Il racconto di un istante. “Non c’è stata nessuna battaglia” di Romolo Bugaro
Non c’è stata nessuna battaglia di Romolo Bugaro (Marsilio) è un libro che colpisce, scuote, che, arrivati alla fine, ti fa ritornare all’inizio per capire se si è davvero compreso. Un volume che lascia dentro sensazioni contradditorie.
Il racconto di un attimo, perché tutto accade in un pomeriggio d’estate nella Padova degli anni Settanta, ma a quell’attimo l’autore ci arriva con calma, utilizzando diversi punti di vista, correndo abilmente avanti e indietro in un periodo che va dal 1976 al 2006, senza perdere mai di vista la storia, e dando voce a personaggi secondari, senza offrire troppe spiegazioni.
La storia si chiarisce pagina dopo pagina sotto gli occhi del lettore, e si ha la sensazione di trovarsi dentro a un enorme un puzzle, dove a volte trovare il pezzo giusto da incastrare risulta impegnativo.
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I protagonisti sono un gruppo di ragazzi quindicenni, il vecchio Andrea, Tod, Nick the Best One, GMT, e la Canova. Amici inseparabili, che in un pomeriggio di giugno si ritrovano in piazza, come al solito: ma quel giorno non è successa e non accadrà nessuna battaglia, come ricorda il titolo, semplicemente capiteranno delle cose, come è possibile che succeda nella vita di qualsiasi adolescente. Uno di loro, Nick The Best One, viene presentato a Francesca, detta Miss Canova, e tra i due scatta un sincero colpo di fulmine.
Un altro, Tod, litiga con un conoscente, il Cardo, e dà il via a una violenta scazzottata.
Un altro ancora, GMT, a causa di un incidente stradale che lo ha lasciato zoppicante, rimane in disparte a pensare e a osservare gli amici. Il vecchio Andrea, invece, si esibisce in coraggiose impennate con la Vespa per far colpo su tutti, nascondendo anche a se stesso l’interesse per quella ragazza cha ha appena conosciuto, la Canova.
I giovani protagonisti non fanno politica, né sono interessati alle ideologie che scuotono il periodo: gli scioperi, gli scontri, i cortei. Questo contorno è narrato dall’autore in terza persona, creando ancora di più uno stacco dal cuore delle vicende.
La vera voce è quella dei protagonisti, narrata in prima persona, ed è molto forte, decisiva, imponente. Si ha la netta sensazione che si raccontino e si mostrino ognuno secondo la propria personalità, senza filtri né riserve. La penna dell’autore non interferisce mai con quella voce e ciò rende il testo suggestivo, riesce a congiungere il lettore ai personaggi, a suscitare empatia, a spingerlo qquasi a suggerire cosa fare, come comportarsi. A dare loro dei consigli, potendo.
«Il bianco della sua camicia è intenso, concentrato, come se avesse assorbito molta luce durante la corsa. Conclude in bellezza facendo un’impennata per salire lo scalino del marciapiede. Non vorrei litigare, proprio non vorrei, però è impossibile lasciar correre tutto, cazzo, quindi gli vado incontro con una faccia che parla da sola, e spero che lo capisca al volo che stavolta sono veramente nero. «Vecchio, da dove arrivi?» dico a muso duro. «Un orologio ce l’hai?» dico a muso duro. «Potresti presentarti all’ora giusta, una volta ogni tanto?»
Quello di Romolo Bugaro è un volume da leggere con attenzione,perché parte dai contorni per arrivare al centro, ed è compito del lettore entrare nel vivo della storia e coglierne le sfumature, è chi legge che deve intuirne le dinamiche e ricostruire gli eventi. E non di rado occorre faticare: spesso i momenti cruciali sono raccontati da personaggi secondari, che non hanno un vero e proprio ruolo nella storia, i soprannomi utilizzati non aiutano, e nemmeno le decine di nomi di conoscenti, amici ed ex amici, fidanzate ed ex fidanzate, così come quelli delle piazze, dei bar, delle discoteche che se da una parte contribuiscono a caratterizzare il testo, dall’altra gravano sul complicato intreccio utilizzato per raccontare la storia.
La lettura, comunque, rimane sempre veloce e incalzante, senz’altro mai noiosa. Un viaggio che si comprende a tappe, e che quindi invoglia sempre a voltare pagina.
Sono protagonisti complessi, adolescenti alla conquista del mondo, anche se rimangono pervasi, chi più chi meno, da una tristezza di fondo. Come se volessero e sognassero un futuro eccezionale ma come se già sapessero di non poterlo raggiungere.
Il mondo dei ragazzi diventati adulti, invece, è raccontato con una disillusione che non si nasconde: le speranze sono finite ormai, rimane il ricordo di quel giorno d’estate, quando nonostante i problemi, bastava inforcare la Vespa e ritrovarsi con il gruppo, per rinfrancare la forza di proseguire.
«Navighiamo lentamente sotto ai grandi tigli di via PioX che hanno spolverato di polline bianco i tettucci delle macchine parcheggiate e diffondono nell’aria un profumo talmente pieno di altri profumi che è un vero peccato avere dietro GMT anziché qualche ragazza dai lunghi capelli biondi.»
È un testo che parla per attimi, per istanti, un fermo immagine continuo. Quelle visioni indelebili nella memoria dei protagonisti che ritornato dopo trent’anni e che, nel bene e nel male, continuano a condizionare l’esistenza.
«Adesso mi volto, guardo dall’altra parte. Però non lo faccio, non mi volto, continuo a guardare verso di lui e lui mostra un sorriso che è una specie di soffio, di contatto e in quell’istante sento che tutto sta per cambiare, prendere una direzione nuova e mi sembra di essere in mezzo al vento anche se il vento non c’è.»
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Il racconto di più vite in qualche modo interconnesse che in maniera non convenzionale si ricongiungono tutte, grazie a quel pomeriggio d’estate, quell’istante di realtà vissuto insieme.
Perché alla fine, quelli che si ricordano più di tutto, quando si tirano i fili della propria esistenza, sono i momenti importanti di cui essa è composta, anche se sono solamente istanti.
Per la prima foto, copyright: Luke Porter su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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