Il seme dell’arte e dei libri. “Extremity” di Daniel Warren Johnson
Con Extremity, attraverso un lungo racconto grafico in due volumi ambientato in un crudele scenario post-apocalittico, Daniel Warren Johnson si pone un obiettivo ambizioso: raccontare patologie contrastate di grande portata – l’eterno conflitto tra vocazioni e crudele scontro con la realtà, la difficoltà di accettare i propri limiti sapendo perdonare, il rapporto tra fratelli, di sangue oppure acquisiti – e ragionare sull’orrendo declino del sentimento votato alla vendetta inestinguibile e al conflitto eterno. Il risultato è in definitiva convincente ma, nel complesso, non privo di limiti. Nei due capitoli – Artista e Guerriera – (entrambi editi da SkyBound in America, ed entrambi curati da SaldaPress per la traduzione italiana di Stefano Menchetti) l’autore si prende tutto il tempo per strutturare visivamente il suo universo, debitore allo stesso tempo di sinistre atmosfere cyber-punk (vedi Mad Max) e di lugubri richiami agli archetipi tragici (colpe inestinguibili dei padri, figli costretti a pagare l’incapacità dei genitori di gestire il senso della sconfitta e della solitudine), passando per una futuristica operazione di recupero di archeologia industriale che strizza l’occhio alla fantascienza orientale.
In questo teatro, un mondo composto da meteore fluttuanti, che si inseguono tra loro senza alcun orientamento fisso, due clan rivali (i Paznina e i Roto) si rincorrono con l’intento di sterminarsi, inseguendo un’antica vendetta e una sete di sangue ritenuta estinguibile solo attraverso l’annientamento altrui. La ricerca di un’impossibile serenità, per arrivare alla quale non si prospetta altra via che la punizione e la morte, è infatti la grande nube da cui si sprigiona l’atmosfera cupa e tossica che pervade l’intera vicenda. Thea e Rollo, i due fratelli protagonisti, appartengono al clan dei Roto, ormai quasi ridotto alla completa estinzione. Figli del capotribù, sono orfani di madre, trucidata dai rivali, mentre a Thea, eccellente disegnatrice prima che feroce combattente, è stata amputata la mano destra, con l’esplicito intento di cancellarne l’identità. Rollo è invece un profilo intellettuale: maschio solitario, rigetta con forza la spirale di violenza da cui la sua comunità pare soggiogata, rifiuta la cultura del gruppo, ama i libri e si dedica allo studio delle antiche lingue ormai scomparse, tramite le quali cerca di ricostruire un legame ideale con le civiltà che lo hanno preceduto. Sarà la loro rispettiva presa di coscienza, e il loro estremo tentativo di spezzare la violenta catena che li perseguita, a far prendere alla vicenda una piega inesorabile, verso una disperata resa dei conti.
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Lo schema, si diceva, non è nuovo ma rivela mire decisamente elevate. Da un punto di vista illustrativo e citazionistico, l’architettura rimanda a un complesso barocchismo denso di riferimenti che, considerata la natura metaforica della parabola, risulta addirittura eccessivo: una linea narrativa di questa portata avrebbe potuto essere assecondata in modo più adeguato attraverso tinte maggiormente lineari, e anche se i caratteri principali sono delineati senza risparmio di complessità, e con grande fedeltà emotiva, i comprimari più importanti risultano (in molti casi) elementi dalle curve un po’ troppo prevedibili per non essere ridotti a meccanismi a comando.
Per quanto riguarda i toni narrativi veri e propri, invece, Johnson non nega che il respiro della vicenda, a cui si è dedicato dalla sceneggiatura ai colori, si collochi appunto tra l’intimo e il titanico, e che di questa missione l’esagerazione, anche nelle scelte grafiche talvolta fin troppo eccessive, sia lo scheletro fondamentale: sono comunque i giovani, per i quali è ancora possibile sperimentare una nuova redenzione – o almeno la sua ricerca – a doversi far carico della liberazione dell’animo comune, e proprio la capacità di contatto di Thea e Rollo con due universi (l’arte e i libri) all’apparenza lontani anni luce dalla brutale dialettica dello scontro, ma con essa sempre mescolati, si trasformerà nel seme possibile dell’alternativa.
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Il suggerimento di credere nell’avvenire del passato e della sua eredità è senza dubbio una leva ammaliante per il lettore, ed è in definitiva l’esito del lavoro che Johnson propone, un manoscritto orientato alla visione di un’umanità nichilista e rancorosa, mossa da una furia sorda e incancellabile, dalla quale emergono estremi tentativi di rimanere aggrappati a un diverso senso della Storia, con un mosaico di immagini frammentate e apparentemente indecifrabili, e tuttavia degne del miglior sacrifico.
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