“Il suono della corda vuota” di Pierpaolo Turitto
C’è una signora anziana alle prese con la memoria che si rifiuta di restare viva e c’è un ragazzo romeno alle prese con la paura di sostituire la sua voce a quella del violino, come se quest’ultima gli fosse più familiare, fluida, più sua rispetto all’altra. È la storia di un’amicizia fuori dagli schemi, quella narrata ne Il suono della corda vuota (Absolutely Free Editore, 2014). Perché i romeni non sono tutti cattivi e le anziane non sono tutte antipatiche. Oddio, di primo acchito Adele spiazza, è da conoscere: ha ottant’anni e un’intelligenza acuta, da farti venir voglia di essere come lei non solo nella vecchiaia, ma anche prima, nell’età adulta. Anche Sebastian, il violinista della metropolitana, merita di essere conosciuto. È tenace, taciturno per timidezza ma anche per vocabolario italiano ridotto, ed è innamorato, segretamente, dell’insegnante che tiene corsi di lingua per stranieri.
I due s’incontrano in un presente dilatato; vi è spazio per il passato, lì dentro, ma anche per il futuro. Il passato appartiene ad Adele, ed è tenue, sbiadito, a sprazzi e spruzzi, inghiottito dall’Alzheimer che si comporta da spugna sulla lavagna di una vita vissuta intensamente, per scelta e per destino. Tiene un diario Adele, gliel’ha suggerito un costosissimo dottore. Le ha detto che in questo modo potrà salvare i ricordi, anzi di arricchirlo pure con quelli dei familiari. Adele non ha nessuno, eccezion fatta per qualche amico di vecchia data che non incontra molto spesso. Tiene il diario, però, e quindi un confidente muto e incapace di assorbire le sue esperienze e gli insegnamenti di vita che la donna trascrive, s’impregna soltanto di inchiostro. Le basta questo pur di sfuggire a quell’estranea che ogni tanto s’impossessa della sua anima e la costringe a pranzare due volte, a breve distanza, oppure a ripetere la stessa frase o a svuotarle lo sguardo di quella luce intensa che rende Adele, Adele.
Si sta recando da un’amica, la distinta signora ottantenne, il giorno in cui il destino mette sulla sua strada l’appoggio di cui aveva bisogno. Ha preso la metropolitana, in una Roma di fretta, e quel viavai di persone, luci, corridoi, odori, suoni l’ha confusa. Non si ricorda più né perché sia lì, né dove sia diretta. D’un tratto, sente le note di un violino. I violini sono la sua grande passione, un tempo era un’artigiana, una liutaia, nella laguna. Un tempo, quando Adele era solo Adele e non anche il suo doppio che dimentica di togliersi le ciabatte prima di coricarsi a letto. È a quegli anni che la riportano le note che risuonano nella galleria della metropolitana e lei le segue, con la memoria, con i passi, andando verso il musicista dilettante. Ritorna lei, quella di sempre, una bambina che va a scuola, contenta della sua dolce maestra, prima di diventare bambina-ebrea da schivare, alla quale evitare di offrire, come un tempo, un tocco di focaccia o un cioccolatino. Ritorna fuggiasca, assieme alla famiglia, nel tentativo di non lasciare che la vita finisca. La vita, però, si muove secondo un ossimoro: la abbiamo, ma non ci appartiene. L’esistenza di Adele incontra il Vajont. E anche lui cancella, come l’Alzheimer, ma non i ricordi, quelli resistono per tormentare chi resta. Il Vajont cancella anime: la mamma, le nuove amicizie. L’amore. Non con le sue acque e i suoi fanghi che ti stringono in un abbraccio mortale, non è così che il Vajont le ha sottratto l’amore, ma con i sensi di colpa, per l’errore umano nella costruzione della diga. Era ingegnere, l’uomo che aveva stregato il cuore di Adele.
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Tra quelle stesse note che vibrano sulle corde del violino di Sebastian, però, c’è anche il futuro. Non quello dell’anziana, a lei quel lasso di tempo non interessa; è il futuro del violinista romeno perché lui ha sacrificato la vita di prima, che seguiva altri ritmi e altri obiettivi, e, con coraggio, se n’è andato a riscrivere le pagine del suo destino. È nato una seconda volta, in Italia, e, come tutti quelli che si affacciano alla vita, deve scoprire le parole, senza le quali il nuovo mondo resta chiuso, distante, estraneo. Segue lezioni di italiano e si esercita con l’orchestra, quando non si guadagna due spiccioli nei corridoi bui e sotterranei di Roma. Non gli importa però, quello è solo il presente, la notte che lo porterà verso il giorno: prima o poi riuscirà a rendere ogni suo sogno una palpabile realtà, è ancora giovane. S’incontrano Sebastian e Adele, e si completano, con la naturalezza tipica di chi non ha pregiudizi né pretese, e ancor meno è invaso da sensi di superiorità.
Turitto racconta questa storia con uno stile fluido e coinvolgente, gioca con le immagini e le sensazioni con grande consapevolezza e dà vita a metafore degne da trascrivere sui quaderni per non scordarle. Dal punto di vista strutturale, alterna il diario della donna e la narrazione in terza persona immergendo così il lettore nelle vite dei protagonisti in modo completo.
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