indignatevi!, ha pubblicato un secondo piccolo saggio, dal titolo Engagez-vous! (in Italiano Impegnatevi!, edito da Salani). Perché l'indignazione precede l'impegno, perché prima di agire bisogna essere svegli, attenti e vigili. Perché non possiamo rinunciare alle nostre responsabilità. I vecchi come Hessel non capirebbero, non ci perdonerebbero; ci hanno già avvertiti, «ora tocca a voi: indignatevi! I responsabili politici, economici, intellettuali e la società non devono abdicare, né lasciarsi intimidire dalla dittatura dei mercati finanziari che minaccia la pace e la democrazia». Oggi, proprio oggi, più che mai, è un appello che non possiamo permetterci di mancare, senza rimetterci la nostra dignità. Come recita la copertina dell'edizione italiana di Impegnatevi! «un uomo è davvero uomo soltanto quando è davvero impegnato e si sente responsabile». Il vecchio partigiano ci ha avvertiti, ora tocca a noi.

 

Nota a margine: Stephen Hessel durante gli anni della guerra è stato catturato dalla Gestapo, torturato, deportato, condannato all'impiccagione. Impiccagione a cui è scampato scambiando la sua identità con quella di un giovane francese deceduto pochi giorni prima. È per questo che considera se stesso «un multi-sopravvissuto e quindi un multi-responsabile». Hessel è uno di quelli che ce l'hanno fatta. Uno dei salvati in un'ecatombe di sommersi. Ha portato fino a noi una fiaccola accesa, in nome delle migliaia di assassinati, dei torturati a morte, degli avvelenati, dei fucilati, dei soffocati con il gas. Il suo appello non è per niente gratuito, non è affatto scontato. Lasciare spegnere questa fiaccola sarebbe il crimine civico più grande che possiamo compiere. Sarebbe l'inferno, senza speranza; sarebbe una condanna, senza vie d'uscita.

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