Il ritorno di Schiavone. “Le ossa parlano” di Antonio Manzini
Ormai Rocco Schiavone, nato dalla penna di Antonio Manzini, è famoso quanto Montalbano. Protagonista di romanzi di successo editi per Sellerio (il primo, Pista nera, è uscito nel 2013, seguito da La costola di Adamo, Non è stagione, Era di maggio, 7-7-2007,Pulvis et Umbra,Fate il vostro gioco, Rien va plus, Ah l’amore l’amore e l’ultimo, Vecchie conoscenze) e di una fortunata serie tv su Rai 2 dove Rocco ha il volto (che gli calza a pennello a detta dei più) di Marco Giallini: il vicequestore, romano doc, si trova però costretto a lavorare ad Aosta, alle prese con una squadra a tratti efficiente e a tratti comica (D’Intino, l’agente abruzzese che non ne azzecca una, ricorda Catarella e il suo modo buffo di esprimersi) è di nuovo alle prese con un’indagine, che Manzini racconta nel romanzo Le ossa parlano, uscito il 13 gennaio.
Se di solito indagare su un omicidio, per Rocco, è una rottura “di decimo livello”, stavolta Schiavone si trova coinvolto in un cold case (ecco spiegate le ossa rivelatrici del titolo) che lo coinvolge più del solito. Circondato dalla sua squadra, Antonio Scipioni, che è diventato finalmente adulto, Casella, che ha trovato un suo equilibrio sentimentale; Deruta (che abbiamo imparato a conoscere da poco), fino al fedele quanto poco affidabile D’Intino, sinceramente affezionato al suo vicequestore; e i medici della scientifica Michela Gambino (con le sue teorie assurde) e il toscano verace Fumagalli, che riesce a far parlare i morti.
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Schiavone si trova impelagato in un mare di melma appiccicosa dal quale sarà difficile liberarsi e purificarsi. Onnipresente è Marina, la moglie tanto amata e persa troppo presto, e gli amici di sempre: Brizio e Furio, che costituiscono la sua ancora nella natia Roma, che Rocco, pare, si appresta a lasciare una volta per tutte, vendendo l’attico dove ha vissuto i suoi anni più felici, ormai irraggiungibili. E si resta veramente con il fiato sospeso per tutto il tempo, durante la lettura, perché ci si chiede a che punto può davvero arrivare l’orrore e la cattiveria umana. Una risposta alla quale Rocco è stanco di cercare risposta ma che, come tutti sappiamo, non smetterà mai di cercare.
Una strategia narrativa che sa coinvolgere il lettore è quella che mette in atto Manzini, adottando il punto di vista corale e facendoci conoscere e apprezzare, come si è detto, tutta la squadra di Rocco. Colleghi, ma anche amici, ormai, perché non è possibile combattere il male insieme tutti i giorni senza legarsi almeno un po’. Rocco, poi, ha un grande bisogno di nuovi affetti, nonostante menta a sé stesso e cerchi di annientarsi nel dolore nel ricordo, ferito dall’ennesima bastonata che la vita gli ha inferto, che ci viene rivelata alla fine di Vecchie conoscenze, uscito lo scorso giugno. Vecchie nel senso di intime, consolidate, radici, ma anche nel senso di obsolete, foglie secche che è meglio strappare via, anche se è molto doloroso. Nel mezzo, la nostalgia per Gabriele, il suo figlioccio, che ha spiccato il volo a Milano e sembra non avere più bisogno dei suoi consigli, e l’indecisione sulla bella Sandra: buttarsi e vivere una nuova storia, anche se sembra impossibile pensarlo. E poi Lupa, la sua unica e fedele compagna, che in questa puntata diventa mamma ed è l’unico squarcio di vita per lui.
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Rocco è sempre più solo, questa è la verità che Manzini sembra volerci inculcare a tutti i costi, come a dirci di non farci tante illusioni, come a volerci spiegare che Rocco ha un destino ben definito, una strada da percorrere già definita dalla sua penna. Il giallo di puntata è di certo il più dolente e coinvolgente, trascina il lettore in un vortice di dolore e rabbia dal quale, arrivata la parola fine, si fatica a tirarsi fuori.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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