Incinta a quindici anni e abbandonata da tutti. La storia di “Paolina”
Paolina – personaggio che dà il titolo all’ultimo romanzo di Marco Lodoli, pubblicato da Einaudi – ha quindici anni ed è incinta. Vaga per una Roma ostile, cinica, disumana, cercando di capire cosa deve fare con quel bambino che senza disturbare, almeno per il momento, le cresce nella pancia. Tutta la storia, quel ristretto arco di storia che l’autore ha deciso di raccontarci, occupa le ventiquattro ore successive alla scoperta della gravidanza in corso. In questa giornata, la ragazza, che ha lasciato la scuola da tre mesi, va a trovare, uno a uno, i tre ragazzi con cui ha avuto un rapporto sessuale. Non sa chi di loro sia il padre e, forse, non le importa nemmeno. Forse vorrebbe solo trovare qualcuno con cui crescere quel figlio di cui non sa cosa fare. Eppure nessuno di loro sembra interessarsene, hanno tutti problemi molto più impellenti e importanti di un bambino in arrivo. Anche loro sono giovani e si aggrappano a una chitarra elettrica (Cosimo), a una spada da scherma (Filippo) o a una bottiglia di gin (Tonio). Queste sì che sono cose che possono controllare, si illudono, oggetti da dominare e che mai si rivolteranno. A ognuno di loro, salutandoli prima di riprendere la sua strada solitaria, Paolina lascia una rosa rossa. Solo a Samira, una zingara incontrata per caso, sembra importare di lei.
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Si tratta di un romanzo breve, come tutti i romanzi dello scrittore romano, sempre delicato e poetico, al contempo crudo e disincantato. La narrazione, che senza soluzione di continuità passa dalla terza alla prima persona e poi di nuovo alla terza e ancora alla prima, è calibrata sulle emozioni dell’età, deformata dalla confusione che sconvolge la protagonista, dalla paura che le prende la gola, dalla solitudine che spietata la accerchia.
La scuola non pare in grado di prendersi cura di lei, così come non lo è la madre, portinaia che investe i suoi pochi risparmi in scadenti bottiglie di vino. A scuola, come detto, non ci va più. D’altra parte, ai suoi professori non importa altro che sentire la loro voce risuonare tra le mura della classe, nuovi e arroganti vati incapaci di svolgere il proprio ruolo, che è educativo e formativo. «Maestre, professori, tutta gente che ha sepolto la propria giovinezza sotto un vocabolario», il duro giudizio di Paolina. L’autore, per altro, è un insegnante, oltre che poeta e narratore. Non pare esserci alcuna possibilità di comunicazione.
Come nei precedenti libri di Lodoli, si pensi a Crampi (Einaudi 1992) o ai racconti del Grande raccordo (Bompiani 1989), sono gli incontri con persone ai margini, prima sconosciute, a svelare un senso, una chiave di lettura, a far scorgere una speranza; questi incontri permettono, con Eugenio Montale, «di scoprire uno sbaglio di Natura, / il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, / il filo da disbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità» (I limoni, da Ossi di seppia, 1925). Penso a Samira, la zingara che parla a Paolina. Vende i fiori che di giorno in giorno prende dalle lapidi fresche, si muove tra le maglie di una città che non sembra avere la capacità di accoglierla, così come Paolina, che si sente invisibile: potrebbe anche urlare e chiedere aiuto ma nessuno la sentirebbe. Roma, la capitale, diventa emblema di un’Italia incapace di capire la differenza, di comprendere scelte non perfettamente conformi alle regole, di aggiungere un posto a tavola, come cantava una vecchia canzone.
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Paolina ha quindici anni ed è incinta, una condizione che la porta a pensare alla sua esistenza, come forse non aveva mai fatto prima; una situazione che la conduce verso quelle domande che, crescendo (almeno anagraficamente), abbiamo smesso di farci. «Ma se io avessi potuto decidere di esistere o non esistere, che cosa avrei scelto?», si chiede. «C’è uno spazio in cui vanno ad ammucchiarsi tutte le cose buone che abbiamo fatto, un punto che produce energia buona per tutto il cosmo e per ogni esistenza? Oppure è tutta roba che va in polvere e il vento se la trascina via? E le mie rose, dove finiranno? E mio figlio?». Sono domande alle quali, naturalmente, non trova risposta, ma che ci conducono dove non abbiamo la forza di andare da soli. Certi libri, come certe persone, vanno tenuti stretti.
Per la prima foto, copyright: Xavier Mouton Photographie su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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