Il ritmo formicolante di Harlem nell’ultimo romanzo di Colson Whitehead
Colson Whitehead è uno degli scrittori più apprezzati a livello mondiale; nel suo Paese due suoi romanzi hanno vinto il Premio Pulitzer (La ferrovia sotterranea e I ragazzi della Nickel). L’ultima produzione esce per Mondadori e s’intitola Il ritmo di Harlem (traduzione di Silvia Pareschi) ed è una scatenata panoramica dell’Harlem a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Si può anche definire una specie di heist movie, un sottogenere di gangster movie che descrive le storie di un gruppo di individui (generalmente una banda di criminali) che organizza e mette in atto un grande furto. Qui nel romanzo abbiamo a che fare con la rapina all’hotel Theresa del 1959, rapina che, come un flipper, sembra accendere tutto il meccanismo narrativo del libro.
Il protagonista del romanzo è Ray Carney, figlio di un truffatore di Harlem, è un nero che ha studiato e che si è laureato in economia al Queens College; ha aperto un negozio di mobili, ma ha un angolo buio, come forse tutti gli uomini. Molto spesso si trova a dover aiutare suo cugino, Freddie, che si arrabatta con la malavita della zona, e lo fa intervenire nei suoi affari con la scusa che gli può essere utile come ricettatore.
«Carney poteva essere un tantino disonesto, ma non era certo un delinquente, nella pratica come nelle ambizioni. Qualche gioiello qua e là, gli elettrodomestici che Freddie e qualche altro personaggio locale gli portavano in negozio, quello poteva giustificarlo.Niente di grosso, niente che attirasse troppo l’attenzione sul negozio, sulla facciata che presentava al mondoۚ».
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Il cammino di Ray è pervaso di difficoltà e una delle prime e più evidenti è essersi messo con una donna, Elizabeth, che è “meno nera” di lui. C’è anche una gradazione nelle colorazioni della pelle e il romanzo lo rende evidente in maniera molto efficace. La famiglia della moglie non fa mistero di non apprezzare colui che l’ha portata a vivere in un appartamento piccolo e vicino ai binari della sopraelevata. Naturalmente il pezzo più duro è il padre, quello che mastica più amaro, mentre la figlia è incinta del secondo figlio:
«Suo suocero, per esempio, Leland Jones era uno dei più bravi contabili della Harlem nera, e faceva quadrare i conti dei migliori dottori, avvocati e politici, di tutti i grandi negozi gestiti da neri in 125th Street. Poteva tirarti fuori da guai. Si vantava della sua collezione di scappatoie ed espedienti, delle bustarelle rigonfie consegnate nel salotto del Dumas Club.»
Il Dumas Club fece salire il sangue al cervello di Ray, perché aveva tentato di farsi accettare da quella specie di loggia dei neri più benestanti e s’imbatté in una specie di capo, il banchiere Wilfred Duke, che gli chiese uno “zuccherino” (una tangente) per avere la sicurezza di poterlo inserire dentro il club. L’uomo non mantenne la parola e l’odio di Ray verso di lui non fece che aumentare, fino a quando il banchiere non fece il passo falso di andare da una sua puttana fidata, Miss Laura, che gli aveva teso la rete. Ray si portò un amico che faceva anche il fotografo, Zippo, con il quale fece una serie di foto compromettenti all’uomo che era stato sedato dalla donna. Whitehead scrive così: «Forse non erano le bustarelle a mandare avanti la città, ma i rancori e le vendette».
Ray è un uomo che va avanti e indietro per la scala socio-economica del quartiere con le sue conoscenze, le sue complicità e una città, New York, in continua mutazione architettonica che alla fine del romanzo diventa ancora di più protagonista, come in quasi tutti i libri di Colson Whitehead.
Quando si è neri occorre sempre stare attenti, stare all’erta. La Black star è l’agenzia di viaggi per i neri dove lavora Elizabeth e che dà tutte le indicazioni giuste per chi volesse andare a fare turismo senza problemi: «segui il percorso indicato e sarai al sicuro, mangerai in pace, dormirai in pace, respirerai in pace; devia dal percorso e attento a te. Lavoriamo insieme e potremo sovvertire il loro ordine malvagio.»
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Nel 1964, l’ultimo anno nella descrizione del libro, avviene la ribellione di Harlem (nel mese di luglio). Un poliziotto spara a un quindicenne, uccidendolo. Da quel momento il quartiere è per una settimana preso di mira da rivolte popolari. E proprio allora ricompare Freddie, il cugino, per consegnargli ancora un malloppo che scotta. E in più c’è un morto di overdose, Linus Van Wick, che è apparentato a una delle più influenti famiglie della New York che conta. È amico di Freddie ed è sua la valigetta che il cugino affida a Ray, frutto della rapina perpetrata alla famiglia Van Wick.
Whitehead cita molto spesso David Bowie (forse l’artista che ama di più), per far capire quello che intende fare in ogni nuovo libro. Anche se descrive New York, vuole farlo da un differente angolo visuale, un angolo che vuole mettere in difficoltà principalmente lui, perché un artista che scrive sempre lo stesso libro non può che essere noioso. La noia non appartiene a Whitehead.
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