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Il romanzo delle Brigate rosse raccontato da Alessandro Bertante

Il romanzo delle Brigate rosse raccontato da Alessandro BertanteMordi e fuggi esce per Baldini+Castoldi, lo firma Alessandro Bertante e ha la forza di smuovere le convinzioni del lettore, spingerlo fuori dalla zona di confort del pensiero, e lì, al di là delle proprie convinzioni, crea lo spazio necessario per mettere le basi per una visione differente.

Il titolo, Mordi e fuggi, viene dalla frase scritta dai brigatisti e appesa al collo del dirigente della Sit-Siemens, Idalgo Macchiarini. La vita raccontata, invece, è quella di un ventenne, Alberto Boscolo, animo irrequieto, un cavaliere errante della metropoli, flagellato dagli ideali, contraddistinto dall’azione. Perché Alberto Boscolo agisce.

È il sottotitolo, però, quello che esplicita qual è il quadro storico in cui questo giovane protagonista si muove. E, a uno sguardo acerbo (allo sguardo dei più?), le Brigate Rosse non godono di alcuna bivalenza di significato.

 

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Rispolveriamo rapidamente cosa ci evocano le Brigate Rosse. In massima sintesi, si tratta di un’organizzazione eversiva di estrema sinistra la cui attività è rimasta legata al cosiddetto «attacco al cuore dello Stato», durante il quale si sono verificati episodi di uccisione, ferimento o rapimento di politici. Dal punto di vista temporal, parliamo degli anni ’70 e ’80, mentre una delle più clamorose azioni è quella legata alla figura di Aldo Moro, uno dei fondatori di Democrazia cristiana e, successivamente, Presidente del Consiglio dei ministri.

Infatti, le BR… Il sequestro di Sossi. Aldo Moro.

E allora, quando si conosce Alberto Boscolo, quando lo si sente parlare, pensare, agire, è come cogliere i pensieri di qualcuno che in principio giudichi, reputi sbagliato. Un nemico. Eppure, a sentire le sue ragioni, questo ventenne non è affatto il nemico. Di più: siamo così sicuri di sapere chi sia il nemico? Ancora di più: chi può stabilire chi è il nemico?

Sono pensieri secondari, che forse esulano dal volere dell’autore, poiché Alessandro Bertante si limita a raccontare le vicende di Alberto Boscolo, uno studente ventenne, che sente la questione politica in un modo che oggi, ai ventenni, sembra quasi alieno. Alberto ha idee chiare, è pronto a prendere una posizione netta pur di difenderle. Siamo nel 1969. A Milano, stanno nascendo le Brigate Rosse. Siamo ospiti di un tempo in cui le Brigate Rosse non hanno ancora un nome, ma lo stanno cercando perché intendono rivendicare le proprie azioni. Sono diversi dagli altri gruppi eversivi.

Il romanzo delle Brigate rosse raccontato da Alessandro Bertante

Allora chi sono le BR della memoria collettiva? Bertante non lo dice. Però sorge il dubbio non siano le stesse di quelli che le hanno fondate. E, allora, le domande sgorgano come un torrente di montagna alimentato dalle piogge. Chi sono i buoni? I fatti storici, da quale punto di vista vanno giudicati? Dobbiamo giudicarli, emettere ardue sentenze?

È buono Alberto? Agisce nel giusto? Difficile stabilirlo, di certo nelle sue parole risuona forte la verità mentre dice: «E soprattutto non mi interessano le conseguenze. Mio padre pensa alle conseguenze […], le sue parole mi rimbombano nella testa da quando sono nato. Mia madre e Anita pensano alle conseguenze, tutte le brave persone pensano alle conseguenze. […] se pensiamo sempre o solo alle conseguenze ogni nostro gesto diventa inutile, siamo come una pistola che spara a salve.»

Il romanzo delle Brigate rosse raccontato da Alessandro Bertante

È liberatorio agire senza pensare alle conseguenze. Ma in che modo agire senza pensare alle conseguenze ridisegna il mondo, la storia?

 

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Bertante racconta una storia, un personaggio di finzione che si muove in un mondo reale. Piazza Fontana. I sequestri, le rapine. Le domande appartengono a chi legge.

Infatti, sembra quasi una dichiarazione di intenti dell’autore – una sublime dichiarazione – quando si legge: «No, Alberto ti fermo subito così non stiamo qua a raccontarci cazzate come due sciocchi che non si ascoltano a vicenda […]. Non ti confondere, io non voglio convincere nessuno. […] Ogni scelta, anche la più sciagurata e incomprensibile, ha la sua dignità e vale la pena di essere vissuta fino in fondo, in caso contrario saremmo morti ancora prima di nascere».


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