Il primo libro per ragazzi di Francesco Carofiglio. Un estratto in esclusiva
È uscito da pochi giorni in libreria il primo romanzo per ragazzi di Francesco Carofiglio e pubblicato da Piemme. S’intitola Jonas e il Mondo Nero e racconta la storia del dodicenne Jonas alle prese con un potere paranormale: riesce a vedere cose che gli altri non vedono, vere e proprie presenze che arrivano da un’altra dimensione. È così che Jonas si ritrova a fare esperienza di un mondo sconosciuto che sta per impossessarsi di tutta la realtà togliendole qualsiasi forma di luce. Toccherà al piccolo Jonas impedire che il Mondo Nero ci conquisti.
Qui di seguito, per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo il primo capitolo di Jonas e il Mondo Nero.
C’è una storia che non è stata raccontata. È una storia di magia e stregoneria, di anime nere e di cuori gonfi di vendetta.
Questa storia comincia in una piccola città, dove fa sempre freddo e dove non succede niente, ogni giorno.
Eppure qualcosa succede.
Eppure qualcosa sta succedendo.
Qualcosa di terribile.
Tutto è cominciato da lì.
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La senti la neve, lì fuori, contro i vetri della finestra?
Ha un suono così bello, morbido, come se qualcuno stesse riempiendo di baci il mondo intero. Io credo che la neve ami gli alberi, e la campagna. Li bacia con delicatezza. E poi li copre tutti, con una coperta bianca, e gli racconta in silenzio: “Dormite, dormite tutti, fino a quando l’estate non ritornerà, dormite”. E quando il mondo si risveglierà, in estate, tutti si vestiranno di verde e si metteranno a ballare, e il vento si metterà a soffiare.
Vorrei tanto che fosse tutto vero.
Jonas leggeva il suo libro steso sul letto. Amava starsene lì, lontano dai rumori, quando fuori faceva molto freddo. Anche se ci era abituato al freddo, e tutto sommato non gli dispiaceva quella carezza gelata sulle guance, quando camminava per strada.
Ma leggere i libri nella sua stanza lo faceva sentire protetto, specialmente da quando aveva cominciato a vedere quegli strani tipi che correvano per la città, mentre gli altri, tutti gli altri, sembravano non accorgersene.
Li vedeva ovunque. Se ne stavano seduti sul tram, oppure nei supermercati. Una volta ne aveva visto uno nella sala d’aspetto del dentista.
Sua madre, di nascosto, un giorno lo aveva portato da un medico. Il dottore gli aveva guardato le pupille con una lampadina, poi lo aveva fatto camminare avanti e indietro per la stanza, gli aveva fatto fare delle flessioni e guardare dei fogli con delle macchie nere.
Gli aveva chiesto cosa ci vedeva, in quei fogli.
– Macchie nere grandi.
– E nient’altro?
– Macchie nere più piccole.
Il dottore aveva messo i fogli in un cassetto e aveva detto alla mamma che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Spesso capita di inventarsi un amico immaginario, i bambini lo fanno.
A una certa età l’amico immaginario sparisce, così come è apparso. E tutto torna a posto.
Jonas non la capì questa faccenda dell’amico immaginario. Lui non era più un bambino.
E quelli che vedeva non erano suoi amici.
PRIMO
Jonas Dearson viveva nel quartiere popolare della città. Suo padre faceva l’operaio in un magazzino che importava pesce dal Mare del Nord. Sua madre era stata licenziata durante la grande crisi, prima lavorava come contabile in una fabbrica che produceva scatole di latta.
Nel quartiere le strade erano tutte uguali. La casa di Jonas somigliava a tutte le altre. Le pareti grigie, i tetti spioventi e gli alberi alti che d’inverno diventavano mani di vecchia. Il sole si affacciava di rado e i muri erano coperti da una patina scura che li rendeva opachi, senza vita.
Anche le giornate sembravano uguali, le une alle altre.
