“Il silenzio del lottatore” di Rossella Milone, il mistero dei rapporti umani
Il silenzio del lottatore di Rossella Milone (Minimum Fax) è una raccolta di sei racconti che parlano di donne in lotta con loro stesse, con gli altri e le altre, con lo stare al mondo e, soprattutto con le dimensioni imbriglianti della vita. Le donne di Milone sono assetate di spazio inteso in tutta la sua possibile connotazione simbolica.
L’autrice partenopea non ha di certo bisogno di presentazioni. Nel panorama letterario italiano è una voce originale e creativa. È una di quelle autrici che in modo assai evidente parla di cose che conosce e di un mondo che le appartiene intimamente e lo fa ricorrendo alla forma del racconto, un genere purtroppo spesso sottovaluto ma a cui Milone ha contribuito a dare nuovo spirito, anche grazie al suo progetto Cattedrale.
Leggendo Il silenzio del lottatore si ha sempre più l’impressione che in verità non si tratti di storie singole, una staccata dall’altra, piuttosto tante parti che si fondono in un tutto unico. Come se le tante protagoniste siano in realtà una persona sola, ritratta in vari momenti della sua vita. Ecco perché sembra quasi che la folta galleria di donne di carattere che anima ogni pagina sia un prisma. Se visto nella sua interezza altro non mostra che l’indole femminile. Milone ha la capacità di delinearla in tutta la sua complessità e nel suo sottile gioco di contraddizioni. Ricrea per esempio sulla carta i percorsi mentali che una donna attiva quando è chiamata a reagire, a ribellarsi e a imporsi su se stessa o sui padri, i fratelli, gli amanti, gli amici.
Le sei storie del libro sono frammenti di quotidianità in sequenza che arrivano a descrivere l’indescrivibile: i rapporti umani.
Cosa accade quando due persone sono chiamate a dividersi e a contendersi gli spazi? A volte questi sono concreti come il letto – singolo o a due piazze – o la casa. Altre volte, invece, la ragione della contesa sono i momenti di vita, le scelte, il tempo.
«Lo spazio da condividere può diventare un posto scomodissimo senza scampo, in cui rimanere intrappolati come una mosca sotto un bicchiere».
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E poi in una relazione amorosa c’è il corpo, da dividere, unire e abbandonare nelle mani dell’altro con la speranza poi di poterlo avere indietro, se non tutto almeno ciò che resta. L’incontro uomo-donna diventa dunque come uno scontro sul ring e solo richiamarsi in un angolo e costringersi al silenzio, per riposarsi o prendere tempo, forse può aiutare a capire.
In Il silenzio del lottatore la donna è ritratta come un animale sempre alla ricerca di un confronto che è spesso condotto in silenzio, che può essere interiore o che può trovare interlocutrici inaspettate e talvolta persino inconsapevoli. E quando è positivo assume i toni della complicità implicita. È il caso della protagonista di Le domande di un uomo che solo grazie a un’altra donna riesce a tornare a mettere a fuoco la sua vita e dentro di sé.
Altre volte questo bisogno di confronto può invece rivelare esiti anche drammatici. È così per Marianna in Il peso del mondo per cui il bisogno dell’altra diventa patologico. Guardando fuori, Marianna finisce per perdersi, si carica tutto il peso del mondo sulle spalle e quando è schiacciata da un atto di violenza insensato esce metafisicamente dal suo corpo e solo allora torna finalmente a vedersi.
In Milone non c’è romanticismo. L’amore è una luccicanza, un’energia da preservare chiusa negli armadi di casa ma è reale, è vivo e concreto. Non si nutre solo di sospiri ma anche di verità e qualche volta ha bisogno di silenzi imposti perché possa tornare a prendere vigore.
Amare qualcuno è tuttavia “stare insieme” a quel qualcuno. E quando due vite procedono su un binario unico succede che il confine che le distingue, persino quello corporale, si sfumi. Chi si ama e chi si sceglie si trova l’uno “invischiato” nell’altro «perché il fatto di stare insieme alla fine significa trasformare due vite in una soltanto». E allora non resta che lottare per sopravvivere perché la domanda che resta è quella di una famosa poesia di Pavesee citata dalla stessa Milone:«Vale la pena essere solo, per essere sempre più solo?».
Al di là delle storie e del filo narrativo che unisce i racconti, ne In silenzio del lottatore quel che colpisce di Milone è lo stile. Come più volte sottolineato dalla critica, echi diAlice Munro e di Elizabeth Strout si riconoscono nelle pagine di Milone. Il suo stile e la sua espressione però hanno un timbro tutto autentico. La sua è una scrittura compiuta, che si nutre di parole selezionate con cura. Il sinonimo, per esempio, non serve a variare il pensiero formalmente ma ha una funzione precisa; accosta il lettore alla realtà di cui lei sta parlando. La sua penna però riesce in qualche modo a lasciare spazio all’indeterminato, alla vaghezza indefinita che – forse –altro non è che ulteriore specchio dell’indole femminile in lotta.
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