Il mistero dell’attesa. “Salvare le ossa” di Jesmyn Ward
Puntata n. 29 della rubrica La bellezza nascosta
«Quel che riesco a vedere della strada è deserto. Il fremito che scuote gli alberi li fa sembrare una tenda verde scintillante in lontananza; a metà, la strada si confonde in una striscia di velluto verde scuro. La fisso, cerco in tutti i modi di scorgere qualcosa, mi passo ripetutamente la lingua sulle labbra, la attorciglio per prepararmi a fischiare. Mi si è intorpidito un braccio, e allora mi rotolo su un fianco, sempre tenendo d’occhio la strada. Quell’azzurro è un guizzo di metallo che sembra una stella morente? Ma no, non c’è nulla.»
Tutti viviamo in attesa di una cosa, ogni giorno è una preparazione a qualcosa che verrà, che avverrà. E l’inizio dell’attesa è forse proprio la vita stessa, si aspetta e ci si prepara a una nascita come si aspetta e ci si arma per arrivare alla fine dei giorni. Ma nel tragitto di attendere, anche quando l’evento incombe ed è collettivo, ogni vita è fatta di altri pezzi, di micro attese, di piccoli accadimenti e minute dinamiche che ci fanno perdere di vista il senso ultimo verso il quale stavamo andando.
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Ogni percorso è composto da consapevolezze sfaldate e nuovi gradi di conoscenza, livelli emotivi che si mischiano, e giornate buie che ci fanno credere nella fine di qualsiasi speranza. E nell’attendere di tutti i giorni, nascono nuove stasi, crescono e si ampliano nuovi giochi che facciamo con il tempo, per fingere forse che niente è poi così importante, o per regalarci l’illusione che, per quello che stiamo aspettando, tutta la pena del presente può essere sopportabile. Ma delle volte, quello che incombe può essere un male oscuro, può avere le sembianze di un mostro, quello che attendiamo può essere qualcosa che vorremmo allontanare in maniera costante, ed è proprio tra quelle assi del tempo che diventiamo accumulatori di distrazioni, per provare almeno per poco a distogliere la nostra attenzione da ciò che potrebbe farci più male.
Jesmyn Ward è nata a DeLisle, Mississippi (USA), il suo romanzo Salvare le ossa è stato pubblicato in Italia da NN editore, con la traduzione a cura di Monica Pareschi.
Siamo nel Missisipi, in un luogo che chiamano la Fossa, seguiamo le vicende di Esch che scopre di essere incinta, e di Skeetah che è occupato a prendersi cura del suo pittbull da combattimento che ha da poco partorito, e di Randall che tra le partite a basket e le altre incombenze si occupa del piccolo Junior. La storia di una famiglia di colore, un padre e dei figli che vivono tra baracche e rifiuti e boschi, e tutta la vicenda è piena di un’atmosfera di attesa, tutti aspettano che arrivi, di lì a poco, un uragano mostruoso.
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Jesmyn Ward ci regala un romanzo possente, una storia fatta di spifferi, di cadute, una narrazione che ci tiene incollati alla pagina e ci causa sofferenza e completa dedizione alla lettura. L’atmosfera che viene via dalle pagine si percepisce sotto pelle, la catastrofe imminente, che sta arrivando da fuori, ma che forse, in maniera più prepotente, arriva da dentro, dalle vite dei protagonisti che si battono e si dibattono in esistenze strette e in attimi di violenza, in fiducie che si saldano e in legami che nel castigo e nel dolore diventano spessi come cicatrici.
«Facevo sempre la lotta con Skeetah e Randall, quando eravamo piccoli. Una volta avevo dato un pugno nello stomaco a Skeetah e mi ero sentita le braccia come noodles, come se lui non avesse muscoli da colpire e io non ne avessi per colpirlo. E una volta che Randall continuava a stuzzicarmi gli avevo dato un colpo al torace da togliergli il fiato. E nello spogliatoio delle medie avevo picchiato una ragazza che mi prendeva in giro perché mi stavano spuntando le tette: dovevo chiedere a mia madre di comprarmi il reggiseno, aveva detto sghignazzando. Mamma era morta quattro anni prima.»
Lo stile con cui ci viene donato questo romanzo è impeccabile, le pagine e le righe vengono via dai nostri occhi, lasciandoci nello sguardo tutto il pathos e la tragicità di momenti vissuti al limite e di esistenze zoppicanti. La Ward ha una penna invidiabile, e con una maestria rarissima lega fili e tesse una trama che ci costringe a una sorta di immobilità, ci obbliga quasi a non respirare, per non rischiare distrazioni.
Le sue parole ci piovono addosso come fossero delle pietre e in ogni singola pagina si respira un’atmosfera infetta, dove l’epicità del dramma si confonde con la vita di una famiglia alla disperata ricerca di qualcosa che troppe volte appare inaccessibile.
«È terribile. È il vento sferzante che frusta come una prolunga usata a mo’ di cinghia. È la pioggia che punge come una manciata di sassi, che ci entra negli occhi e ci costringe a chiuderli. È l’acqua che turbina e si raccoglie e dilaga da tutte le parti, bruna con una sottocorrente rossa, come se la Fossa argillosa fosse un taglio che non smette di sanguinare. È ciò che resta del prato, i frigoriferi, il tosaerba, il camper e i materassi, che galleggiano come una flotta. Sono gli alberi e i rami che si spezzano di continuo scoppiettando come fuochi d’artificio in un crepitio infinito di esplosioni, senza sosta. Siamo noi ammucchiati uno addosso all’altro sul tetto, io tremante e col manico di fil di ferro del secchio di plastica appeso alla spalla. È ovunque. Papà è inginocchiato dietro di noi, e cerca di tenerci tutti insieme, vicino a lui. Skeetah è abbracciato a China, che ulula. Il furgone di papà si muove lentamente sull’acqua, sbandando qua e là.»
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Forse è proprio nell’attesadi un evento che è destinato a cambiare tutte le carte in tavola a causa della sua potente portata che possiamo essere in grado di comprendere i nostri rapporti, di capire quali legami sono veri e quali, invece, fasulli; perché è quando la strega sta per varcare la soglia e sta per invadere il quotidiano che si saldano alleanze e si sciolgono unioni. Nella tragedia, dentro il dramma, l’unica nostra salvezza è la fetta di verità che siamo disposti a sacrificare.
Per la prima foto, copyright: Joshua Earle.
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