“Il salto della rana” di Paola Rondini: una scrittura al confine tra cinema e narrativa
Il salto della rana di Paola Rondini (Fernandel, 2014) è uno di quei libri che devono essere letti per intero soprattutto da chi scrive di libri (senza, beninteso, precludere le altre categorie di lettori) per ricordare la responsabilità di cui sono investiti. Perché sarebbe facile liquidare il giudizio su questo romanzo lasciando il testo a metà, o persino prima, e cadere nella trappola del “tanto ho capito come va a finire”.
È pur vero che la trama ci mette del suo nel fare, appunto, il salto della rana tra generi e tecniche narratologiche, rimbalzando dal thriller al distopico, dal giallo al rosa, da un personaggio all’altro. E qualche volta perde l’equilibrio, scivola e cade.
Emma è una copywriter trentaseienne impiegata in un prestigioso studio pubblicitario di Milano. Un mattino nota un’auto fuggire a tutta velocità e poco dopo viene a sapere di uno strano furto in un appartamento del civico 16, appartamento abitato da un tale Ulivieri con cui instaura immediatamente un rapporto singolare, fatto di sguardi e toni vocali che s’intrufolano nella mente occupandone gli spazi più remoti. Tutto, in realtà, ha qualcosa di eccentrico, stravagante, originale nella vita di Emma. A cominciare da sua madre, un po’ nomade e un po’ meteora, che appare e scompare come la memoria che non ha più, una donna che parla in rima come gli slogan della pubblicità. Quegli stessi slogan che il mestiere di Emma le impone di inventare. È il caso di un nuovo marchio di moda che ha reclusoin un avveniristico edificio nel deserto dell’Arizona, denominato programmaticamente Il Cubo, un piccolo esercito tra creativi, sarti e modelle (un’allusione a Project Runway?), guidati da un giovane e determinato designer, Nikandros. Proprio in Arizona, Emma sarà inviata in missione per conto dell’agenzia per seguire il programma del lancio pubblicitario. Anche Nikandros eserciterà sulla donna un’attrazione molto meno platonica, questa volta, ma altrettanto intensa, poderosa, a cui sarà impossibile sottrarsi. E tuttavia il vero percorso che Emma è chiamata a fare, e la sua meta, sono altri; interferenze nel segnale di frequenza di una vita che viaggia secondo una relazione di dispersione fenomenica tra realtà e astrazione.
Maci sono anche Maria, e Andrea, e Saverio, e una coppia in crisi coniugale. E ognuno ha una storia più o meno intrecciata con quella di Emma, più o meno intellegibile, più o meno integrata nell’economia complessiva della storia.
Non si può certo affermare che questo romanzo di Paola Rondini sia afflitto dalla sindrome dell’infodump, tutt’altro. Al lettore quasi non spiacerebbe qualche cognizione in più, un legame che non sia unaderoga, una connessione che non sia insubordinazione, qualcosa, insomma, che aiuti a mantenere il filo e la concentrazione, la fabula collegata all’intreccio, non menovitali del fascino e dell’interesse che un racconto rarefatto come quello de Il salto della rana pure offre. Perché questo libro non è privo d’incanto.
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La prosa, per esempio. Nella sua costruzione prevalentemente paratattica, mantiene un significativo livello di precisione e incisività, dimostrando che l’autrice conosce bene il valore delle parole e il peso della struttura della frase nel veicolare non solo il senso della storia ma anche il tono, il ritmo, gli elementi di una lingua efficace e armonica, che molto punta sulla misura dinamica delle parole. Paracitando il testo: «Le parole sono pronte», che poi riescano a servire la loro funzione narrativa, questo, come già detto, è una questione più complessa e, almeno dal mio punto di vista, trova una soluzione meno efficace.
Forse perché Il salto della rana più che alla narrativa tende alla cinematografia. Baso questa affermazione non solo sui reiterati accenni presenti all’interno del romanzo («Ecco il cinema, pensai. Se avessi avuto una telecamera avrei ripreso prima quel seguito sbuffante e poi avrei zoomato sulle mani…», e ancora: «Cinema ovunque, ecco il mio problema»), ma sull’analisi della stessa struttura del romanzo, organizzato per blocchi che sono come sequenze di un film. Peccato che solo alcune sequenze riescano a formare degli episodi coerenti, le altre restano per lo più slegate dal contesto, montate per ellissidecentrate. Almeno sino al finale. Nelle ultime pagine il puzzle si ricompone, sebbene qualche pezzo sembri incastrarsi forzosamente.
Ed ecco perché, come segnalavo all’inizio, questo romanzo ha l’indubbio pregio di ricordare che per forgiare un’opinione (superfluo sottolineare personale), un lettore, tanto più quelli investiti della responsabilità di esprimere un giudizio pubblico, deve arrivare davvero alla parola fine, e non necessariamente per sublimare la catarsi. Talvolta è solo per afferrare il senso e dare una prospettiva a una lettura che ha seminato molti punti interrogativi sul suo cammino. Ogni libro ha una meta. E, come la sua protagonista, Il salto della rana di Paola Rondini arriva alla sua spiccando una serie di proverbiali voli pindarici.
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