“Il mostro dell’hinterland” di Matteo Ferrario, i luoghi proibiti della coscienza
Edito da Fernandel nel maggio 2015, Il mostro dell’hinterland è il romanzo con cui Matteo Ferrario, già autore di Buia, riesce a mettere in dubbio una concezione della natura umana vincolata alla visione univoca dell’individuo.
Riccardo Berio abita in una villetta bifamiliare, la stessa in cui risiedono anche gli zii, una coppia non più giovane, ma che sa ancora trarre dalla vita piacere e appagamento. Quando vengono ritrovati i loro corpi fatti a pezzi, i sospetti ricadono subito su quel nipote silenzioso, che li scrutava dal proprio angolo di mondo attraversato dalla solitudine. Riccardo Berio è perfetto nel ruolo dell’assassino, così come è perfetto il movente rintracciato in quel senso di insoddisfazione, che secondo gli investigatori avrebbe scatenato il folle gesto contro le due vittime. Alle accuse, Riccardo Berio contrappone una difesa debole e lui per primo sembra non ricercare a tutti i costi di essere scagionato. Solo quando dal carcere, in cui è rinchiuso ormai da anni, viene a sapere che la propria abitazione andrà all’asta, i ricordi riaffiorano con la pretesa di essere assecondati in una testimonianza, che non aveva mai preso forma prima di allora. Ma la perdita dell’unico punto di riferimento che gli era rimasto all’esterno è il motivo apparente che lo spinge a “raccontarsi”, perché la ragione autentica viene dichiarata alla fine del romanzo…
Per Il mostro dell’hinterland Matteo Ferrario si è ispirato a un caso di duplice omicidio realmente accaduto nel 2005, e ci racconta la possibile prospettiva di chi è stato dichiarato colpevole. Ma il fatto di cronaca è qui solo il mezzo di cui Ferrario si serve per sperimentarsi con quelli che potrebbero essere i pensieri di un uomo, riconosciuto da tutti come un mostro.
Se, nelle prime pagine, potrebbe essere la sicurezza di saper tenere distinti i termini di “colpevolezza” e di “innocenza” a caratterizzare l’atteggiamento del lettore, con l’avvicinarsi delle pagine conclusive subentra una confusione, che sbiadisce definitivamente i confini tra i due concetti. Quasi nessuno si salva dall’analisi amara che Riccardo Berio porta avanti attraverso la propria ricostruzione del caso; anche i personaggi che dovrebbero rappresentare la “giustizia”, infatti, si fanno portatori di quel lato oscuro che viene riconosciuto esclusivamente ai reietti della società.
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Allora appare chiaro il riferimento di Ferrario a Peter Lorre, attore che veste i panni dell’assassino in quel capolavoro che è M, Il mostro di Düsseldorf. Fritz Lang, regista di questa pellicola del 1931, mette in piedi una dinamica, in cui vittima e carnefice arrivano a sovrapporsi, anche laddove i fatti sono evidenti, portando a riflettere su come raramente i giudizi possano essere espressi con piena consapevolezza. Consapevolezza generalmente assente anche in quel meccanismo dei media, che Riccardo Berio non risparmia da una critica pungente. Il ruolo che un soggetto coinvolto in un fatto di cronaca ricopre, si ritrova sempre più di frequente ad essere definito in sede mediatica, dove lo scopo è quello di andare incontro alle esigenze del pubblico. È necessario dare alle masse ciò che vogliono, poco conta se gli eventi non sono stati indagati in profondità.
Ma quando la giornalista di turno chiede a Riccardo Berio quelle briciole di perversione per compiacerei propri spettatori, il piano fallisce perché il mostro ha deciso di non affidarsi a interlocutori incapaci di capire il senso del suo vissuto. Preferisce comunicare con se stesso e mettere per iscritto quelle parole che lentamente tracciano le linee di una vita dai connotati drammatici. Solo la solitudine a cui era già avvezzo è in grado di garantire ai ricordi di succedersi liberamente, senza seguire l’ordine temporale che va dal passato al presente. Riccardo Berio si muove seguendo un proprio istinto, che stona con il suo carattere metodico, ma che risponde bene all’esigenza di aprirsi anche dal punto di vista emotivo. Forse è proprio per questo, che la tecnica impiegata dall’autore ricorda quella del flusso di coscienza, congeniale auna trama scandita dalle esigenze psicologiche del narratore.
Perché Il mostro dell’hinterland di Matteo Ferrario mira a condurre il lettore verso i luoghi proibiti della coscienza che svelano paradossalmente anche quei tratti di normalità, solitamente negati a personalità problematiche.
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