Il ritorno di Mia. Intervista a Federica Bosco
Federica Bosco ritorna in libreria con la sua Mia, protagonista di Un Angelo per sempre (Newton Compton Editori), con il quale ritorna sui passi della trilogia dell’Angelo.
Un ritorno in parte inatteso, visto che da Un amore di angelo, il terzo volume della serie, sono trascorsi ben otto anni, durante i quali Federica Bosco ha dedicato un bel po’ di libri alle sue lettrici e ai suoi lettori.
Anche di questo abbiamo parlato con Bosco nell’intervista che ci ha concesso, e nella quale ci siamo soffermati anche sulla spinosa questione del genere rosa.
Un Angelo per sempre è il quarto volume della Serie dell’Angelo. Ma chi sono gli angeli per Federica Bosco? Cosa rappresentano nella vita di chi li incontra?
Si dice che il mistero dell’amore e della morte siano i più profondi e insondabili dell’essere umano. Mi piace pensare che l’amore delle persone che ci sono state accanto non svanisca con la loro morte, ma continui in qualche modo a proteggerci.
Personalmente ho sperimentato spesso una sorta di “accompagnamento” nei momenti più difficili, come un una sensazione di sostegno, di fiducia che le cose sarebbero cambiate. Un angelo può manifestarsi in molte forme, un libro al momento giusto, una mano da uno sconosciuto, un consiglio sentito alla radio. Bisogna rimanere aperti alle infinite possibilità che la vita ci offre.
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Sono trascorsi nove anni dai primi due volumi della serie (Innamorata di un angelo e Il mio angelo segreto) e otto dal terzo (Un amore di angelo). Com’è cambiato in questo periodo abbastanza lungo il suo approccio verso Mia, la protagonista della storia? E come mai ha lasciato trascorrere tutto questo tempo per una quarta “puntata”?
Quando ho scritto la trilogia dell’angelo, ero certa che non ci sarebbe stato un seguito. Mia, la protagonista, aveva completato il suo percorso, era cresciuta, aveva superato le più devastanti prove della sua vita e ne era uscita vincitrice.
Sette anni dopo, ho avvertito il bisogno di scrivere ancora di lei, come se fosse stata proprio lei a chiedermi di farlo. In questi anni sono cambiate moltissime cose, specialmente con l’avvento prepotente dei social come Instagram e WhatsApp che ai tempi non c’erano ancora e che hanno spinto all’estremo l’idea dell’immagine a discapito del vero talento. E sapevo che Mia che ora ha ventiquattro anni, ne avrebbe sofferto. E anche la sua relazione è lontana dall’essere perfetta per non parlare di un passato che non è ancora chiuso e che ha fatto piangere moltissimo le lettrici a cui sentivo di dovere un seguito che prima non sarei stata in grado di raccontare.
Questo romanzo mi pare anche una riflessione sul talento, sul destino e sulla capacità di trasformare anche gli eventi più negativi in opportunità. Cosa risponde a chi in questo potrebbe vedere un eccesso di ottimismo?
Non sono un’ottimista, e non amo il lieto fine a ogni costo. Il primo libro della Trilogia (Innamorata di un angelo, ndr) si concludeva con un suicidio, è stato solo dopo che ho affrontato il tema della risalita, dolorosa, lenta e possibile solo grazie all’aiuto di chi ci ama e la forza di volontà. Purtroppo non ci sono scorciatoie, ma è certo che se parti da te, qualunque sia il momento in cui ti trovi, se fai anche un piccolo, piccolissimo sforzo in direzione della salvezza, poi tutto l’universo cospirerà affinché tu ottenga quello che cerchi, fosse anche solo un po' di pace.
Nella sua produzione letteraria grande spazio occupa l’amore declinato in vari aspetti e forme. Non credo onestamente che si tratti solo di aderenza a un genere letterario, ma mi sembra di poter notare un interesse che va oltre. Che cos’è per lei l’amore? E perché la decisione di raccontarlo così tanto?
Non devono trarre in inganno i titoli che, va ammesso, sono spesso scelti perché “amore” è una parola che coglie l’attenzione di noi donne che siamo le lettrici più forti nel mercato.
L’amore è in ogni storia che si sceglie di raccontare, fra un uomo e una donna, una madre e un figlio, fratelli, amici, colleghi, o animali. Anche le storie di guerra prima o poi finiscono per parlare d’amore: un ideale, la patria, la religione…
Nelle storie che racconto analizzo le relazioni così come sono, imperfette, incasinate, dolorose, sempre lontane dall’immaginario e che funzionano solo quando ci si mette veramente in gioco.
Cerco di farlo con ironia, perché ritengo che alla fine è veramente una risata che ci salverà.
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A proposito di generi, lei viene spesso associata al romanzo rosa o chick-lit. Cosa pensa di queste etichette? Ci si riconosce o le trova riduttive?
Quellodel “rosa” è un tema che fa irritare molto noi scrittrici. Ma di fatto in libreria l’etichetta sullo scaffale parla chiaro, (non ho ancora visto lo scaffale dei “romanzi azzurri”!). Io scrivo semplicemente dei romanzi, storie di vita, relazioni, conflitti, famiglie, figli, fidanzati, e morte; in ogni mio libro muore qualcuno. Sempre. Ma si sa, la parità è ancora lontana e io ho una grande fiducia nelle prossime generazioni, che invece non si interessano al genere, ma al contenuto.
In una delle pagine iniziali del libro, Mia parlando di sé dice: «Dopo tutto quello che avevo passato non c’era più niente che mi facesse veramente paura.» È questa la forza che ci “regala” il dolore che abbiamo sofferto?
Chi riesce a rialzarsi dopo aver subito la tragedia di un lutto così importante, è un vero sopravvissuto. E se quel dolore non lo schiaccia lo renderà invincibile. Questo è quello che Mia ha imparato dal suo passato, e che oggi va di moda chiamare resilienza. Se superi una cosa come quella, non hai più paura di nulla.
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Per la prima foto, copyright: Julian Hanslmaier su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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