“Il realismo è l’impossibile” di Walter Siti
A poco tempo di distanza torniamo a Walter Siti. Questa volta nella veste di saggista, anche se il suo libriccino, Il realismo è l’impossibile, pubblicato da Nottetempo, con la forma del saggio flirta soltanto, senza mai prenderla troppo sul serio. Possiamo piuttosto parlare di una accalorata e interessante riflessione attorno a un tema complesso come quello del canone realista. Un tema trattato con leggerezza, evitando gli eccessi accademici e dottrinari, saltando senza lasciare troppe tracce di citazione in citazione, di aneddoto in aneddoto. Ne viene fuori un agile pamphlet, appassionante anche per lettori poco appassionati di teoria letteraria.
Di realismo si parla molto nell’ultimo periodo, della sua morte e della sua rinascita. Il Manifesto del nuovo realismo di Ferraris ha dato il La a un dibattito molto accanito anche in Italia; la realtà come semplice oggetto d’interpretazione oppure come nocciolo duro dell’esistenza. Da queste considerazioni dipende anche l’atteggiamento della letteratura, che può tagliare i ponti con la realtà oppure cercare in essa, e solo in essa, riscatto. Inserire il “saggio” di Siti in questo contesto potrebbe essere stimolante e appetitoso, ma, ci tocca convenirne, anche del tutto fuori luogo. Perché l’autore lo dichiara apertamente; alla questione non è interessato per niente. Il dibattito non lo tocca. Quel che importa a Siti è parlare di letteratura o, come emerge piano piano dalla lettura, di darci la sua «bieca ammissione di poetica».
Di cosa parliamo quando parliamo di realismo? Cosa cerca uno scrittore nella realtà? Quali sono gli strumenti per rappresentare il mondo con le parole? Il ragionamento di Siti è molto fluido, anche per i non addetti ai lavori, facile da seguire, colmo di elementi stuzzicanti. Comincia sostenendo che il realismo è nato come strumento per rompere l’abitudine, anzi per rendere l’abitudine “antiabitudinaria”, rompere la convenzionalità, introdurre una forma di conflitto tra il soggetto e il mondo. «Il realismo è una forma di innamoramento», ci disorienta e ci destabilizza. Ponendoci di fronte alla realtà ci poniamo di fronte all’infinito; infinito orizzonte e infinite possibilità. Occorre dunque un metodo e un’illusione. Il mondo è troppo grande e la nostra coperta troppo corta, la realtà enorme e il nostro specchio troppo piccolo, non ci è possibile rifletterla tutta. Per questo motivo Picasso, di fronte al quadro di Courbet L’origine del mondo, si trovò a esclamare «il realismo è l’impossibile». Se vuoi riprodurre l’inguine di una donna devi necessariamente escludere la testa dalla tela.
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A ciò si aggiunge poi il fatto che il nostro è uno specchio deformante, che cerca di riprodurre a parole ciò che non è fatto di parole. Il realismo è allora consapevole menzogna. Lo scrittore finge e il lettore lo accetta. Da una parte mente e dall’altra si lascia scoprire nell’atto di mentire. Altrimenti non ci sarebbe alcun gioco. Non ci sarebbe letteratura. «La letteratura, dice Nabokov, non nacque il giorno in cui un ragazzo uscì dalla grotta urlando “al lupo, al lupo!” e un grosso lupo grigio lo inseguiva – nacque quell’altra volta che il ragazzo uscì dalla medesima grotta urlando “al lupo, al lupo!” e non c’erano lupi dietro di lui».
Per questo insieme di cose all’interno del romanzo realista si crea sempre una tensione, un vacillamento, uno scontro. Rappresentare la realtà, anche attraverso gli espedienti letterari, significa ritrovare i suoi contrasti. «Il romanzo realista secolarizza il mondo per ri-crearlo». Riprodurre il mondo non vuol dire farne una copia, ma creare conflitto. Walter Siti ricorre allora alla metafora del trampolino e all’etichetta di «realismo gnostico». Il trampolino perché la letteratura, tramite i suoi dettagli, le sue descrizioni è capace di lanciarci verso l’alto, di gettarci al di fuori della realtà. Ma questo è possibile solo in presenza di un vuoto, di una mancanza. La ricerca e la comprensione compensano sempre un’iniziale mancanza; «non c’è realismo senza l’orma vuota di Dio». Lo scrittore si concentra allora sulla realtà per perdersi in essa, per sprofondare nelle domande irrisolte. In questo senso il realismo è uno strumento gnostico. Porta con sé la possibilità di avvicinarsi alla verità e alla conoscenza. Verità che è sempre fatta di elementi dati e afferrabili e di elementi nascosti, sprofondati, irraggiungibili. Realismo significa infine riprodurre il velo che copre le cose e con esso, l’impossibilità di vedere ciò che nasconde.
Solo alla fine Siti dedicherà alcune parole al “New Italian Realism”, la pessima etichetta con cui si definisce la tendenza a riportare la realtà al centro dell’attenzione e con cui si catalogano alcuni romanzi italiani pubblicati negli ultimi dieci anni. Il vincitore dell’ultimo Premio Strega li divide in quattro categorie; romanzi sulla crisi e il disagio giovanile, sul passato storico e sulla criminalità organizzata, romanzi autobiografici e romanzi che ritornano al genere mimetico tradizionale. Si accenna qui soltanto al problema che questi autori si trovano davanti, ovvero di come sia possibile parlare della realtà e descriverla quando la sua immagine mediatica sembra essere più vera della realtà stessa. L’argomento sembra non rientrare negli interessi dell’autore, viene lasciato dunque alla finestra, aleggia da fuori come un’ombra. Il Siti critico non vi si addentra e dichiara disinteresse. Ma forse Walter Siti, che è anche anche un grande scrittore, in questo caso mente lasciandosi scoprire nell’atto di mentire.
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