«In Italia non ci siamo mai spostati da Carosello»: parola del copywriter Bruno Ballardini
Venti anni fa aveva sentenziato per primo che la pubblicità era morta. Lo faceva a buon diritto, visto che Bruno Ballardini, l’ospite di questa settimana della rubrica di interviste dedicate alla comunicazione, è uno dei più noti copywriter in Italia. Ha lavorato per più di venti anni per le principali agenzie di comunicazione, ideando campagne di successo, quindi conosce bene e a fondo la materia di cui parla, e le dinamiche che animano il settore. Oggi alterna l’attività di consulente di comunicazione strategica a quella di scrittore. Cura un blog per «Il Fatto Quotidiano» e per «Il Sole 24 Ore».
Esattamente venti anni fa, lei scrisse in un libro che la pubblicità era morta: allora quella che vediamo oggi tutti i giorni che cos'è? Quali condizioni potrebbero riportare la pubblicità in vita?
Non è più quella che noi intendevamo per pubblicità. Gran parte dell’orrore che va in onda oggi non contiene quasi più l’informazione pertinente sul prodotto, rilevante per il consumatore e ben argomentata: siamo tornati al puro entertainment. Di fatto, in Italia non ci siamo mai spostati da Carosello, cioè da quello che viene considerato la "preistoria" della pubblicità. Per fare questo non occorre più scomodare dei pubblicitari e, infatti, molte marche ormai affidano alle case di produzione gli script che escono direttamente dal loro stesso ufficio marketing. E i risultati si vedono... La condizione principale che potrebbe riportare in vita la pubblicità è la fine della recessione. Ma quando avverrà, la pubblicità non potrà più tornare a essere come prima. Sono cambiate molte cose, prima fra tutte la modalità in cui si interagisce col messaggio, cosa che con i vecchi media monodirezionali era impossibile. Questo influirà anche sul modo di fare pubblicità: già oggi un messaggio monodirezionale come quello degli spot vecchia maniera viene in larga parte rifiutato.
Che ruolo hanno i copywriter oggi e come è cambiato questo mestiere?
I copywriter hanno sempre avuto e continueranno ad avere il ruolo principale nell’elaborazione di una strategia di comunicazione. Come ha scritto un antico e ignoto copywriter, «in principio era il Verbo». Scherzi a parte, sta nascendo una nuova generazione di copywriter che io ho definito 3.0. Hanno doti strategiche maggiori dei loro “colleghi 2.0” e cioè sanno elaborare un messaggio sulla base di un media mix, cioè di un cocktail di nuovi media e media tradizionali scelti in funzione del problema specifico. Questo fino ad oggi non era in grado di farlo nessuno. Da una parte c’erano ragazzini smanettoni che si dilettavano di Web, e dall’altra vecchie cariatidi della pubblicità (e loro giovani imitatori) che non comunicavano fra loro. Ne uscivano strategie di comunicazione “schizofreniche”, cioè con doppia personalità. Finalmente sta cambiando qualcosa.
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Oggi che si occupa di comunicazione strategica, che cosa può dirci sul ruolo dei nuovi media? Quale peso specifico hanno o potrebbero avere potenzialmente?
I cosiddetti “new media” nascono già vecchi, o meglio sono concepiti per morire dopo brevissimo tempo proprio per alimentare il consumismo tecnologico. In queste condizioni, però, gli standard non si stabilizzano mai e questo non permette di avere una base mediatica ben definita su cui poter sviluppare delle metodologie durevoli per la pubblicità. La televisione, ad esempio, è stata un medium stabile per oltre 60 anni. E su questo medium si è sviluppata la vecchia pubblicità monodirezionale. Adesso ditemi voi quale altro medium potrebbe essere paragonabile alla televisione... Non certo Internet, che nel frattempo è già diventata vecchia, perché paradossalmente la maggior parte della gente ha iniziato a usarla in modalità “televisiva”. Sessant’anni di televisione non sono così facili da cancellare sul piano cognitivo...
Si è parlato tanto dell’opportunità di mantenere i commenti in calce agli articoli, soprattutto dopo l’ultimo caso relativo alla deriva sui commenti sulle condizioni di salute di Bersani. Pensa che possa bastare un filtro o un moderatore? Sono i social troppo democratici o è il loro uso che va disciplinato, pur contravvenendo all’essenza stessa di Internet?
A mio avviso, è la gente che deve imparare ad auto-disciplinarsi. Noi viviamo ancora in un’epoca selvaggia, quella che, nella nuova edizione de La morte della pubblicità, ho definito Media Evo. Siamo ancora gli stessi barbari che fino a poco tempo fa guardavano la televisione e che, dopo la caduta dell’impero televisivo, hanno avuto la possibilità di interagire utilizzando nuovi media. Nuovi strumenti di comunicazione in mano a dei barbari hanno permesso a ognuno di esprimere il peggio di sé. L’evoluzione delle tecnologie non porta automaticamente a un progresso etico a livello umano, l’umanità nel frattempo resta sempre la stessa. Non dimentichiamo le guerre per bande dei primi anni ‘90 sui canali di IRC Chat, poco prima che arrivasse il Web. E molti, anni dopo, il mail bombing e lo spam nei forum, tutto quanto protetto dall’anonimato. Ecco, se vogliamo limitare la barbarie e diffondere un’etica nei rapporti in rete sarei a favore dell'abolizione dell'anonimato. Ciascuno deve assumersi la responsabilità di quello che scrive su Internet, così come accade fuori da Internet. Forse questo, insieme a qualche modo per certificare le identità, potrebbe rendere un po’ più maturo l’uso della rete.
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