In “viaggio” con Virginia Woolf. Alla scoperta di “La crociera”
Cosa ci viene in mente quando leggiamo la parola “crociera”? Di solito pensiamo a un viaggio in mare, più o meno lungo, magari a bordo di una nave lussuosa, fornita di ogni comfort possibile e immaginabile. Qualcosa, dunque, di molto allettante. Ecco, scordiamoci di tutto questo per un momento perché in questo articolo parleremo di un altro tipo di crociera, meno lussuosa, ma non per questo meno appagante. La crociera che intendiamo noi qui, infatti, è il romanzo d’esordio di Virginia Woolf. Pubblicato per la prima volta dalla Duckworth Press nel 1915, questo sofferto romanzo è stato a lungo snobbato dalla critica. Noi non faremo lo stesso errore e siamo pronti a partire in questa piccola esplorazione di una piccola gemma troppo spesso dimenticata.
Partiamo con un po’ di background biografico. Via il dente, via il dolore. Virginia Woolf scrive The Voyage Out – titolo in lingua originale – tra il 1907 e il 1911, a più riprese e modificandolo in continuazione. Addirittura, gli cambia il titolo all’ultimo: il romanzo, infatti, doveva intitolarsi Melymbrosia, dal nome dell’imbarcazione su cui si incontrano i personaggi a inizio libro. Virginia lo trasformerà in The Voyage Out in seguito a un viaggio per mare verso il Portogallo insieme al fratello Adrian. “The voyage”, il viaggio, così come un viaggio era stata la sua esistenza fino a quel momento.
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Non possiamo, allora, che essere a dir poco perplessi dalla scelta di tradurlo in italiano come “La crociera”, un titolo fuorviante che considera solo una minima parte del romanzo e che ci allontana dal significato più profondo che questo viaggio assume per i protagonisti e, soprattutto, per l’autrice. Virginia sarà in viaggio per tutta la sua vita e non solo fisicamente. Esattamente come Rachel, una dei protagonisti del romanzo e principale alter ego di Virginia, lei è una creatura che interroga continuamente il mondo, vuole caprine il mistero, il suo dolore e la sua gioia. Possiamo evincere tutto ciò da una “Crociera”? Diventa un po’ difficile. Continueremo, dunque, a usare il suo titolo in inglese in questo contesto, in un maldestro tentativo di proteggere nostri stomaci (in particolare quello di chi scrive) da episodi di gastrite fulminante. Bene, possiamo procedere.
The Voyage Out è un romanzo strano per gli standard del tempo. Chi, tra i critici, lo ha definito “convenzionale” aveva, probabilmente, bevuto qualche bicchierino di troppo. È vero che il romanzo racconta della maturazione e della crescita di una ragazza – neanche tanto giovane, a dirla tutta –, è vero anche che la narrazione si sviluppa cronologicamente e che il testo offre, come sempre, un ritratto delle contraddizioni e delle frivolezze della classe medio-alta, condite con un po’ del solito nazionalismo inglese tipico dell’epoca. Ma se guardiamo con attenzione ci rendiamo conto che il romanzo non ha una trama vera e propria, non ci sono misteri da risolvere né coincidenze sorprendenti o chissà quali rivelazioni; l’unica storia d’amore abbastanza credibile si interrompe improvvisamente (non spoileriamo oltre) senza che si capisca bene il perché e neanche il finale ci porta a una qualche chiusura definitiva.
Per intenderci, un gruppo di persone si imbarca da Londra per un viaggio in Sudamerica. Tra queste c’è Rachel, una ragazza orfana di madre che non ha ricevuto alcun tipo di istruzione – tema molto caro a Woolf – e che è stata educata in un modo che non le consente di essere indipendente in età adulta. Rachel è perfettamente consapevole di tutto ciò e di quanto sia inadeguata per la società in cui vive e per un mondo dominato da un esasperante e spesso ignorante patriarcato, per cui si rifugia nella musica, esattamente come Virginia si rifugia nella scrittura nel mondo reale. Nel romanzo, inoltre. fanno la comparsa anche i coniugi Dalloway, protagonisti di un altro romanzo ben noto di Woolf.
