Il romanzo della roba. “I leoni di Sicilia” di Stefania Auci
È uscito lo scorso 6 maggio a cura della casa editrice Nord I leoni di Sicilia, primo romanzo della saga dei Florio, a opera di Stefania Auci.
Il nome Florio non dirà molto ai più; qualcuno lo potrà collegare al marsala, ma per il resto poco viene alla mente. Pare invece che i Florio, negli ultimi due secoli, siano stati una famiglia di incredibile prestigio e ricchezza, composta di grandi lavoratori e imprenditori, che seppero creare un vero e proprio impero partendo dal nulla, o quasi.
Per chi vuole sapere di più su questa famiglia dalla storia curiosa e affascinante è d’obbligo un’attenta lettura di questo libro, che ripercorre il tragitto della famiglia dall’arrivo in Sicilia, nel 1799, sino al 1868 quando Ignazio Florio è saldamente a capo di una delle più fiorenti aziende del neonato regno d’Italia. Non ci si confonda: non siamo di fronte a una noiosa monografia sulla sorte di una famiglia ottocentesca del Sud Italia, ma di un romanzo fatto e finito, che ci terrà incollati sino all’ultima pagina e – dopo di questa – in ansiosa attesa del secondo volume. La storia stessa dei Florio fu infatti un susseguirsi di avventure, racconti di passioni e rovesci di fortuna che pareva uscita dalla penna di uno scrittore già nel suo primo accadere.
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Il racconto inizia con la decisione di Paolo, piccolo commerciante di Bagnara Calabra, di andare a vivere a Palermo, dopo che l’ennesimo terremoto ha distrutto la città. Con sé porta il fratello Ignazio con la moglie Giuseppina e il figlio Vincenzo. Nel capoluogo dell’isola, i due fratelli iniziano da una piccola bottega – una putìà – di aromatari, dove vendono spezie, lottando per imporsi in un mondo, quello degli affari della città, molto competitivo e che non vede di buon occhio intrusione da parte di “stranieri”.
Da poco più di nulla, una piccola putìa gestita con attenzione e impegno prima dai due fratelli e poi da Vincenzo, nacque la grande casa Florio che fece acquisire alla famiglia prima ricchezza e, in un secondo momento, potere.
Sulla trama è però meglio non concentrarsi ulteriormente, per non rovinare il gusto della lettura di una storia piacevolissima anche per chi non ha grande interesse a conoscere la vicenda storica della famiglia Florio, ma vuole semplicemente godersi il romanzo.
Quanto si può invece ancora dire è che I leoni di Sicilia, oltre a raccontare una storia piacevolissima, è anche un affresco storico e sociale unico nel suo genere. Attraverso le vicende dei protagonisti, infatti, l’autrice ripercorre le tappe dell’intero Ottocento italiano (in attesa del Novecento, raccontato in un prossimo volume della saga), dall’epoca napoleonica sino all’Unità d’Italia, passando per i moti rivoluzionari, in una girandola di sollevazioni popolari e restaurazioni borboniche che si concluderà solo con la discesa nell’isola di Garibaldi e dei suoi Mille. Il tutto raccontato dall’insolito punto di vista di una classe alto borghese del Sud Italia.
Una precisazione da non trascurare. Un punto di vista popolare, infatti, avrebbe dipinto questo periodo storico come un susseguirsi di repressioni e liberazioni (come vorrebbe una logora storiografia), mentre un punto di vista aristocratico al contrario avrebbe altrettanto piattamente rappresentato l’Ottocento come un’epoca di pericolosi sommovimenti della plebe da contrastare con ogni mezzo possibile al fine di difendere i privilegi di chi “la nobiltà ce l’ha nel sangue”. Il punto di osservazione di una ricca borghesia mercantile, vicina tanto agli interessi della aristocrazia (in quanto anch’essa tenutaria di molti privilegi da difendere, non legati alla nobiltà del sangue ma al ben più concreto denaro), quanto a quella della popolazione, cui la famiglia Florio sempre sarà legata per storia e tradizione, permette di analizzare i fenomeni risorgimentali cogliendone pregi e difetti, opportunità e delusioni, vagliandoli con occhio molto critico, non viziato né da un fideistico abbandono rivoluzionario né, al contrario, da un altrettanto pregiudiziale rifiuto di ogni cambiamento.
A completare tutto ciò non mancano deliziosi ritratti della realtà dell’epoca, con descrizioni minuziose della vita dei poveri contadini delle tonnare, della società mercantile Ottocentesca, come della nobiltà reazionaria Siciliana, giunta ormai a una completa decadenza ma incapace di ammetterlo in primo luogo proprio a se stessa.
Terza anima del volume è l’attenzione posta dall’autrice sugli affetti e i sentimenti umani che interessano i protagonisti del racconto. Amori proibiti, rivalità e grandi passioni così come legami famigliari contornano la vita dei Florio sin dal suo arrivo in Sicilia, dando ai suoi membri uno spessore e un’umanità che permettono un vero coinvolgimento del lettore con le vicende narrate e fanno de I leoni di Sicilia, come detto in apertura, non una sterile monografia, ma un vero e proprio romanzo dai mille colori e sapori.
Una nota finale merita poi lo stile con cui il libro è stato scritto, ingrediente essenziale di questa riuscitissima ricetta. La Sicilia, coprotagonista muta del testo assieme alla “casa Florio”, viene descritta in tutti i suoi aspetti – dalle solfatare del centro, al salotto del viceré, passando per la vie del porto o le descrizioni dei banchetti – in poche battute, aspre e scarne che hanno però la qualità di riuscire a racchiudere in sé tutti i sensi, dando al lettore, con pochi tratti, il quadro della realtà tanto vivace dell’isola.
Accanto a questi poi si affacciano una grande quantità di dialoghi, sempre molto credibili – spesso in dialetto e infarciti di proverbi (questi, invece, costantemente in dialetto) – che permettono ai personaggi di delineare da sé la propria personalità, senza lungaggini introspettive e psicologiche che toglierebbero vitalità al romanzo.
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Uno stile teatrale, fatto di descrizioni brevi e penetranti, che preferisce suggerire piuttosto che spiegare puntualmente: in una parola l’autrice trova l’ipostasti stilistica di una terra – la Sicilia – affascinante e brulla al contempo che non si spiega al visitatore ma lo invita piuttosto ad accettarne il mistero.
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