“Il mistero della Torre del Parco e altre storie”, la Milano degli anni Venti di Luca Crovi
Il mistero della Torre del Parco e altre storie (SEM, 2022) è il nuovo libro di Luca Crovi, nato da una serie a puntate pubblicata nel periodo della pandemia sulle pagine del quotidiano «Il Giornale». Filo conduttore è il personaggio del commissario De Vincenzi, nato negli anni Trenta dalla penna di Augusto De Angelis, considerato uno dei padri del romanzo poliziesco italiano.
Crovi ha ridato vita a questo personaggio nei romanzi L’ombra del campione (2018), L’ultima canzone del Naviglio (2020) e Il gigante e la Madonnina (2022), tutti pubblicati nella collana Nero Rizzoli.
Caratteristica dei romanzi di Crovi è la perfetta fusione tra elementi di fantasia e fatti reali della Milano passata, con l’inclusione di personaggi realmente esistiti, come Peppino Meazza, al centro del primo romanzo, o Primo Carnera, attorno a cui è imperniato il terzo.
Luca Crovi, fumettista oltre che scrittore ed esperto sia della letteratura di genere noir, sia di storia milanese, ci ha raccontato questo suo nuovo libro in occasione di una presentazione per i blogger nella sede milanese della casa editrice SEM: difficile raccogliere tutte le divagazioni e le citazioni dell’affascinante monologo con cui ci ha intrattenuti, anche perché si correrebbe il rischio di rovinare il piacere di leggere Il mistero della Torre del Parco e altre storie.
I racconti pubblicati in precedenza sul quotidiano, dove dovevano rispettare rigidi limiti di spazio, appaiono spesso ampliati, oltre che unificati da una cornice narrativa: De Vincenzi lascia in portineria una cartellina contenente alcuni racconti, che la portinaia incuriosita legge prima che Augusto De Angelis in persona venga a ritirarli.
Perché ha scelto la Milano degli anni Venti?
Quando mi sono permesso di utilizzare il personaggio di De Vincenzi per creare i miei romanzi apocrifi vi ho aggiunto non solo una importante cornice storica e sociale, di cui De Angelis non poteva parlare in tempi di censura fascista, ma anche una serie di ricordi personali ereditati dalla mia famiglia, tra cui diari e memorie dei miei nonni e della mia bisnonna.
La casa di via Massena dove vive De Vincenzi esiste veramente: siccome mia nonna in quegli anni faceva effettivamente la portinaia a Milano, io l’ho inserita come personaggio, immaginandomi che lavorasse proprio lì.
I suoi personaggi parlano spesso milanese.
Tutte le vicende che riguardano mia nonna sono reali, compreso l’uso del milanese che all’epoca era ancora molto diffuso, anche se i ricchi iniziavano a non parlarlo più. È curioso che adesso mi capiti di sentir parlare milanese al mercato, dai venditori extracomunitari che a volte lo usano come linguaggio comune tra loro…
Il trucco che uso per renderlo comprensibile ai lettori non milanesi è quello di ripetere spesso nella seconda parte della frase, in italiano, i concetti espressi in partenza in dialetto. Spero un po’ anche nell’ “effetto Camilleri”, e mi ha reso felice ricevere lettere di lettori soddisfatti che mi scrivono anche da luoghi lontani da Milano.
Il mio omaggio a Camilleri nasce anche dal fatto che l’evento che segna di più la vita del commissario De Vincenzi, a cui accenno in ogni romanzo, è la bomba che esplose a Milano in piazza Giulio Cesare nel 1928, un attentato al re rimasto impunito. Il commissario che se ne occupò si chiamava Carmelo Camilleri ed era un prozio dello scrittore.
In questo libro si parla quindi di lui, di Secondo Tranquilli (fratello di Ignazio Silone) e di Riccardo Bauer, antifascisti accusati dell’attentato e mandati al confino.
A Bauer erano indirizzate le cartoline con monumenti milanesi che i parenti e gli amici gli inviavano mentre era al confino, le cui immagini sono state inserite nel libro, a ricordarci com’era la Milano di allora.
