“Il telescopio di Galileo”: storia di un oggetto che ha cambiato il mondo
Il telescopio di Galileo – Una storia europea (Einaudi, 2012) è uno dei cinque libri finalisti alla settima edizione del Premio Galileo di Padova, la kermesse dedicata alla divulgazione scientifica che si concluderà con la finale di giovedì 9 maggio, quando la giuria popolare (formata dagli studenti di 110 scuole superiori di secondo grado di tutta Italia) incoronerà l’autore, o gli autori, del libro più votato della cinquina. La scorsa settimana Sul Romanzo ha intervistato il finalista Sergio Pistoi, autore de Il DNA incontra Facebook; oggi, incontriamo Massimo Bucciantini, Michele Camerota e Franco Giudice, tre professori di Storia della Scienza (rispettivamente presso le Università di Siena, Cagliari e Bergamo) che hanno scelto di ricostruire, e soprattutto di raccontare “a sei mani”, la storia di un oggetto che ha cambiato il mondo: il telescopio.
«Alla base di questo lavoro – spiega Bucciantini – c’è una frase di Calvino che dice: “scrivere ha senso solo se si ha di fronte un problema da risolvere”. Questo è il pensiero di fondo che ci ha perseguitato durante l’intera stesura del nostro libro. L’idea ci è venuta osservando gli studenti che guardavano l’unica lente, rotta, che ci è rimasta di Galileo, e che ora è conservata presso il museo di Firenze. Abbiamo visto che si avvicinavano incuriositi a questo oggetto, ma ne restavano un po’ delusi. Il nostro progetto fondamentale è stato quello di partire proprio da questa lente, che nel 1609-1610 ha modificato profondamente il rapporto tra il nostro vedere e il mondo. Il secondo progetto è stato di scrivere un libro di divulgazione, che non ricostruisse soltanto delle storie, ma le raccontasse a tutti. La storia più importante è quella del telescopio, uno strumento che “abita” in tanti luoghi, che vaga per tutta Europa ricevendo giudizi diversi, vedendo cose sempre diverse».
Ma dove nasce questo oggetto? In un quadro di Brueghel il Vecchio – racconta Giudice – si vede l’arciduca Alberto d’Austria che tiene tra le mani un cannocchiale pre-galileiano, un congegno fatto da un artigiano, Hans Lipperhey, che subito gode di una fortuna enorme e si diffonde a macchia d’olio per tutta l’Europa. Forse, Alberto d’Austria non l’ha avuto direttamente da quell’artigiano, ma la cosa importante è che l’oggetto diviene da subito uno status symbol, uno strumento con il quale farsi immortalare mentre si guarda un castello in lontananza. Tutti cominciano a volerlo e, in breve tempo, di telescopi se ne trovano dappertutto, a Parigi come a Padova e Venezia. Ed è proprio qui che il destino dello strumento si incrocia con quello di Galileo.
Ma Galileo non è stato il primo a puntare il telescopio al cielo... C’è stato almeno un altro studioso, l’inglese Thomas Harriot – spiega Camerota – che ha osservato la luna attraverso questo strumento, e ne ha dato una sua rappresentazione con esiti molto lontani da quelli raggiunti da Galileo. C’era da vincere una certa resistenza culturale, perché il telescopio era visto come qualcosa di distorsivo, che mostra delle immagini deformate o delle vere e proprie allucinazioni. Tutto cambia, anche per lo stesso Thomas Harriot, con la lettura del Sidereus Nuncius di Galileo, un libro rivoluzionario che riporta tutte le sue osservazioni del cielo.
Si tratta di scoperte – continua Giudice – che demoliscono l’intera cosmologia del tempo. Dalle osservazioni della luna e dei satelliti di Giove, Galileo scopre che non c’è nessuna sostanza cristallina, eterea, e questo mette in crisi non soltanto le conoscenze scientifiche, ma l’intero modo di vedere il mondo. L’ambasciatore inglese a Venezia, dopo aver letto il libro nello stesso giorno in cui è uscito dai torchi dello stampatore, scrive una lettera a Giacomo I d’Inghilterra, in cui gli dice, tra le altre cose, che l’autore di tale libro “rischia di diventare o troppo famoso o troppo ridicolo”. Quell’ambasciatore non si sbagliava.
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