Jonas, da qualche tempo, aveva la sensazione che la vita si fosse ristretta, come quando un sentiero si restringe nel mezzo di un bosco, fino a diventare un passaggio invisibile nella vegetazione. Non sapeva come spiegarlo meglio a se stesso, c’era qualcosa intorno, ma non sapeva cosa.
Erano da poco passate le dodici, in quella domenica di dicembre. Era quasi ora di pranzo, e Jonas sentiva una voragine che si apriva alla bocca dello stomaco. Chiuse il libro che stava leggendo e lo ripose sul comodino, poi rimase qualche istante a guardare niente. A volte gli succedeva, restare a guardare niente, come se i suoi sensi smettessero di funzionare. Per un tempo che potevano essere secondi, minuti o anche ore, si isolava completamente dal mondo. Quando era piccolo il medico di famiglia aveva detto ai suoi genitori che il suo era un caso anomalo di attenzione concentrata, e il suo deficit di relazione con il mondo esterno faceva di lui un bambino atipico. Aveva detto proprio così. Ma che voleva dire? Che cos’era un bambino atipico?
Jonas da allora se l’era sempre domandato.
Quando scese nel soggiorno, suo padre stava bevendo una birra, ne beveva due o tre, prima di pranzo la domenica. Anche lui sembrava isolarsi dal mondo, di tanto in tanto.
– Cosa hai fatto oggi, ragazzo?
Constance Dearson portava un paio di baffi secchi, e i capelli sempre pettinati con la riga. I suoi vestiti puzzavano di aringa e stoccafisso.
– Allora? Cosa hai combinato oggi?
– Ho letto.
– Hai letto cosa?
– Un libro.
– Sei stato tutta la mattina a leggere un libro?
– Sì.
Jonas prendeva in prestito i libri dalla biblioteca. Suo padre invece non aveva tempo per leggere. Solo qualche volta il giornale, la domenica, appunto. Sua madre e sua sorella preferivano ascoltare la radio, la tenevano accesa tutto il giorno.
– Ma i tuoi amici?
– I miei amici?
– Perché non vai a giocare con i tuoi amici?
– Fa freddo.
– Dovresti muoverti un po’, darti da fare, giocare a pallone. Fare le cose che fanno i ragazzi della tua età. Guarda il figlio dei Brown, è alto il doppio di te.
Jonas sorrise. In tutte le storie c’è sempre il figlio dei Brown, alto il doppio di te. Il padre riprese a occuparsi della sua birra, e lui si affacciò in cucina.
La signora Dearson stava finendo di apparecchiare, e Morgana sbuffava, come al solito. Alla radio davano un quiz, mentre sua sorella avrebbe voluto ascoltare la selezione musicale sull’altro canale. Il presentatore chiese alla concorrente quale fosse l’insetto più grande del mondo.
– Che schifo!
Morgana masticava una gomma rosa e faceva dei palloncini che terminavano col botto.
– Lo scarabeo Ercole.
– Che ha detto lo scemo?
– Morgana, finiscila!
La mamma si avvicinò a Jonas e gli accarezzò i capelli.
– Cosa hai detto, caro?
– Lo scarabeo Ercole. È l’insetto più grande del mondo.
– Certo, tesoro.
Anche sua madre sembrava di tanto in tanto sospendere le sue facoltà. In verità anche più che di tanto in tanto. Viveva in un mondo a parte e non si accorgeva di quello che le succedeva intorno. La concorrente sbagliò la risposta. L’insetto più grande del mondo non era il Titaneus giganteus, era il Dynastes Ercules, lo scarabeo Ercole appunto. Era lungo 18 centimetri e poteva trasportare un carico pari a 850 volte il suo peso. Si misero a tavola.
Dopo pranzo la mamma cominciò a rigovernare, mentre il signor Dearson si appisolò sul divano.
Jonas uscì in giardino per fare due tiri con una racchetta sgangherata, faceva molto freddo. Il giardino era un quadrato circondato da muri alti, c’erano due alberi, un’altalena e una vecchia bicicletta. I muri avevano dodici file di mattoni rossi e in ciascuna fila c’erano ventidue mattoni e mezzo, Jonas osservava e classificava tutto. In cima al muro una specie di cappello di rame, oltre il cappello si vedeva il cielo, quando il tempo era bello. Ma il cielo era sempre grigio e le nuvole si accavallavano come ovatta stipata in un barattolo.
