Il segreto di Manet. Cosa accade quando si racconta la verità?
Quali segreti si celano nei dipinti? Non sempre nelle opere degli artisti i significati appaiono evidenti. Franco Rella, filosofo e docente di estetica di Venezia, con Il segreto di Manet edito da Bompiani, ci fornisce una curiosa chiave di lettura per conoscere una delle opere più celebri di Édouard Manet: Olympia.
Il dipinto, un olio su tela realizzato nel 1863 ora conservato all'interno del Musée d'Orsay di Parigi, destò scalpore tra i visitatori del Salon degli Impressionisti del 1865 non avvezzi alla rappresentazione cruda, ma allo stesso tempo veritiera della realtà della Parigi dell'Ottocento.
Cosa sollevò tutto questo polverone nei confronti di Manet che, per i continui insulti, decise di ritirarsi a vita privata per un po' di tempo, lui, amante della mondanità e assiduo frequentatore dei Cafè? Il nudo definito osceno della cortigiana rappresentata. Forse il lettore moderno troverà pressoché assurda tale motivazione, abituato alla visione continua di corpi femminili ritratti attraverso ogni mezzo mediatico che tanto scandalo non produce più. Ma i tempi erano diversi.
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Ciò che destò scalpore all'epoca era l'assenza di un corpo idealizzato che celebrasse ed esaltasse la perfezione della donna: infatti fino a quando Manet irruppe sulla scena in modo "brutale", il nudo era accettato dai critici e dal pubblico solo nel caso in cui le signore in questione fossero figure mitologiche. Per Manet Olympia alias Victorine Meurent, sua musa e amante, rappresentava la realtà parigina dell'epoca che contava circa cinquemila prostitute registrate e oltre trentamila non registrate. «Il trionfo della volgarità» la definirono i critici.
Tutti furono concordi nel deprecare l'ennesima provocazione del pittore.
Per quale motivo allora la giuria di selezione ritenne la tela idonea per partecipare all'esposizione? È probabile che il comitato elettore inizialmente la vedesse più una versione moderna della Venere di Urbino di Tiziano.
Le due opere infatti hanno evidenti punti in comune, forse dovuti al fatto che lo stesso Manet riprodusse una copia del dipinto del suo predecessore alcuni anni prima. Il pittore riprende la posizione della donna, i colori, l'ambientazione, la collocazione dell'animale da compagnia ai piedi del letto.
Tuttavia, se di primo acchito le due opere sembrano assomigliarsi, analizzandole più nel dettaglio ci si accorge che dopotutto così uguali non lo sono affatto. A cominciare da quel gatto nero, in arte simbolo di sessualità licenziosa, che mette soggezione e che risulta differente dalla sensazione di pace e tranquillità trasmessa dal cane di Tiziano. Oppure quel nastro nero che, lungi dall'essere un accessorio di bellezza, allude al legame con la prostituzione. Il nome stesso, Olympia, era poi uno degli pseudonimi in voga tra le prostitute nell'Ottocento. E in particolare è spiazzante la mancanza di eleganza della donna ritratta, lontana dalle fattezze classiche di perfezione, raffigurata con un accenno di doppio mento, con gambe sproporzionate e con quello sguardo di sufficienza rivolto a un ipotetico spettatore (cliente).
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Qual è dunque il segreto che si cela nell'opera dello scandalo? Partendo dalla lettura che ne fa lo scrittore del secolo scorso Georges Bataille, Rella si sofferma proprio sullo sguardo e l'espressione della cortigiana che provoca quasi uno stato di malessere e disagio in chi la osserva:
«Quando poco tempo fa mi sono riaccostato a Manet, spinto da uno straordinario saggio di Georges Bataille, quando ho cominciato a guardarlo ancora una volta, mi sono reso conto che in realtà Il segreto di Manet era sempre rimasto nel fondo del mio sguardo, e che aveva segnato il mio rapporto con l'arte e con artisti anche molto distanti da lui».
E continua svelandoci il motivo della scelta del titolo:
«S'intitola Il segreto di Manet non solo perché a Manet è dedicata la parte più importante ed estesa, ma anche perché proprio il segreto di Manet mi ha spinto verso il segreto degli altri artisti che qui compaiono insieme a lui».
Il libro infatti presenta un'interpretazione delle opere di altri artisti quali Rembrandt e Giacometti attraverso le pagine scritte da Genet, Cézanne attraverso quelle di Mike, Van Gogh grazie ad Artaud.
Il linguaggio del corpo di Olympia sottolinea un realismo crudo, suggerisce la sfida rivolta verso lo spettatore da parte di una donna che è consapevole della sua professione e non prova alcun imbarazzo, che non dà importanza a quel mazzo di fiori gentilmente portole dalla serva, forse omaggio di un suo cliente.
D'altronde lo dice il pittore stesso: «Io dipingo solo cose vere».
Manet non trovò molti sostenitori, neppure tra gli Impressionisti che lo consideravano padre del gruppo e da cui però si tenne a distanza. Con alcuni di essi non ebbe ottimi rapporti, vedasi per esempio ciò che accadde con Monet.
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Il critico Julés Claretie definì l'Olympia «un'ignobile modella pescata chissà dove... odalisca dal ventre giallo».
Tuttavia, ci furono alcuni amici scrittori che presero le sue difese, primo fra tutti Èmile Zola che esaltò la tela come tipico simbolo del mondo urbano parigino, ignorato da molti che lo ritenevano invece un tabù.
Quel che è certo è che Manet segnò un punto di svolta nell'arte. Egli riteneva necessario: «Essere del proprio tempo e dipingere ciò che si vede, senza lasciarsi turbare dalla moda». Questo era il suo programma e lo seguì, sebbene ciò gli comportò pesanti conseguenze tra cui una serie di critiche da parte di colleghi e dell'Accademia stessa che egli considerava il vero campo di battaglia per un pittore. Non gli erano stati sufficienti gli insulti per la sua Déjeuner sur l'herbe del 1863, etichettata da Napoleone III come opera indecente.
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Manet amava le sfide, portando sempre avanti la sua idea: «Si vede come si vuol vedere ed è questa falsità che costituisce l'arte».
Da sottolineare però come Manet rimase un punto di riferimento per molti artisti dell'epoca. Lo stesso Degas, nel giorno della morte dell'amico, dichiarò: «Era più grande di quanto pensassimo».
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Criticato durante la vita, rivalutato e apprezzato nei secoli successivi, rimane il fatto che la verità raccontata attraverso i suoi pennelli fa riflettere su come non sia sempre sufficiente vedere un'opera in superficie, ma bisogna guardare al di là di essa.
Franco Rella con Il segreto di Manet vuole andare oltre e, se anche la lettura del testo richiede impegno, ci tiene a ribadire che:
«È solo attraverso le parole di grandi scrittori che riusciamo a cogliere a pieno la forza dirompente degli artisti: Nessuno di questi scrittori è interessato ai problemi della storia dell'arte. Ognuno di loro è interessato al segreto che sta dietro l'opera d'arte».
Non è forse l'essenza dell'arte l'assenza di una verità assoluta?
Vi consigliamo la lettura di questo testo prima di visitare la mostra dedicata a Manet aperta fino al 2 luglio 2017 presso il Palazzo Reale a Milano, in cui sono raccolti i maggiori capolavori del maestro. Un modo per addentrarsi ancor più nella sua arte con la libertà di poterlo interpretare oltre le letture offerte dai testi di critici d'arte.
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