Anni fa, Ignazio Silone era stato accusato ingiustamente di essere un collaboratore dell’OVRA, la polizia politica, ma i suoi contatti con l’organizzazione erano diretti solo a dimostrare l’innocenza del fratello: fingeva di collaborare, ma in realtà, come si legge nelle trascrizioni di telefonate che si scambiavano all’interno dell’OVRA, forniva elementi insignificanti e del tutto inutili.
Un altro personaggio che De Vincenzi incontra è Antonio Gramsci, all’epoca in carcere a Milano: il loro dialogo è ispirato a idee espresse realmente da Gramsci nelle sue opere, a partire dalle Lettere dal carcere.
Anche Ho Chi Min è stato davvero cameriere a Milano in gioventù.
Poi ci sono i monumenti come l’Arena e la Torre del Parco, attraverso i quali racconto i cambiamenti della città.
Pubblicare i racconti su un quotidiano ha influito sulla stesura del libro?
Il fatto di dover scrivere racconti di milleottocento battute per gli spazi del giornale è stato molto disciplinante. Tenete presente anche che nel periodo del lockdown dovevo pure stare al computer solo al mattino prestissimo, perché poi iniziava la DAD dei miei figli, perciò ero obbligato ad essere conciso per terminare il mio racconto entro l’orario di consegna… Mettendo poi insieme il libro ho potuto ampliare alcune storie e inserirne anche alcune che non erano state pubblicate sul giornale, come ad esempio quella dedicata a Gramsci.
Qual è il rapporto tra invenzione e fatti reali che racconta?
Tutti i crimini che descrivo sono autentici, presi dalle cronache dell’epoca e dalle intercettazioni desecretate dell’OVRA, anche se mi sono divertito a inserire come personaggi d’epoca alcuni miei amici contemporanei, come un trombettista e un materassaio.
Milano è la grande coprotagonista di queste storie.
Già negli anni Venti Milano aveva assunto un ruolo centrale per molti aspetti della vita italiana ed era una città in continuo divenire. Persino certi monumenti cambiavano continuamente destinazione d’uso, come nel caso dell’Arena che è stata utilizzata in mille modi.
Se vogliamo essere precisi, la cosiddetta “strategia della tensione” nasce proprio a Milano nel 1922 con l’attentato all’hotel Diana, continua con la bomba alla Fiera nel 1928 per arrivare ai tempi più recenti. Negli anni Trenta la città rimane a lungo non allineata con il fascismo, persino Mussolini diffidava dei tramvieri e dei vigili del fuoco milanesi che non si adeguavano al regime, per non parlare del quotidiano principale, il Corriere della Sera.
Nel mio piccolo, cerco di adeguarmi allo stile giornalistico di Buzzati e di Montanelli, che hanno fatto grande quel quotidiano.
Lei è un’enciclopedia vivente del genere giallo e della storia milanese. Riesce ancora a sorprendersi quando trova qualche notizia che non conosceva?
Sì, perché spesso una cosa che trovo mi apre molte altre porte: da una notizia si può risalire a mille altre storie e personaggi. Ho sempre un grande desiderio di arricchirmi, e poi di condividere: una delle cose che amo di più riguardo ai miei romanzi è la complicità dei lettori, che spesso vengono alle presentazioni per raccontarmi aneddoti collegati a quello che ho raccontato.
Durante una presentazione a Londra sono stato avvicinato dal pronipote della signora che era morta nell’attentato di piazza Giulio Cesare, un fatto tra l’altro di cui a Milano non rimane nessuna traccia, nemmeno una targa commemorativa sul posto, e questa è una cosa abbastanza sconcertante.
Chi sceglie i titoli dei suoi romanzi, che sono molto intriganti?
Io sono giornalista e fumettista, sono abituato a farmi i titoli di tutto ciò che scrivo, ma devo dire che, per fortuna, non sono mai stati cambiati in sede di editing.
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