Il potere glocale delle trivelle
A poche settimane dal referendum sulle trivellazioni del 17 aprile conviene fare qualche riflessione.
Non è tanto il dato economico – cioè quali e quanti vantaggi possono trarre le multinazionali dell’estrazione petrolifera – a muovere interessi verso le trivellazioni nei mari italiani, quanto quello politico.
Le trivelle, come qualunque altro marchingegno che deturpi il paesaggio per cercare un bene raro come il petrolio, sono osteggiate perché la loro presenza non passa inosservata. E che non passi inosservata è il prerequisito simbolico dell’affermazione del potere da parte delle compagnie petrolifere. Infatti, le nuove prospezioni e le ricerche di energie non rinnovabili passano sempre più attraverso la costruzione di solidi apparati di propaganda politica nei territori coinvolti: le compagnie si accreditano presso le popolazioni con massicce campagne a favore del lavoro, della crescita economica territoriale, replicando cliché già visti nella storia della dominazione economica mondiale a motore statunitense.
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Pertanto la reazione non può che essere politica: con trasversali comitati referendari che spuntano ovunque, in un complesso reticolo di iniziative e prese di posizione che restituiscono ai fatti la loro giusta dimensione. Vince chi ha più filo comunicativo da tessere, come sempre in epoca di mediatizzazione della politica. Così ciascuno è invitato a prendere una posizione che non può prevedere mediazioni, perché una piattaforma petrolifera è ben visibile dalla costa (lo sanno molto bene in Sicilia), soprattutto quando la costa è presa d’assalto da flussi turistici importanti o crescenti come in Puglia ed in Basilicata.
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Lo scontro, talvolta molto duro, tra i favorevoli e i contrari alle trivellazioni, scivola da un piano globale (perché le multinazionali intervengono su un livello planetario di interessi) a uno locale, determinando, forse per la prima volta in Italia, una contrapposizione glocale, tutta interna alla nuova era in corso.
Ed ecco che casalinghe, operai, disoccupati, adolescenti e nonne si trovano a discutere, come vediamo fare nei reportage dal Sud America, di quanto la British Petroil è contro la cultura del territorio e di quanto lo Stato non sia capace di porre un freno all’avidità dei petrolieri occidentali. Si determina così un salto qualitativo importante, che gioca sul piano della coscienza collettiva mondiale, che accomuna, finalmente, l’Italia che dice no al mondo che dice no.
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Ci voleva allora la minaccia all’ultima risorsa rimasta a questo Paese, il paesaggio, perché gli italiani si svegliassero in un’epoca nuova. Ci volevano le trivelle perché si costruisse un fermento democratico contro il potere glocale delle multinazionali.
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