Il rito di passaggio dall’adolescenza sullo sfondo di una guerra
L’ultima primavera del secolo (Aporema edizioni) di Domenico Ippolito racconta il difficile e complesso passaggio dall’adolescenza all’età adulta, incarnato in un altro passaggio: quello dalla scuola media al liceo. Un transito che rappresenta pur sempre un trauma in quella che l’autore non esita a definire una guerra vissuta sullo sfondo di un’altra guerra, quella in Kosovo nel 1999.
E proprio da qui siamo partiti per la nostra chiacchierata con Domenico Ippolito.
L’adolescenza raccontata sullo sfondo di una guerra non vissuta in prima persona e avvertita attraverso il volo degli aerei in partenza. Perché questa scelta?
Mi sembrava una situazione interessante, quella di porre i personaggi e i luoghi del mio romanzo in un contesto conflittuale, in un momento dove la minaccia fosse estesa e niente troppo al sicuro. I miei protagonisti, infatti, sono un gruppo di adolescenti che frequentano il liceo a Gioia del Colle, in provincia di Bari, a pochi chilometri da un importante aeroporto militare coinvolto dalla NATO nella guerra del Kosovo del 1999. Credo che uno scrittore debba lasciare alle vicende che racconta lo spazio per poter crescere in maniera autonoma, permettendo ai personaggi e ai luoghi di acquisire vita propria, di seguire un’evoluzione non troppo predeterminata. Per coinvolgere e intrigare il lettore, infatti, sono convinto che un autore debba sorprendere per primo se stesso. Mi piaceva l’idea di inseguire un gruppo di adolescenti e le loro ribellioni, ponendoli accanto a una guerra vera, della quale percepiscono le avvisaglie, i prodromi, rappresentati dai cacciabombardieri NATO che decollano letteralmente sopra le loro teste.
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Il suo è un romanzo di formazione, dunque s’inserisce all’interno di un genere molto consolidato. Come si è rapportato con i canoni del genere e da quali autori o romanzi ha tratto maggiore ispirazione?
È vero che il romanzo di formazione ha un canone piuttosto definito, tuttavia, permettendo di porre l’accento sul mondo interiore dei personaggi, diventa un grande contenitore di emozioni che raccoglie sensibilità molto diverse. Per questo lavoro, mi sono lasciato guidare da alcuni libri della narrativa italiana del secondo dopoguerra che amo molto, come Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani e La ragazza di Bube di Carlo Cassola, insieme ad alcuni romanzi di Beppe Fenoglio e Alberto Moravia. Accanto a questi, ho letto e riletto La cripta dei Cappuccini di Joseph Roth, un altro grande narratore novecentesco che mi ha sicuramente influenzato. Per gli scrittori più recenti, ho fatto riferimento, tra gli altri, ai primi romanzi di Andrea De Carlo e di Niccolò Ammaniti, nonché alla nota trilogia di Elena Ferrante.
Fabio, il protagonista, è nel difficile passaggio dalle scuole medie alle superiori. Come ha lavorato per disegnare questo passaggio?
È uno dei momenti chiave per un adolescente, forse la prima, grande svolta della vita. Con il passaggio alle scuole superiori si accede a un ambiente nuovo, che non è solo quello scolastico, ma un nuovo territorio esperienziale; si entra in contatto con ragazzi e ragazze più grandi, anche maggiorenni, provenienti da altre città, si allarga il raggio d’azione della propria esistenza. Per Fabio, è anche un modo per rompere il cordone ombelicale che lo lega ai propri genitori; infatti, sceglierà il liceo in contrasto con il loro indirizzo. Questa rottura lo trasforma anche in un pendolare, perché frequentando la scuola in una cittadina diversa dalla sua, si allontanerà dall’ambiente dove ha vissuto fino ad allora. Pur distante solo una manciata di chilometri, la nuova città sarà il suo nuovo territorio d’elezione, il luogo che ha scelto in maniera autonoma e che cercherà di vivere in prima persona. Comincerà a coltivare davvero i suoi interessi: non solo il liceo, ma il cinema; non solo i compagni di scuola, ma una ragazza che gli fa battere il cuore. Quindi, la scelta della scuola, per Fabio, è il primo passo nel processo di definizione della sua personalità.
Questo libro segna il suo esordio. Come ha lavorato a questa storia? Quanto tempo ha impiegato per scriverla? Ci racconti qualcosa del percorso che l’ha condotta a esordire…
È una storia legata ai luoghi in cui sono cresciuto, la provincia di Bari degli anni Novanta, dunque ha una radice autobiografica; non vivendo da molto tempo in Puglia, credo che il processo di riappropriazione delle proprie origini, che a un certo punto scatta inevitabilmente, abbiaa messo in moto anche un processo creativo, perché è legato a dinamiche che hanno a che fare col ricordo, col sogno, insieme alla riflessione e al confronto con altri luoghi. Pure, non ho lavorato al libro facendo riferimento solo alle mie esperienze personali, ma mediando l’immaginario costruito attorno a questi luoghi negli ultimi vent’anni, ad esempio al modo in cui la Puglia è stata raccontata dalla letteratura e dal cinema.
Ho impiegato circa due anni a scrivere il libro; accanto alla scrittura si aggiunge sempre un processo di ricerca, di documentazione, particolarmente importante se si raccontano eventi realmente accaduti (nel mio caso, il conflitto del Kosovo). È una fase molto coinvolgente che contribuisce a definire i contorni del libro, mette in moto un intervento di sottrazione e aiuta a capire cos’è davvero importante.
Cos’ha rappresentato per lei riuscire a esordire, a pubblicare il suo primo romanzo?
È sicuramente una soddisfazione, l’inizio di un percorso, ma anche la possibilità di testare con mano cosa significa mettere il piede, da autore, dentro il mondo editoriale. Ho avuto spesso a che fare con case editrici e altre realtà del settore, tuttavia, porsi per la prima volta come scrittore di un romanzo, in prima persona, è una faccenda un po’ diversa e tutta da scoprire, un’avventura che certo ha anche le sue criticità, ma che ritengo meravigliosa, una grande esperienza.
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Sta già lavorando a una seconda opera? Come immagina il suo percorso da scrittore?
Sì, sto già lavorando a un secondo romanzo ma anche ad altre cose, a un progetto per il teatro e a una traduzione. Ho sempre considerato la scrittura come una parte importante della mia vita e direi che è questo il vero percorso: scrivere; cimentarsi quotidianamente con quest’attività, che poi è un modo per confrontarsi con se stessi e col mondo nel quale viviamo.
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Per la prima foto, copyright: Jed Villejo su Unsplash.
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