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Il Portogallo a manganellate. Breve cronaca dalla lunga crisi

Portugal à coronhadaHa cominciato a farsi notare sugli scaffali delle librerie portoghesi nell’autunno tiepido del 2011, quando in televisione scorrevano le immagini degli indignados, occupy Wall Street e degli scontri di Roma e Atene. È un libro scritto da uno storico spagnolo, Diego Palacios Cerezales, e guarda caso parla di protesta e repressione nel Portogallo degli ultimi due secoli. Si intitola Portugal à coronhada (potrebbe tradursi: “Il Portogallo a manganellate”) ed è il frutto di una lunga e documentata ricerca, ma anche un bel prodotto di editoria intelligente e militante di una giovane casa editrice (Tinta-da-China) che lo ha mandato in libreria come un instant book. Il messaggio, neanche tanto subliminale, era già sulla quarta di copertina: il Portogallo non è stato affatto il Paese pacato che forse gli stessi portoghesi si dipingono, capace di sopportare silenziosamente lunghe dittature pre e post-belliche e frequenti interventi finanziari del FMI (quello attualmente in corso è il terzo in poco più di trent’anni). L’autore ripercorre infatti due secoli di storia nazionale attraverso l’analisi dei livelli di tensione sociale e dei metodi repressivi, regalandoci uno di quei libri che probabilmente, data la sua specificità, non vedranno mai la luce in altre lingue o fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori, eppure un istruttivo riassunto per i non iscritti al club se lo merita.

Si divide in tre parti. La prima riguarda l’epoca della monarchia liberale e va dal 1834 al 1890. È in questo periodo che si diffonde lo spirito di partecipazione politica tra le classi popolari; talvolta in forma violenta, ma anche pacifica e simbolica, come nei raduni, le serrate, le sottoscrizioni e il resto dell’armamentario di quella che l’autore chiama “messinscena delle folle”, la quale tuttavia rientra nel regolare braccio di ferro tra il potere e un’opinione pubblica nascente, dove spesso la movimentazione dei gruppi è rapida e imprevedibile, come noi presuntuosi credevamo possibile solo dopo l’invenzione di Twitter. Il tutto in un contesto politico fondamentalmente bipartitico, a tratti monolitico e trasformista, ma che definire “conservatore” o “moderato” non sarebbe del tutto esaustivo per un lettore dei nostri tempi. Basti dire che il primo comizio in Portogallo si svolse nel 1860 e prendeva di mira un gruppo di suore francesi venute a curare le vittime di un’epidemia di colera. Saranno espulse in quanto minaccia alla laicità dello Stato.

Carri armatiLa seconda parte dello studio affronta la crisi del liberalismo, dovuta al sorgere di movimenti e partiti di massa, anche sovversivi, e la corrispondente risposta autoritaria; non sempre in quest’ordine di azione e reazione, perché càpita che le pratiche sovversive violente prendano piede proprio quando la politica chiude ogni spazio di manovra. Si arriverà al regicidio del 1908 e all’instaurazione della Repubblica nel 1910. Ma i repubblicani aprivano un vaso di Pandora che non sarebbero poi stati in grado di richiudere. Anzi, schiacciati fra la reazione monarchica e il movimento operaio, indeboliti da un settarismo fratricida e dalla partecipazione alla Prima Guerra Mondiale, dovettero persino intensificare l’azione repressiva. Si arriva così alla terza parte: dal golpe militare del 1926 alla democrazia attuale passando per la dittatura salazarista, epoca di repressione preventiva e polizie segrete create con la consulenza di italiani e tedeschi, ma anche fase di ammorbidimento degli scontri di piazza, perché oramai gli agenti antisommossa erano motorizzati e dotati di armi automatiche, dunque con una potenza di fuoco di gran lunga superiore alle armi artigianali degli anarcosindacalisti di una generazione prima. Segno che, ai tempi della guerra fredda, anche la pacificazione interna fu il frutto di una corsa agli armamenti.

A libro chiuso, resta una sgradevole sensazione di déjà vu. Colpiscono ad esempio le somiglianze tra la politica di un Paese marginale come il Portogallo e quella di altre nazioni, persino in epoche in cui l’integrazione europea non era che un’idea vaga. Se è sicuramente nota l’ondata dittatoriale degli anni ‘20 e ‘30, effetto domino scatenato dal successo di Mussolini in Italia, oggi forse risulta ancor più interessante rivedere quel peculiare passaggio della crisi del liberalismo, a cavallo dei secoli XIX e XX. L’asfissia democratica (sebbene si trattasse pur sempre di una democrazia parziale) fu provocata da un bipolarismo di centro incapace di rinnovarsi e di dare risposte alle questioni sollevate dai nuovi scenari geostrategici, dal capitale finanziario e dagli stravolgimenti del mercato del lavoro. I suoi detrattori lo bollavano come “rotativismo” e ne descrivevano così i principali soggetti politici: «Partiti che si sostengono reciprocamente come due ubriachi, sapendo perfettamente che la caduta di uno provocherebbe la rovina dell’altro». Ci ricorda qualcosa...

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