Il singolare incontro tra Benito Mussolini e Corrado Alvaro
Corrado Alvaro fu uno degli scrittori, giornalisti e intellettuali inviso al fascismo, al punto che già intorno agli inizi degli anni Trenta gli fu pressoché impedito di scrivere su qualunque quotidiano, incluso «La Stampa», l’ultimo che accoglieva i suoi pezzi.
Alvaro si rifiutò più volte d’incontrare Benito Mussolini, nonostante anche Luigi Pirandello gli avesse raccomandato di chiedere udienza, visto che spesso il duce aveva domandato proprio di lui.
Eppure un incontro tra i due avvenne, ma non con quell’ufficialità che Mussolini avrebbe forse desiderato. A raccontarlo è lo stesso Corrado Alvaro in Quasi una vita, libro di memorie edito da Bompiani e che nel 1951 gli valse il Premio Strega.
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I fatti risalgono al 1933 e così Alvaro introduce il contesto dell’incontro:
Al Teatro dell’Opera. Molti custodi in uniforme, come se non si trattasse d’uno spettacolo ma di una riunione di governo. La classe dirigente è forte, bruna, ben nutrita, allenata dagli sport. In genere, una classe dirigente suscita l’idea di una classe intellettuale. In questa, la robustezza e la prestanza sono i primi requisiti. Gli uomini in abito da sera seguono le donne, con le mani sprofondate nelle tasche. Sono eccessivamente eleganti, come se avessero fatto un buon colpo. In genere, una vecchia società assestata, accanto all’eleganza smaccata, mostra anche abiti vecchi indossati al modo di uniformi di cerimonia, come a Parigi o a Londra. Le frasi più comuni fra costoro sono: «Si è sciupata», «Oh! come sta giù!». Gli uomini si giudicano guardandosi: «Stai bene», «Sei ingrassato».
Siamo quindi a una rappresentazione teatrale, e il duce è annunciato tra il pubblico. Questo ovviamente richiama tutta la classe dirigente romana e crea fermento. Alvaro descrive con precisione lo stato d’animo dei presenti in sala che quasi si dimenticano di seguire la messinscena:
«È arrivato?» si chiedevano le signore sedendosi con la grazia delle ragazze che posano il loro posteriore sul banco della scuola. La duchessa X, nel palco in cui ero invitato, indossava un abito che si era fatta prestare da Ventura, un modello che non aveva trovato compratori per la sua audacia. Doveva arrivare il duce. Lo spettacolo era cominciato. Un rumore di chiavistelli e l’aprirsi d’una porta fece voltare tutti al quinto palco di prima fila a sinistra. La luce del corridoio gialla tagliò la semioscurità rosata del teatro.
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Ma il momento topico del breve resoconto di Alvaro è proprio l’arrivo di Mussolini che viene descritto anche con una sottile punta di ironia soffermandosi sulla reazione della duchessa che ospitava lo scrittore presso il suo palco:
Lui entrava. Il vestito della duchessa X. ebbe un fremito, le sue spalle di fanciulla nella lunga scollatura fremettero come doveva fremere il viso. «Come è?» «Come sta?» «È bello?». «È solo?». La duchessa stava protesa verso quell’apparizione come un fiore aperto, segreto, attonito, mentre su tutto il popolo dei fiori, ugualmente aperto e incantato, sorvola il grosso insetto nero che cerca dove ficcarsi. Aveva nel pugno una rosa e la portava al naso di quando in quando serrando nel pugno la corolla. Il teatro era greve di un profumo come di un mazzo di fiori che si sta corrompendo, come se da tutti esalasse il forte odore dei momenti di piacere. Il bianco dello sparato rifletteva sui suoi capelli alle tempie qualcosa che gli dava la nobiltà d’una vecchiaia incipiente.
L’attenzione a questo punto si sposta e il vero palcoscenico non è più quello in cui viene rappresentata l’opera:
L’atto dell’opera terminò quasi inavvertito. Tutti gli occhi si fissarono su quel palco, ma già il palco era vuoto. Le donne avevano l’aria di essere detronizzate e addirittura svergognate dai loro uomini che guardavano rapiti là, alla forza e alla potenza, divenuti essi stessi femminili.
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Ed ecco come il pubblico si muove per omaggiare Mussolini, una vera e propria fila di persone che gli passano davanti:
In un baleno la fila dei palchi di primo ordine si vuotò. Nel corridoio, le signore avevano abbandonati gli uomini come se fosse scoppiato un incendio. Lui era appoggiato alla parete, davanti alla porta del suo palco, le mani nelle tasche e solo. Aveva gli occhi cerchiati di rosso. Non era di grande statura, il colorito terreo. Si pensava al suo stomaco, al suo fegato, al suo cuore. La folla veniva avanti. Gli uomini arrancavano dietro le donne, altri le trascinavano tenendole a braccetto come temendo di perderle. La folla a due passi da lui, che la vedeva arrivare indifferente e imperativo, svoltò verso le scale del ridotto, e passandogli davanti si mise a sfilare levando la mano in alto, e camminava di lato per non voltargli le spalle svoltando. Le donne in quell’atteggiamento camminavano allargando le gambe. Lui rispondeva a quei saluti con un cenno del capo, senza levare le mani dalle tasche.
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E Corrado Alvaro? L’attenzione di Mussolini è in realtà rivolta a lui. Perché?
A un tratto i suoi occhi si fissarono in fondo al corridoio dove io stavo con una signora. Non vedeva altro se non due che non sfilavano.
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