Il Salone del Libro si sposterà a Milano? – Intervista a Gaspare Bona
Lo scorso 02 febbraio i media lanciano la notizia delle dimissioni di Federico Motta, presidente dell'Aie, dal consiglio di amministrazione della Fondazione che organizza il Salone internazionale del Libro di Torino. Gli interrogativi sono tanti ma una domanda sembrano porsela tutti: il Salone del Libro di Torino si farà ancora oppure no?
Il 06 febbraio Gaspare Bona di Instar Libri scrive un appello, in forma di lettera aperta indirizzata ai colleghi editori, ai soci della Fondazione del Libro, alle Fondazioni bancarie, a private società e istituzioni locali e nazionali. Perché Gaspare Bona ha scritto questa lettera? Ne abbiamo parlato in un'intervista.
Che cosa si aspetta grazie alla sua lettera ai colleghi editori, una proposta concreta da parte dell’organizzazione del Salone del Libro o altro?
Alla base di tutto c'è questa sensazione che si parlasse del Salone del Libro, al di là di ciò che andava bene o male, senza mai pensarlo come entità. La paura che ci fosse il rischio di buttare via il bambino con l'acqua sporca. Per cui questo appello è in difesa del “bambino”.
La speranza è smuovere le istituzioni, gli sponsor privati, le banche... sembra che anche il Ministero abbia mostrato interesse. Arrivare a una soluzione concreta che garantisca un futuro al Salone. Che non si arrivi a dire “beh anche quest'anno siam riusciti a farlo”. Si riesca a riportarlo in auge e che resti un appuntamento fondamentale, senza snaturarlo.
Il problema di fondo, secondo me, è capire se il Salone del Libro è una manifestazione culturale di importanza nazionale e internazionale, come io e tanti altri editori pensiamo, e quindi venga considerato un investimento da parte delle istituzioni, anche per la ricaduta economica per la città di Torino ma soprattutto per l'aspetto culturale, oppure se deve essere considerato solo una fiera commerciale. Non penso si possa fare una manifestazione come il Salone del Libro senza che ci siano dei contributi, ci sono sempre stati, ma bisogna gestirli bene.
La lettera che ha scritto ai colleghi ha trovato numerosi apprezzamenti e al medesimo tempo continua il silenzio di case editrici di alcuni gruppi editoriali. Un silenzio che fa male, in primo luogo, al Salone del Libro di Torino: vi sentite in un ruolo marginale come ha dichiarato il presidente dell’Aie, Federico Motta, e in questi ruoli marginali ci sono vedute molto diverse fra voi editori?
Non so quali siano le ragioni dell'uscita di Motta. Ho letto il comunicato dove si parla di questo ruolo marginale degli editori e che quindi è inutile che stiano nel consiglio. Alcuni editori, secondo me, hanno pensato che la mia lettera fosse contro la decisione di Motta di dimettersi. In realtà il motivo che mi ha spinto a scriverla è stato il modo in cui, soprattutto i media, hanno comunicato la notizia. Quando i giornali titolano “gli editori abbandonano il Salone del Libro” io mi metto in allarme. Per quali ragioni? Intanto l'Aie rappresenta una grande parte degli editori italiani ma non tutti, circa 400 su 4000 case editrici esistenti. Inoltre dire che gli editori abbandonano il Salone è un controsenso. Gli editori fanno il Salone, senza di essi non esisterebbe. L'idea passata è che gli editori abbandonano e il Salone non si fa più ed è completamente sbagliato. Tant'è vero che tantissimi editori, anche iscritti all'Aie, hanno aderito all'appello. Altri potrebbero non aver aderito perché hanno interpretato il gesto come una polemica contro l'Aie. Ma non è così.
Sono sette, otto mesi che del Salone si parla solo in termini negativi e così facendo si perde di vista il valore che ha. Qualche anno fa, quando è successo lo scandalo del Grinzane Cavour, è stato buttato via tutto quando, in realtà, era un problema di pochi. Quelli che scrivevano i libri per il Premio lo facevano senza implicazioni. La giuria era composta da persone valide, assolutamente specchiate. Che dietro ci fosse una mangiatoia non c'entrava niente con loro, mentre sono rimasti coinvolti tutti. Adesso mi sembrava che ci fosse un po' lo stesso pericolo.
Ernesto Ferrero, ad esempio, è una persona straordinaria, ha fatto tantissimo in questi anni per il Salone del Libro, per farlo crescere. Io ho partecipato al Salone dal primo anno, come lettore e poi come editore. Lo reputo un appuntamento importantissimo. Non solo per l'aspetto commerciale della vendita dei libri. In quei cinque giorni si ha la possibilità di un confronto con tutti gli altri editori italiani, con tutti i professionisti dell'editoria – traduttori, redattori, agenti – e si assiste a un fermento incredibile. Poi, in questi ultimi anni, con l'IBF è diventata internazionale.
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Eppure l’International Book Forum è a rischio chiusura. Perché?
I giornali hanno riportato la notizia che quest'anno non si fa più perché non ci sono i soldi. La lettera contiene anche l'appello alla conservazione dell'IBF. Credo troveranno i soldi per farlo. Da tutte le parti è giunta la richiesta di mantenerlo.
Il salone del libro di Torino è stato recentemente al centro di due scandali: quello dei numeri di ingresso gonfiati (ottobre 2015) e l'accusa di peculato mossa al presidente Pacchioni (maggio 2015). Quanto hanno inciso queste due situazioni nel minare la credibilità del Salone? Cosa possono fare gli editori affinché sia concretamente recuperata?
Sono due problemi molto diversi. Sulle accuse solo la Magistratura può decidere. Sulla questione dei numeri, credo sia stata una gaffe. I numeri sono grossi lo stesso, di fatto, anche se avessero dato le cifre esatte, non sarebbe cambiato nulla, sono comunque importanti. Non penso ci sia un problema di credibilità del Salone del Libro. C'è una struttura a monte, che è la Fondazione, che forse deve recuperare credibilità e sembra che, con le nuove persone, lo stia facendo. Gli editori arrivano al Salone con i libri dei loro autori, questa credibilità non è stata in alcun modo intaccata.
La questione non è soltanto legata al 2016 e a Torino, indubbiamente Milano, con il suo BookCity, che in pochi anni ha raggiunto numeri importati, e con Expo che ha ridato alla città una centralità internazionale culturale, vuole essere la protagonista dell’editoria che da molti anni sogna, non solo per la presenza già consolidata di tante case editrici, ma anche con un proprio evento sui libri in grado di sbaragliare la concorrenza. È una riflessione scorretta, parziale, maliziosa, o contiene una piccola verità?
Del fatto che Milano voglia scippare il Salone del Libro a Torino se ne parla da tanti anni. Non posso escludere che ci sia questo rischio, fa parte dell'appello chiedere alle istituzioni di agire anche perché ciò non avvenga. Tuttavia penso che il Salone non sia trasportabile, nel senso che non si può pensare di spostarlo altrove senza trasformarlo in qualcos'altro. Inoltre mi sembra che Milano, proprio per queste sue manifestazioni, abbia già trovato un proprio spazio culturale, differente ma comunque interessante. La mia speranza è che crescano entrambe: il Salone a Torino e BookCity a Milano.
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