Un gatto passeggiò su un ramo e sparì nel giardino dei vicini, era Puppy, una micia altezzosa con un ciuffo bianco nel mantello nero. Apparteneva ai Nelson, una coppia di professori in pensione che abitavano nella casa accanto alla loro. Erano simpatici, Jonas qualche volta andava a trovarli e la signora Nelson gli raccontava dei loro viaggi nei paesi esotici. Jonas non era del tutto certo che quei viaggi fossero veri, ma i racconti gli piacevano moltissimo, immaginava quelle terre lontane e misteriose, con il mare il sole e le foreste tropicali, e pensava che un giorno avrebbe voluto fare proprio quello. Viaggiare.
Quando rientrò in casa suo padre dormiva ancora, oppure guardava il muro, con gli occhi semichiusi, sua madre infilava i piatti nella rastrelliera sopra il lavabo. Jonas si fermò sulla porta a vederli gocciolare, poi prese una mela e salì nella sua stanza.
Le scale scricchiolavano e la lampada in fondo al corridoio sembrava dovesse fulminarsi da un momento all’altro. La finestra della sua stanza era spalancata, a volte sua madre la dimenticava aperta dopo le pulizie. Jonas la chiuse e sbirciò fuori, Puppy si stava arrampicando su un albero, probabilmente rincorrendo un piccolo animale, forse uno scoiattolo, o una lucertola. Ma le lucertole non andavano in letargo, d’inverno?
La camera di Jonas era piccola e quadrata. Da un lato la finestra, appunto, dall’altro la porta, e sugli altri due l’armadio e il letto. L’armadio era grande e scuro, con gli intagli dorati, sembrava il portone di un castello. Era stato del nonno del nonno del nonno, che si chiamava come lui: Guardiamarina Jonas Sebastian Dearson. Aveva navigato nelle Indie Occidentali a bordo della fregata Regina degli Abissi, insieme all’ammiraglio Hook. Da uno di quei viaggi non tornò più, a quanto pare. Nell’armadio Jonas ci teneva le sue scatole, piene di cianfrusaglie, ritagli di giornali, figurine e tappi di bottiglia. A volte pensava che lì dentro potesse nascondersi qualcosa di spaventoso, e che prima o poi quella cosa sarebbe venuta fuori, magari di notte, e lo avrebbe trascinato con sé nel buio profondo. Come aveva fatto l’oceano con il Guardiamarina Jonas Sebastian Dearson.
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Si stese sul letto e prese il libro che stava leggendo. Fece scorrere le pagine, molte erano sottolineate, e su alcune aveva scritto qualcosa a margine. Puntò una a caso e lesse.
Non credere mai di essere altro che ciò che potrebbe sembrare ad altri che ciò che eri o avresti potuto essere non fosse altro che ciò che sei stata che sarebbe sembrato loro essere altro.
Non si ricordava perché aveva sottolineato quella frase, era la terza volta che leggeva la storia di Alice e per la terza volta gli sembrava di perdere il filo in un labirinto.
Richiuse il libro e guardò il soffitto, la macchia di umidità si era fatta più larga. Era un lago all’incontrario, in mezzo alle montagne. Jonas poteva vedere le barche, l’acqua increspata dalla corrente e i pesci che sfilavano come piccole micce silenziose. Un giorno o l’altro quel soffitto sarebbe diventato un mare, l’umidità se lo sarebbe mangiato, come si era mangiata la casa dei Durrel, a due passi da lì.
Ogni sera si metteva lì e lo sfidava.
Chiuse gli occhi, solo per un po’.
Quando si girò verso la sveglia, erano le cinque.
Aveva dormito quasi tre ore e domani aveva l’interrogazione di matematica.
Andò a lavarsi la faccia e si mise a studiare.
Per la prima foto, copyright: Sebastien.
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