Dopo una tempesta, i protagonisti arrivano alla destinazione prefissata, il paesino di Santa Marina. Non abbiamo molte informazioni a livello geografico. Woolf menziona la presenza di un “grande fiume” – presumibilmente il Rio delle Amazzoni – qualche traccia della presenza europea e di un passato coloniale e fa alcuni riferimenti alla vegetazione esotica. Ad ogni modo, mentre si trovano lì, viene organizzata una spedizione verso l’interno, ma questo ha delle conseguenze catastrofiche perché uno dei personaggi principali andrà incontro a un destino nefasto.
Non una grande trama, dunque, ma questo non deve spaventarci perché nonostante non ci vengano presentati dei veri e propri episodi che portano avanti la narrazione, Virginia si concentra su ciò che, normalmente, passa in secondo piano quando si racconta una storia: ciò che i personaggi pensano e sentono riguardo loro stessi e coloro che li circondano. Basta questo per fare di The Voyage Out un romanzo non convenzionale per la sua epoca.
Virginia, dicevamo, cambia idea più volte quando lo scrive e anche una volta terminato sembra non esserne soddisfatta del tutto. Lo definirà, infatti, “un’arlecchinata”, ma un’arlecchinata era anche la sua vita in quel periodo. Nel 1904 muore il padre Leslie Stephen e, poi, il fratello Thoby nel 1906. La sorella Vanessa – detta “Nessa” – a cui Virginia è legatissima, si sposa con Clive Bell l’anno successivo. Virginia si sente abbandonata, incompresa e spaesata, l’unico modo che le consente di evadere è la scrittura.
In The Voyage Out, Virginia riversa tutta la sua tristezza per la scomparsa dei suoi cari, la sua passione per la letteratura e la sua coraggiosa determinazione nel voler diventare una grande scrittrice. Nei suoi personaggi troviamo lei, ma anche chi le sta attorno. È possibile riconoscere, infatti, Nessa nel personaggio di Helen, l’amico Lytton Strachey in Hirst e Clive, l’amato cognato, in Terence Hewett. Ma Terence è anche un po’ Virginia, quando parla delle sue ambizioni di romanziere e del suo desiderio di cercare parole che sappiano rendere il silenzio, non tanto ciò che diciamo durante una conversazione a interessarla, quindi, ma quello che non diciamo.
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La scelta di non usare mai un punto di vista univoco, ma una combinazione tra un narratore in terza persona e gli interventi in prima persona dei diversi personaggi, è un espediente che consente a Woolf di esplorare quelle tematiche che saranno poi dominanti nei suoi lavori successivi. Primo fra tutti il tema del “non detto” e la differenza tra ciò che diciamo e il modo in cui ci comportiamo realmente – con le conseguenti e inevitabili contraddizioni; ma anche l’idea che esista una qualche distanza tra gli esseri umani a prescindere da quanto siano vicini fisicamente e che impedisce loro di capirsi fino in fondo.
The Voyage Out nasce nella primavera del 1907, una stagione che rende sempre Virginia particolarmente malinconica, mentre passeggia nei pressi di una scogliera. Come racconta Nadia Fusini nella sua splendida monografia su Woolf – Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf – “fu come se un fascio di luce bucasse l’oscurità. Fu presa da un’improvvisa euforia, prologo della depressione che ne seguì”. Sì, perché mentre scrive Virginia sta male, sono riprese quelle grandi “crisi” che l’hanno tormentata per tutto il corso della sua vita e lo vediamo anche nel romanzo, quando ci viene descritto il delirio di una Rachel gravemente ammalata. Quelle allucinazioni, quei tormenti, non sono solo i tormenti di un personaggio inventato, ma sono, in primis, ciò che affligge continuamente Virginia. Chi ha letto qualcosa di Woolf lo sa: è possibile scovare un pezzetto di lei in tutto ciò che scrive. The Voyage Out è un ottimo modo per iniziare ad avvicinarci a Virginia, perché è qui che comincia a fare ciò che da qui in avanti diventerà una costante, ovvero dotare delle sue personali esperienze i personaggi che inventa.
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