Il tempo, il più grande nemico di chi vuole scrivere. Ecco come gestirlo
Disse una volta la scrittrice statunitense Tillie Olsen: «L’orologio parlava ad alta voce. L’ho buttato via, mi faceva paura quello che diceva». La questione forse interessa più gli autori alle prime armi, i cosiddetti esordienti che oltre a mettere insieme una storia, incastrare i personaggi, fare ricerche e quant’altro, se la devono vedere con il più grande nemico di uno scrittore, quello a cui puoi sfuggire solo se butti giù parole: il tempo.
Nella vita quotidiana poi, oggi più di ieri: in un mondo così frenetico fatto di luci, colori, musica, ritmo, tanto rumore che sentiamo addosso anche nei nostri impegni quotidiani, quelli che riducono a istanti i momenti che possiamo dedicare a noi stessi, scrivere è un’arte che mal si concilia con la fretta e il pressapochismo. Così, mentre chi si guadagna da vivere scrivendo può contare su una impostazione della giornata un po’ differente (seppur ugualmente piena di scadenze), chi si occupa anche di altro è invaso dall’ansia del tempo e dal suo incalzare.
È il più grande avversario da battere se si vuole partorire una storia di senso compiuto, e spesso per farlo, in nome della passione, si sacrificano altre cose. In quanti avranno buttato via l’orologio come la Olsen? L’effetto più immediato che può avere il suo tic tac è quello di creare animali notturni: molti scrittori scelgono la notte, specialmente se impegnati in un lavoro diurno di otto ore, per concedersi alla penna o alla tastiera. Qualcuno lo fa con naturalezza, altri con grande difficoltà, di certo l’oscurità porta silenzio e calma piatta, concede riflessioni e minuti per fermarsi una volta in più su un pensiero o una parola. Ecco allora che diviene fondamentale annullare i tempi morti e sfruttare ogni momento buono: nella civiltà di oggi si chiama ottimizzare. Per alcuni è la pausa pranzo, per altri una ventina di minuti di tragitto da casa al lavoro su un autobus o un treno. Anche per chi deve rendere conto a una casa editrice che aspetta il nuovo romanzo del suo autore.
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In ciò che si scrive poi molto spesso si celano sentimenti e sensazioni profonde e personali: la scrittura è pur sempre terapeutica e talvolta del tempo ci si dimentica se l’istinto ci porta a svuotare il nostro animo su due piedi per necessità. Ovunque ci troviamo e qualsiasi sia il momento. Un lavoro ben riuscito e più razionale necessita comunque di cura e olio di gomito, oltre che di farsi cesellare a dovere. Una sera d’estate, incuriosito da sempre dalle abitudini di scrittura degli autori in generale, chiesi a un autore locale un’opinione a tal proposito. La risposta fu chiara: trattare le ore di scrittura come un vero e proprio lavoro, alla stregua di un cartellino timbrato. A ragion veduta, nel suo caso, poiché quando si entra in rapporti ufficiali con un editore c’è una data di consegna da rispettare come doveva fare lui. Ma perché mai noi comuni mortali, scrittori per passione, alle prime armi, o forse semplicemente persone alle quali piace semplicemente scrivere più che mestieranti veri e propri, dovremmo parificare una passione ai ritmi e alle consuetudini del lavoro quotidiano che magari già ci va stretto?
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«Scrivi da ubriaco, edita da sobrio», diceva Hemingway, nel nome di una leggerezza necessaria a non sottoporre a paletti troppo vincolanti questa curiosa attività di inventare storie. Tutto ciò che viene tramutato in cameratesco dovere, perde quel senso di genuinità che fino a quel momento ha mosso l’individuo, qualsiasi sia la passione. Per sconfiggere il tempo, compatibilmente con impedimenti davvero improrogabili, proprio l’amore per ciò che si fa è sempre la benzina più grande: la scrittura a mano, per esempio, consente di portar dovunque un quadernino e una penna e quando un pensiero attraversa la mente, occorre nel breve tempo ingabbiarlo nelle pagine bianche di quel quadernino, onde evitare che sfugga per sempre. Non c’è nulla di così personale come le abitudini di scrittura, talvolta agli antipodi, talvolta simili, e in questo senso diviene fondamentale il confronto: potremmo avere interessanti suggerimenti se ci confrontiamo con chi fa la nostra stessa attività, per risparmiare tempo e impiegarlo a dovere.
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Dovremmo probabilmente fare come Marcel Proust, che per scrivere la sua Ricerca, cinse addirittura le finestre con pareti di sughero per non far altro che scrivere?No, non esageriamo. Ma dovremmo costruirci nella mente quella parete di sughero e soprattutto evitare le distrazioni tecnologiche che sono le più grandi portatrici di perdite di quel tempo prezioso che rincorriamo e fatichiamo ad agguantare.
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Non solo la stesura, però. Una volta fatto, una volta pubblicato, una volta che in mano potremo sentire l’odore della carta e quella copertina così liscia al tatto, vi è anche il lavoro di diffusione e promozione che è quasi più importante della scrittura del libro stesso. Entrano in gioco le presentazioni, i contatti, gli eventi per la firma delle copie, il passaparola e anche qui occorrono fette di tempo considerevoli. Diffondere la propria opera è quasi più difficile e importante che scriverla, ma d’altronde non vogliamo aver buttato notti insonni o sacrificato amici e famiglia per uno strumento da chiudere per sempre in un cassetto una volta vista la luce. Il tempo spesso è nemico in generale della nostra vita, talvolta invece è un alleato perché guarisce ferite o cambia orientamenti e visioni del mondo; nella scrittura di certo deve essere un prezioso alleato perché possa far scaturire un lavoro di qualità.
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Dunque, anche se non c’è un cartellino da timbrare, occorre certamente metodo e organizzazione che all’apparenza possono sembrare difficili da adottare con risolutezza, ma si tratta soltanto di prendere il passo e l’abitudine. Con una organizzazione metodica e costante, riusciremo a dribblare gli ostacoli che impediscono la fioritura della nostra opera da buoni scrittori mortali. Per quelli invece già maturi e arrivati, non si può che provare una sana invidia. Loro non hanno mille altre attività tra cui divincolarsi, se scrivere è, come i più teneri sognatori sperano al chiuso delle loro scrivanie e dinnanzi ai monitor dei loro computer, l’attività principale a cui abbeverarsi.
Copyright delle foto in ordine di inserimento: Lukas Blazek, Ben White e Markus Spiske.
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