“Il ritorno di Casanova”, il belletto della nostalgia amorosa
È un piccolo gioiello scenico e attoriale quello che Sandro Lombardi, diretto da Federigo Tiezzi, porta sul palco del Teatro Studio Melato a Milano con Il ritorno di Casanova. Ospitato fino al 29 maggio, rappresenta la terza parte di un trittico dedicato alle pene d’amore (dopo i precedenti: Un amore di Swanndi Proust e Non si sa come di Pirandello – «uno scavo nell’interiorità dell’io», precisa Lombardi in un’intervista).
In una nuova traduzione dello stesso Tiezzi, con la curatela drammaturgica di Lombardi, Il ritorno di Casanova è un efficace gioco tetrale pieno d’ironia e amarezza.
Arthur Schnitzler scrive Il ritorno di Casanova nel 1918, a 53 anni, gli stessi che attribuisce al suo protagonista. Entrambi vanno verso la vecchiaia. In particolare, l’antico seduttore appare stanco, mesto. È incredulo della propria decandenza e, soprattutto, fatalmente nostalgico. La potenza amorosa gli manca quanto manca Venezia. Con lo stesso filtro Schnitzler guarda la finis Austriae.
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Corruzione dell’impero asburgico da una parte e, dall’altra, corruzione del corpo, dei sensi: è questo losfondo che hanno in mente Lombardi e Tiezzi nell’ideazione dello spettacolo e per la drammaturgia dell’attore.
Il canto del cigno libertino è il nome di una fanciulla, Marcolina: «Come udii quel nome mi seniti di colpo giovane e decisi che volevo conoscerla». Più che spettacolo, sembra una conversazione da salotto privato, de visu con lo spettatore. «Avevo la sensazione di essere ancora io il vero Casanova. E non il povero diavolo in cui mi ero ridotto». Il proposito ravviva il vigore: «Io la voglio!», conclude.
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La scommessa però dura lo spazio di un sogno, e l’alba pronuncia la condanna: «Quanto lesse nello sguardo di Marcolina non fu quello che avrebbe preferito mille volte leggervi: ladro, libertino, canaglia. Vi lesse un'unica parola, che però lo abbatté più ignominiosamente di qualsiasi altra ingiuria, la parola più terribile di tutte, che pronunciava la sentenza definitiva: vecchio».
Tutto questo si traduce bene nel volto guizzante di Sandro Lombardi ricoperto da uno spesso belletto, un gesso mobile che soprende, divertepersino. Ha una qualità vagamente straniata la grazia dell’attore che dà corpo all’avventuriero in frantumi. Elegante nei piccoli cambi, come elegante è la scena che lo sostiene, racconta agilmente un’identità agonizzante nel confronto fra passato e presente.
La scena interpreta il Settecento in modo geometrico: pochi tratti, supporti stilizzati su cui poggiano sagome di candelabri. Un fondale à la Bob Wilson, esatto nella pronta trasformazione e profondità cromatica.
L’accompagnamento sonoro vira verso la cantilena onirica. Tre musicisti: una violoncellista, e due percussionisti (con malimba e vibrafono). Ci sono Strauss, Kurtag, Starvinsky, insieme a Bach, a Vivaldi. «Lo sguardo del Novecento sul Settecento».
È noto come Sigmund Freud ammirasse Arthur Schnitzler, cantore letterario del doppio, del sogno, dell’inconscio come motore (da una lettera di Freud: «… ogni qual volta mi sono immerso nelle sue creazioni, ho sempre creduto di riconoscere dietro la loro parvenza poetica gli stessi presupposti, interessi ed esiti che sapevo essere miei»).Tutto il trittico Pirandello, Proust, Schnitzler di Compagnia Lombardi Tiezzi ha Freud come bordone di fondo: ovvero le radici inquiete della contemporaneità. E quest’ultimo azzardo dell’intellettuale libertino, che la chiude, è solo un’ulteriore conferma di perfetta maturità teatrale.
Piccolo Teatro Studio Melato
dal 17 al 29 maggio 2016
Il ritorno di Casanova
di Arthur Schnitzler
traduzione adattamento e regia Federico Tiezzi
drammaturgia Sandro Lombardi e Fabrizio Sinisi
costumi Giovanna Buzzi, luci Gianni Pollini
con Sandro Lombardi e Alessandro Marini
percussioni Omar Cecchi e Niccolò Chisci
violoncello Dagmar Bathmann
in collaborazione con Conservatorio di Musica Luigi Cherubini, Firenze; Museo Nazionale del Bargello
produzione Compagnia Lombardi Tiezzi
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