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“Il passaggio” di Justin Cronin

Il passaggioPartiamo dalla fine di questo libro.

La sensazione che mi ha lasciato è la stessa di quando ho visto le ultime scene di “Una notte da leoni 2”.

Forse molti di voi hanno provato la stessa cosa: una sorta di senso di incompiutezza, qualcosa di irrisolto. Nel caso del film erano degli evidenti buchi della sceneggiatura (ma che dico buchi, varchi). Non mi dite che non avete notato che una volta che il ragazzo prodigio del pianoforte (“lost in the night” di turno) torna dal padre senza un dito, nessuno fa una piega, nessuno chiede una qualche spiegazione. Basta un insensato monologo del personaggio di Stu e tutto si risolve. Magicamente. Ma non divaghiamo, perché questo non è un blog di cinema.

Torniamo al nostro “Il passaggio” di Cronin.

In sintesi, si tratta di un libro apocalittico: un virus, scoperto in Amazzonia, che trasforma le persone in un ibrido zombie-vampiro, viene studiato dal solito esercito statunitense che, ovviamente, per un errore umano farà fuggire dei galeotti trasformati in mostri che, ancora più ovviamente, getteranno il mondo nel caos.

Vi suona familiare?

A dire la verità, la prima metà del libro risulta interessante e attraversa il periodo che va dalla scoperta del virus fino alla creazione di cittadelle per gli ultimi sopravvissuti. Vengono presentati alcuni fra i più interessanti personaggi del libro, ben strutturati e soprattutto che fanno funzionare la storia perfettamente.

Poi improvvisamente arriva la devastazione del virus e, oltre che tutta la civiltà, si porta via anche il lume della ragione di Justin Cronin. L'attenzione alla storia, nel post-apocalisse, dura un centinaio di pagine, poi ci si annoia (e ne mancano ancora circa 300, di pagine). I nuovi protagonisti che subentrano sono piatti e non si capisce bene dove vogliano arrivare. Ritengo che un buon personaggio non debba essere intercambiabile con qualsiasi altro del libro, ottenendo la stessa concatenazione di eventi. L'autore sembra trascinare questi sopravvissuti per le lande desolate americane, contro la loro voglia.

Ci sono dei buchi, nella logica delle azioni compiute, che rispecchiano un mancato scheletro letterario. L'esempio più eclatante di mancanza di coerenza è l'episodio della cittadella in cui Peter (il protagonista) e i suoi compagni di viaggio finiscono durante il loro percorso: se fino a poche pagine prima affrontare anche un solo vampiro risultava una cosa pericolosissima, d'improvviso l'allegro gruppetto di sei persone capitanato da Peter viene incaricato di affrontare un intero esercito di “fumidi” (come vengono chiamati i mostri) con capo-mostro-vampiro-gigante annesso.

Vedendo la mole del libro, mi è tornato subito in mente “L'ombra dello scorpione” di Stephen King, a cui si accosta anche come soggetto. In quel caso però l'alto numero di pagine era giustificato per la creazione di un mondo completamente diverso con personaggi definiti, con un passato, un presente e un obiettivo, mentre nel romanzo di Cronin ci sono sproloqui e metà del testo potrebbe tranquillamente essere tagliato con la sola scelta ponderata di vocaboli e frasi.

Ne “Il passaggio” anche le regole che governano le comunità sono effimere e non vanno al punto. Addirittura capita di leggere di una persona che infrange una di queste regole (e stiamo parlando di regole vitali per la sopravvivenza di una comunità in costante pericolo di estinzione) e che la fa franca, con poco o niente.

Per concludere la rassegna delle cose che non funzionano non ci resta che parlare di Amy, la dolce fanciulla che salva il mondo: la bambina viene infettata da una versione del virus vampiresco modificato che la rende immortale senza trasformarla in una bestia succhiasangue, ma...

ma lei ha già prima dell'infezione dei poteri che le permettono di parlare con animali, conservare le anime dei morti dentro di sé e, dulcis in fundo, attirare i “fumidi” e fare ricordare loro, per liberarli, chi erano prima di essere infettati. Guarda te che caso fortuito. In tutta l'America hanno preso proprio quella bambina per iniettarle quel certo tipo di virus allo scopo di rendere immortale l'unico essere umano sulla faccia della Terra capace di contrastare una minaccia che non esiste ancora.

È tutto troppo forzato a mio parere, o probabilmente Cronin non riesce a creare quell'ambiente e quella sintonia con il lettore che ti permette una qualche licenza letteraria.

L'unico modo, insomma, che ha questo libro di colpirvi e lasciare un segno è lanciarlo in aria e mettersi sulla sua traiettoria in attesa che la gravità vi restituisca un angolo vivo della copertina proprio sulla fronte. (Don't try this at home, in tutti e due i sensi).

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