“Il nodo magico” delle nostre relazioni. Intervista a Cristina dell’Acqua
Il nodo magico (Mondadori) è il titolo suggestivo con cui Cristina dell’Acqua racconta le imprese di Ulisse da un altro punto di vista, ovvero quello delle relazioni. Infatti, cosa sarebbe Ulisse senza Calipso, senza Nausicaa, senza Penelope? È un’indagine intorno all’essere così come viene definito dai nodi che legano il filo del proprio destino a quello di un altro. Nessun Io si può raccontare facendo astrazione dei legami che lo plasmano.
La fisica moderna, molto tempo dopo Ulisse, raccontava questo fenomeno dell’Io applicandolo ai sistemi, i quali vengono perturbati gli uni dagli altri quando comunicano. Nessun nuovo stato di quiete sarà identico al precedente poiché ogni contatto produce un cambiamento. Come le relazioni. Come i nodi. Ancor di più quelli magici.
Di come nasce Il nodo magico, della forza del femminile che si percepisce tra le pieghe del libro, di come le parole contengano la Storia, quella con la maiuscola, e la storia personale di ciascuno di noi, di questo e molto altro ne abbiamo parlato con Cristina dell’Acqua.
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Come nasce l’idea de Il nodo magico?
L’idea de Il nodo magico nasce da un verso dell’Odissea che mi aveva colpita sin da quando ero studentessa e dal mio senso innato per i legami affettivi. Per pochi istanti, in pochi versi nell’Odissea, Omero ci presenta un vero nodo, ed è quando (nell’ottavo libro) Arete, madre di Nausicaa e regina dei Feaci, dona a Ulisse, prima del suo ultimo viaggio verso Itaca, uno scrigno pieno di tesori e lo prega di legarlo saldamente con un nodo. Quello che Ulisse esegue è un nodo che gli ha insegnato molti anni prima la maga Circe. C’è quindi da scommettere che si tratti un nodo magico. E il nodo di Circe non è un nodo qualsiasi. È un nodo femminile, perché si scioglierà grazie alle donne incontrate e complesso come la vita e variopinto come le nostre giornate. Il “Nodo magico” è un viaggio nell’Odisseae parla di Ulisse e dei suoi legami. In quest’ottica l’Odissea non è solo il faticoso ritorno del protagonista alla sua Itaca, ma è anche un continuo ed incessante formarsi e disfarsi di incontri, legami, avventure ed amori di cui in qualche modo abbiamo bisogno per raccontare agli altri (oltre che a noi stessi) perché siamo quello che siamo.
I legami, i nodi e una nuova narrativa per descrivere la loro essenza. Che cosa sono, in questa nuova ottica?
I nodi sono a mio parere l’essenza dei legami profondi, saldature invisibili. Ci tengono stretti l’uno all’altro, senza essere prigione. I legami veri non possono che essere un dono di libertà, di cura, di attenzione e di ascolto dell’altro.
Ulisse durante il suo lungo viaggio di ritorno verso Itaca, è rimasto ancorato a se stesso grazie agli incontri con molte donne. Donne umane, divine, principesse e maghe, testimoni dell’antica sapienza femminile della tessitura, l’arte di intrecciare trama e ordito, dove ogni nodo è un minuscolo frammento di vita dell’intero di un tessuto. Ora Ulisse è un uomo vittorioso ma solo, un naufrago, non più un eroe. Nella terra dell’interiorità che via via Ulisse solca deve ricordare chi è, prima di poter tornare a quello che era.
L’Odissea delle donne: sembra restituire questo la mappa sentimentale che emerge da Il nodo magico. Sono le donne incontrate da Ulisse a definirlo, a renderlo pienamente Ulisse?
L’Odissea, per la sua epoca, è un libro rivoluzionario dal punto di vista delle figure femminili.
Nell’età antica è rarissimo trovare donne come Circe e Calipso, padrone e dominatrici del loro spazio. E, a ben guardare, sono donne forti e padrone dei loro spazi anche Nausicaa e Penelope.
Quando leggiamo le donne di Omero, cieco per tradizione, ci sentiamo lette dalla sua vista capace di introspezione, come sapesse che ognuna di noi esiste solo all’interno di se stessa. Si tratta di donne che sicuramente rispecchiano il modo in cui Omero vedeva l’altra metà del suo mondo ma anche espressione di una femminilità senza tempo. Come senza tempo è la conquista della femminilità, scommessa e lotta intima di ognuna di noi. Omero ha composto una “enciclopedia” della nostra femminilità, in tutte quelle sfumature che ci rendono complete. Certo, ognuna di noi è pronta a riconoscerle solo quando è pronta a costruire un equilibrio tra tutte le donne di cui siamo fatte, senza soffocarne nessuna.
«La lentezza è parte della biologia femminile. L’energia di una donna è nell’attesa, nei nove mesi della gravidanza, nei processi ideativi e nel saper vivere un’attesa, che è sia tempo sia sentimento». Di contro, qual è l’energia maschile?
L’energia maschile è nel sapersi mettere a nudo, è nella costante ricerca di solidità e affermazione e, al contempo, nel riconoscimento dell’energia femminile come parte di sé, di un unico processo che dall’amplesso coinvolge anche emozioni e capacità di comprendersi in due.
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Cosa dicono le parole di noi? Penso, per esempio, a quello che nel testo si dice del termine “desiderare”.
Le parole dicono di noi chi siamo. Più parole conosciamo e più ampliamo la nostra capacità di introspezione e la nostra gamma di desideri. In effetti desiderio è una parola molto illuminante.
I grammatici antichi non avevano dubbi sul fatto che il desiderio è legato alle stelle, sidera in latino. De-siderare significherebbe cessare di vedere le stelle, che nel mondo antico erano considerate segni da interpretare: grazie alla loro osservazione, l’astrologia, i sacerdoti verificavano se gli dèi approvavano o meno le decisioni degli uomini. Sulla scia delle stelle de-siderare è il rimpianto e la nostalgia di un qualcuno o un qualcosa lontano, perduto, come con-siderare, il suo opposto, significa esaminare come si fa con gli astri da cui si vuole trarre un auspicio.
Il desiderio ha così l’aspetto di una inquietudine interiore che vuole essere colmata dando un senso pieno alla vita. Con il proprio carattere e la propria capacità di amare e di scegliere, che sono poi i modi che l’uomo ha per restare appeso alle stelle. La vita stessa è un desiderio aperto.
Dice: «È così difficile per le anime voler bene da lontano. Toccare cambia il nostro modo di relazionarci, di amare, di approcciarci alla vita. Le anime per un istante riassaporano l’intensità dei legami della vita». Impossibile non pensare al momento attuale e chiederti in che modo ci ha segnato questa assenza del toccare?
La scena descritta è una delle più intense dell’Odissea, quando Ulisse, nell’Ade, incontra la madre Anticlea. Madre e figlio si vedono, si parlano e si ascoltano ma non è concesso loro nessun abbraccio, un’ombra non può essere stretta tra le braccia di un corpo ancora vivo, e il corpo vivo di Ulisse prova una morsa dentro di sé che noi oggi, nella nostra quotidianità pandemica, riusciamo a percepire insieme a lui. Credo però che questa assenza del toccare, per quanto ci faccia soffrire ci ha insegnato a sentire più in profondità. La lontananza cui siamo costretti da un anno a questa parte può essere vista come un setaccio, solo i legami più profondi restano al suo interno e sanno superare la fatica della distanza.
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Per la prima foto, copyright: Anderson Rian su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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